Blade Runner

«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi.
Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione,
E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo...
come lacrime nella pioggia.
È tempo...di morire.»

Lacrime nella pioggia
Considerazioni sul film “Blade Runner”

Un film diretto da Ridley Scott.
Con interpreti Harrison Ford, Sean Young, Rutger Hauer, Daryl Hannah, William J. Sanderson.
Fantascienza, USA 1982.

(attenzione: spoiler, l’articolo contiene rivelazioni della trama)

Di Roberto Pelusio

Roy è il protagonista di Blade Runner nell’interpretazione potente e suggestiva di Rutger Hauer. Verso la fine del film sfida e insegue Deckard (Harrison Ford), lottando a mani nude, lasciandosi colpire più e più volte, e apprezzando ripetutamente l’irrazionalità e l’anti-sportività dell’avversario. Ma alla fine è per insegnargli qual è la sua paura e il suo stato, e per salvargli la vita.
Muore pronunciando quelle famose parole che, al culmine della sua traiettoria umana, semplicemente esprimono i momenti di fascino assoluto della sua vita che si sarebbero persi nel tempo (io ne ho viste cose… etc.).

Il film descrive un po’ una traiettoria di conversione di questo protagonista, da crudele assassino a eroe positivo. Racconta la vicenda di un gruppo di ribelli che ha lasciato la colonia extra-mondo, uomini e donne che tornano sulla Terra dall’esilio. Tornano nel nuovo mondo perché stanno cercando qualcosa di importantissimo, di irrinunciabile e sono spinti dall’approssimarsi della morte. Ci si aspetterebbe che tornino in un paradiso terrestre, ma nel gioco di contrasti e rovesciamenti del film il nuovo mondo appare invece cupo e soffocante come un inferno, un’immensa metropoli senza cielo (senza trascendente, senza verticalità) dove tutto è artificiale e la natura semplicemente non c’è.

Il gruppo di ribelli è senza passato, a parte i pochi anni di vita che hanno sulle spalle, e si capisce che di essa hanno conosciuto i piaceri e le passioni più eccessive. Di loro vien detto che non sono uomini ma “replicanti” della specie più evoluta, assassini esperti, violenti e pericolosissimi. Si dice che sono macchine senza anima, prodotti raffinati della scienza umana, ma non uomini.
Anche qui è l’esatto contrario di quello che appare: chi guarda il film li vede umani sotto ogni aspetto, capaci di temere di mentire e di uccidere, ma anche di piangere amare e morire, ricchi di sentimenti, legami di amicizia e amore.
Semmai macchine disumane, malate e senz’anima, appaiono gli abitanti “umani”, e i custodi e i potenti del nuovo mondo, vuoti e falsificati.

Ma contro chi si ribellano questi pericolosi criminali sfuggiti all’esilio e tornati nel nuovo mondo? Lo si capisce nel cuore del film quando il protagonista Roy raggiunge il suo creatore, colui che chiama “padre”.
E’ contro di lui la ribellione. A lui giungono per chiedere conto di quella spinta che li inquieta dal profondo. Essi sanno di dover morire ma non ne hanno il senso e questo li rende preda della “paura”, e nello stesso tempo priva la vita di ogni significato.
“Voglio più vita, padre” chiede Roy.
I ricordi che si perdono come lacrime nella pioggia sono momenti goduti davvero, fino in fondo: perché piangerli se non perché li si desidera per sempre?
E il padre risponde che non può dargliene di vita. Non può nonostante tutta la sua ingegneria e la sua scienza biogenetica, il suo potere e i soldi.
Ma Roy si spinge fino alla domanda successiva, forse non meno importante e necessaria: “ho fatto cose discutibili, cose per cui il dio della biomeccanica non mi farebbe entrare in paradiso”, cioè confessa con vergogna al padre orgoglioso, quasi a chiedere giustizia o misericordia. Ma il padre elude e nega anche questa risposta, come? Illudendolo: gli dice di essere orgoglioso per le sue imprese e conclude dicendogli: “Godi più che puoi”.
Allora la giustizia arriva lo stesso, e il figlio condanna il padre che viene orribilmente assassinato, e dopo un terribile bacio (ci sono baci molto diversi in questo film, importanti, e anche la morte è trattata con sensibilità e ci sarebbe da riflettere sul rapporto con la donna dei protagonisti, quasi tutti maschili). Dopodiché il rapporto col padre non troverà altra soluzione e rimane questione irrisolta.

E infatti resta incompleta anche la simbologia cristiana che compare e sembra richiamare esplicitamente il Figlio (il chiodo estratto dal legno e confitto nella mano) e lo Spirito (la colomba bianca), ma senza ricongiungersi con l’altra Persona trinitaria, quella del Padre.

Tutto questo porta a concludere che senza l’incontro e lo sguardo amorevole del padre non si risolve la vicenda umana, non c’è giustizia né misericordia e la vita resta nel segno dell’incompiutezza, della schiavitù della paura e della morte.

E infatti la morte arriva, e della vita rimangono solo quei rimpianti come lacrime nella pioggia.
Già i “replicanti” superstiti sono costretti a fuggire, eterni ribelli ed esuli senza redenzione.

[23 aprile 2008]