Confronti generazionali

Mio figlio è sempre con me

Ti porto volentieri a scuola tutte le mattine, anche se sono già arrabbiato di buon ora con questa società moderna e sbagliata, dalla A di anarchia alla Z di «zitto e lavora!». Ti vedo scendere dalla mia auto malinconico, assonnato e annoiato e infilarti in mezzo a cento compagni colorati di grigio, con capelli allucinanti e abbigliamento alla moda, da combattimento e da esibizione. Intorno a me mille macchine che fanno la stessa cosa. Scaricano il figlio o la figlia, fanno un mugugno e si dirigono a casa, se casalinghi, o al lavoro, se carrieristi con mutuo da pagare. Stai finendo il terzo anno di una scuola dell’obbligo che non ha saputo capire le tue differenze, il tuo disagio sociale e il tuo voler star fuori dal gregge, perché incapace di portare fiori alle insegnanti, sorridere come un ruffiano o fare il baciapile. Colpa mia che ti ho insegnato a non farlo. Come è colpa mia aver scelto di non farti un fratello più grande, che potesse aiutarti nei compiti o passarti i suoi dell’anno prima. Ti vedo nello specchietto retrovisore allontanarti e diventare sempre più piccolo, anche se sei un colosso d’argilla, più alto e robusto di me, fatto con tutto l’amore possibile. Col tuo zaino volgare e ingiusto, con la tua andatura ciondolante e insicura mi fai venire voglia di tornare indietro, prenderti su e scappare via per un mese, io e te soltanto, perché la nostra Cenerentola non può ancora venire con noi. Ma il mio codice d’onore, quello che mi fa odiare chi non ne ha, mi dice che non si può. E allora accendo la radio per distrarmi, per togliermi il groppo di infelicità ad allontanarmi da te. Questa comincia a vomitare parole piene di atti di guerra, di indici di Borsa a New York e Tokyo, e di processi all’ultimo «branco» di ragazzini minorenni come te, che hanno massacrato una loro coetanea, una bellissima Desirée innocente, entrati in un’aula di tribunale accompagnati dal solo avvocato difensore, con profilo di avvoltoio; cuccioli di uomo indifesi, impauriti e dimenticati da genitori distrutti, curvi suoi loro problemi da portafoglio, e da maestri non più tali, insegnanti esperti solo di «diritto al lavoro», articolo 18 o sciopero selvaggio, senza rispetto di voi, del programma ministeriale recuperato con mille scuse e di chi lavora duro ma, soprattutto incapaci di «proteggere e forgiare» una generazione dignitosa e orgogliosa di esserlo. Sola e abbandonata a se stessa, la tua generazione viene ricordata solo quando la faccia di uno di voi, immortalata nell’ultimo sorriso forzato alla festa di compleanno, ci violenta l’anima dalla pagina di un giornale, impaginata solo per fare più vendite possibili, con inserto allegato, cd scadente o videocassetta passata di moda. È la generazione che pagherà tutti i nostri errori? Ho paura di sì. Infilo una cassetta nel mangia nastri, come lo chiamiamo ancora noi quarantenni, e mi massacro con le parole del nostro cantautore preferito, odiato da tutti perché dice la verità in musica, costringendolo a nascondersi sul monte Amiata che tu continui a nominare senza aver mai visto. Mi trovo nell’ennesima coda voluta da imbecilli dalla «rotonda facile» e dal cantiere perenne, da imbranati alla guida o da ritardatari (o ritardati?) col cellulare all’orecchio da mercante, convinti che basta mettere le cinture per essere provetti automobilisti con auto straniera al seguito, alla faccia del cassaintegrato di Termini Imerese o del titolo Fiat in eccesso di ribasso. Prima di entrare in ufficio ho dovuto evitare di spaccare lo specchietto retrovisore o, meglio, il fanale da 600 euro al solito incapace e prepotente nel parcheggio invasore di due posti preziosi e rari, ho dovuto introdurre la moneta, più spesa male, nel parchimetro da usura, ho dovuto evitare di pestare il solito barbone sotto il portico della «mia» piazza Vittoria. E, purtroppo, arrivo nel mio bell' ufficio pieno di inutile carta e di sterco del diavolo. Ho la tua foto che mi guarda, sei in divisa da militare in un lontano e inutile carnevale, vedo il tuo/mio sguardo strano, cattivo. Penso a cosa farai da grande e mi chiedo quando tutto questo è cominciato; cinquant’anni fa? C’è da sempre? Non lo sapremo mai. So solo che ti sto consegnando un brutto mondo, sporco e in mano agli opportunisti, ruffiani e leccaculo, capaci di fare solo confusione fra giusto e sbagliato, senza sapere che è solo la fortuna o il suo contrario che gestisce le cose. Povera Luca mio, hai proprio ragione! Siamo soli quaggiù, come dice il nostro Marco, e la fede è soltanto un regalo di Dio. Un Dio che gioca tutto il giorno a Play Station con questo mondo virtuale, dove non puoi nemmeno riprovarci ancora o salvare la partita per il giorno dopo. Un Dio distratto che permette cose che non hanno una spiegazione logica, biblica o religiosa, perché sbagliate e basta. Un Dio che se mi darà la possibilità di incontrarlo a quattr’occhi, dovrà spiegarmi cosa cavolo gli aveva fatto di male Desirée o tutte quelle prima di lei, tua madre, la nostra Cenerentola, e le migliaia di persone che fa soffrire sadicamente e inutilmente... come tua nonna, che finalmente ha smesso di penare in un sabato 12 aprile freddo e umido come la sua esistenza... e se la spiegazione sarà ridicola gli sputerò in un occhio. Mi stai chiedendo dove ho messo la felicità di vivere? Clicca qui e si aprirà il cuore di un padre che sopravvive solo per regalartene tanta, circondandoti di italica bellezza antica, estetismo eroico ed erotico, ma deve lottare ad armi impari con il buonismo tollerante e la retorica rinculante del suo tempo, che agita i colori dell’arcobaleno e poi litiga per un posto in prima fila al mare di Riccione o per il carrello alla Rinascente, troppo francese per i miei gusti. Boh! Spero di stare al tuo fianco ancora per molto ragazzo mio. Insieme, te lo prometto, proveremo sempre e comunque a migliorare tutto, convinti di avere la ragione dalla nostra parte. Poi un giorno, trovata la nostra «terra di mezzo» da bravi hobbit fuori dalla storia, potrò scrivere stancamente la mia frase che odio e temo di più: Game over! Ma sarà stato comunque bello stare con un figlio come te.

MICHELE SGARRO, Botticino Mattina

(Giornale di Brescia, 10 maggio 2003)