Il vento fa il suo giro

Regia: Giorgio Diritti
con Thierry Toscan
Alessandra Agosti
Dario Anghilante
Giovanni Foresti

Italia, 2005, colore, 110 min.
http://www.ilventofailsuogiro.com/

a cura di Roberto Pelusio

“A me la parola tolleranza non piace. Se tu devi tollerare qualcuno non c’è il senso di uguaglianza”.

Ci potrebbe sfuggire, ma è proprio la figura del selvatico a far da protagonista in questo film, un selvatico con tratti attualissimi e moderni (a ben vedere anche cristologici) in rapporto con la nostra società oggi.
Girato in una valle occitana del Piemonte, sulle ceneri di quell’antica civiltà famosa per i canti d’amore e per la sua fine cruenta, racconta dell’incapacità di accogliere uno straniero da parte della comunità in crisi fra identità e motivazioni di vita.
Lui, il protagonista in questione, è un francese che ha abbandonato l'insegnamento per diventare pastore e vive producendo in proprio del formaggio, ha una bella moglie che ama passionalmente e dei figli che cura con amore.
Si è allontanato da tutto pur rimanendo fedele alla realtà.
Da subito è una presenza misteriosa e inafferrabile, non si sa bene da dove provenga, non si sa decifrare con la ragione il suo segreto, è straniero ma presente nel perimetro dell’esperienza, nel territorio dove si abita.
Anzitutto affascina, perché dentro le vicende si muove con una forza e una libertà interiore che gli altri non hanno: si è allontanato da tutto ma è soddisfatto di ciò che possiede, lotta per esso, ama il contatto con la vita e ne trae gioia e godimento.
In questo sembra irrinunciabile il contatto con la natura, che garantisce il contatto coi valori profondi e “non materiali” delle cose, ma lontano da new age o altri naturalismi alla moda, qui la natura è ben mostrata anche nel suo lato duro e aspro.
Egli si presenta come promessa di vita in un luogo che sta morendo (non solo per spopolamento), e diviene consiglio soccorso e guarigione lì dove gli schemi e le situazioni di vita sono ammalati o in pericolo.
Tuttavia inquieta allo stesso tempo, sia perché è straniero e quindi innesca la fatica del comprendere e del superare le differenze, sia perché riflette la frustrazione di chi quella forza e soddisfazione non ce l’ha. La comunità appartiene a una storia e possiede una sua cultura e una sua identità storica, tuttavia vede spegnersi la prima e svanire le altre pur tenendo stretta fra le mani una ricchezza di cui non sa più godere.
Quindi prende corpo l'invidia per la diversità dello straniero che diventa, senza volerlo, ostacolo sul cammino. Come un carretto di fieno posto in mezzo a un sentiero, egli diventa l’ostacolo ai percorsi soliti che danno apparente sicurezza ma che non assicurano più il contatto con la vita e con il proprio volto. Diventa un punto di scandalo ma anche passaggio inevitabile del cammino di ognuno.

Dopo aver messo in discussione le certezze e le convinzioni, dopo aver condizionato gli eventi e le scelte, trasformato le persone, ribaltato i ruoli e aver fatto riflettere sulla capacità della comunità di evolversi di crescere di valorizzare il patrimonio, si scatena il conflitto.
La sopraffazione e la violenza che nascono non sono tanto in difesa di ciò che si possiede, ma un rigetto un rifiuto della diversità, in forza di una pretesa superiorità e autonomia, e implica anche il rifiuto del sacro e del mistero.
Se “il valore che arricchisce” non è riconosciuto accolto e condiviso reciprocamente, da pari a pari, la vita inaridisce e i rapporti si raffreddano e scivolano verso il conflitto.
Tra i messaggi del film da notare che, come sempre, ai semplici è dato sapere.
Alla fine la possibilità di riscatto e di una svolta positiva dovrà passare nuovamente attraverso la dimensione tragica, che però risveglierà le coscienze e farà germogliare la speranza e la fiducia.
Ma attenzione, un protagonista come questo non se ne va mai senza lasciare un segno distintivo:
la nascita di altri protagonisti come lui.

“Le cose sono come il vento, prima o poi ritornano”.

 

 

[3 ottobre 2008]