Broken flowers

di Jim Jarmush
con Bill Murray, Jeffrey Wright, Sharon Stone, Francio Conroy, Jessica Lange
USA 2005

Recensione a cura di Armando Ermini 

Quando un grande mezzo di comunicazione come il cinema si occupa di paternità non possiamo che esserne contenti, perchè significa che cresce la sensibilità al tema. Non è un caso che proprio dagli U.S.A., dove il problema dell’assenza del padre è ancora più drammatico che in Europa, ci vengano nell’ultimo scorcio dell’anno ben due film che affrontano il problema. Non bussare alla mia porta di Wim Wenders (il regista è tedesco ma è dell’America che ci parla), già recensito sul sito, ed ora questo Broken Flowers di Jarmush.
I due film hanno alcuni tratti in comune: l’età dei protagonisti intorno alla sessantina, la loro maschera facciale immobile quasi volessero difendersi dall’irrompere di sentimenti ed emozioni forti, una vita da single di successo e tante conquiste femminili, la notizia improvvisa di un’antica paternità, la decisione, in mezzo a molte incertezze, di intraprendere un viaggio nel proprio passato alla ricerca del figlio e insieme del senso della propria esistenza.

La trama
Mentre l’ennesima relazione tramonta nella tristezza, un anziano “dongiovanni” ricco e affermato, Don Jhonston (Bill Murray), apprende da una sua vecchia amante, con una lettera anonima, che è padre di un figlio ormai ventenne che la donna aveva preferito crescere da sola. Il giovane è partito per un viaggio con meta imprecisata, ma probabilmente alla ricerca del padre. Don viene convinto dal suo migliore amico, marito e padre felice di cinque simpatici marmocchi, anche se di condizioni economiche modeste, ad intraprendere un viaggio attraverso gli Usa alla ricerca della verità. Fra scetticismo e speranza, sempre incitato dall’amico, Don va a visitare le possibili madri di suo figlio, in un viaggio a ritroso nel tempo. Gli incontri sono tempestosi o freddi, malinconici o ancora “coinvolgenti”, ma nessuno risolutivo. Dopo che al ritorno a casa Don crede o spera, inutilmente, di individuare il figlio in un ragazzo che casualmente incontra all’aereoporto, il film si chiude con l’arrivo di un nuovo biglietto, scritto come il primo su carta rosa, in cui si dice che Sherry, la ragazza che lo aveva lasciato all’inizio, gli vuole ancora bene.

Broken Flowers è un film dal ritmo lento, che necessita di essere ripensato con altrettanta lentezza per comprenderne il significato. La prima sensazione è di indeterminatezza, la storia appare incompiuta e come “sospesa” in aria. E lo è, se guardiamo alla concretezza dell’azione, perché il film termina col mesto ritorno del protagonista nella sua casa, lussuosa ma sempre in penombra come la sua anima, senza che abbia saputo nulla del figlio, con la quasi conferma, anzi, che si trattasse di una “bufala”. Eppure si capisce che è bastato l’irrompere della possibilità di essere padre, a produrre in Don un mutamento interiore.
Il film intreccia il tema della paternità con quello del nomadismo maschile, e ci dice una cosa molto importante. Quello che non riuscito alle tante donne della sua vita, ha il potere di farlo la sola ipotesi della paternità. Il maschio “si ferma” e trova senso in quanto padre, più che in quanto marito o compagno. Il contrasto con la serenità dell’amico Winston (Joffrey Wright), è troppo accentuato per essere casuale, e forse è la bella Sherry, probabile autrice delle lettere anonime, ad aver compreso questa chiave della psiche maschile. In questo senso Sherry potrebbe essere letta anche come immagine interiore dello stesso Don, immagine di Anima, così come il rapporto fra l’anziano e il giovane immaginario evoca quello archetipico fra Senex e Puer, anch’esso interiore:
Scrive Paolo Ferliga in Il segno del padre (Moretti e Vitali, 2005, pag. 205): Se il Senex è indispensabile al Puer, è però vero anche l’inverso: il Puer infatti, proprio perché rappresenta il nuovo che si fa strada, indica spesso la meta verso cui andare. Avviene in questo caso una inversione temporale………: il Giovane diventa il futuro del Vecchio. E’ il futuro, verso cui è indispensabile rivolgere lo sguardo, che favorisce la trasformazione psichica e guarisce dal passato che, per sua natura, è invece immodificabile. Nel desiderio dell’uomo di diventare padre è così all’opera il Figlio, che guarisce l’uomo svelandogli il suo destino. Il Puer, come attore di questa trasformazione, presenta una caratteristica leggerezza che spesso agli occhi del Senex, appare come pura follia. Ma è proprio questa leggerezza, caratteristica della sua propensione al volo, che esprime quella joie de vivre che consente al Senex di perdere la sua rigidità e di rinnovarsi. Per la comunità ciò significa che i padri hanno bisogno dei figli. Per il singolo che diventare padre è bello.

[16 dicembre 2005]