La fabbrica dei divorzi

Cari amici,
devo un ringraziamento e un tributo sincero a tutti voi, infatti, una parte assai importante dei temi trattati e degli studi citati provengono dal lavoro comune di questi anni su queste liste Selvatici, Per il Padre, Uomini 3000, nonché dal lavoro delle associazioni per la bigenitorialità.
Soprattutto per quanto riguarda, ovviamente, la questione maschile e della paternità, che e' ampiamente trattata nel libro.
Max

fabbrica

 

 Il diritto contro la famiglia

Autore: Massimiliano Fiorin

Editore: Edizioni San Paolo, settembre 2008

300 pagine
ISBN 978-88-215-6313- 3

Dalla prefazione di Claudio Risè:

"Dopo quasi quarant’anni dall’introduzione della legge Fortuna-Baslini, fino a che punto il divorzio ha trasformato la società italiana? Che ne è rimasto del matrimonio tradizionale, e quali sono le prospettive future della famiglia? E’ anche per rispondere a queste domande che questo libro descrive la realtà delle separazioni coniugali e dell’affidamento dei figli, in Italia, nel primo decennio del XXI secolo.
Si tratta di elementi utili per un bilancio ormai non rinviabile. A giudicare, infatti, dal numero enorme dei fatti di sangue connessi alla disgregazione dei nuclei familiari, e dai malesseri gravi di cui soffrono le persone coinvolte, a cominciare dai minori, il prezzo pagato anno dopo anno per la conquista "civile" del divorzio è davvero molto alto.
Nel frattempo, in tutto il mondo occidentale, la prima generazione che ha conosciuto il divorzio di massa dei propri genitori è diventata adulta. Chi ne fa parte tende a replicare la tendenza all’instabilità familiare che ha conosciuto fin da bambino, o a evitare ogni forma di unione riconosciuta, per non ripetere quell’esperienza traumatica.
Il fenomeno occidentale dello "sciopero matrimoniale" , o marriage strike, nasce proprio da questo stato d’animo. Le conseguenze di tutto ciò sia sulla natalità sia sulle angosce dei figli circa la "tenuta" della coppia genitoriale sono molto profonde, ed ancora difficili da valutare pienamente. Così come difficile da valutare è lo stesso futuro di quella che appare, oggi, come una vera e propria società post-matrimoniale.
Nel frattempo, è necessario osservare il fenomeno in modo nuovo, senza più i pregiudizi ideologici degli anni settanta del secolo scorso, che invece sovrabbondano ancora. E’ in quest’ottica (secondo lo stesso autore "politicamente scorretta"), che il libro intende verificare la fondatezza dei luoghi comuni della società divorzista, partendo dal consiglio evangelico secondo il quale è dalla bontà dei suoi frutti che si riconosce la verità di una profezia.
Dal crollo demografico all’aumento dell’instabilità economica, dall’impoverimento dei giovani fino al dilagare dei cosiddetti "oceani di sofferenza", nelle pagine seguenti si cerca di squarciare il velo sulle vere cause di questi fattori di crisi. Finendo col suggerire l’idea che l’istituto del divorzio debba essere ripensato dalle fondamenta, prima che la società occidentale ne venga travolta.
Il libro parte dunque dall’esame di ciò che avviene ogni giorno nei Tribunali e negli studi degli avvocati, dove la "fabbrica dei divorzi" si muove secondo una logica ferrea ed univoca, da catena di montaggio. Dai fatti raccontati risulta con chiarezza quanto sia opportuno che tutti gli operatori di questo settore – avvocati, magistrati e consulenti – rivedano i loro modi di pensare e di agire.
In seguito, il discorso viene esteso all’intera cultura occidentale, alla ricerca di come e dove tutto sia iniziato. Ne risulta, soprattutto, che è il ritorno della figura del padre – segno di autorità, di stabilità, di ordine (ma anche di autentico sguardo verso il futuro) – ciò di cui la nostra società ha più profondamente bisogno.
Su un piano più strettamente giuridico, si tenta poi di rompere il tabù dell’intangibilità della legge sul divorzio, indicando modelli come il cosiddetto covenant marriage, sempre più diffuso negli Stati Uniti, per riscoprire in essi il significato più profondo del matrimonio. Da tutto ciò prende infine forma una sorta di decalogo ideale per gli operatori del diritto, utile a tutti coloro che vogliono capire meglio le conflittualità coniugali, con il quale affrontare il quotidiano in modo diverso, mediante un’opzione più consapevole in favore della funzione della famiglia.
L’autore del libro è un avvocato civilista. Pur conoscendo tutti gli aspetti del fenomeno, egli tiene a rifiutare per se stesso l’etichetta di "matrimonialista" o di "familiarista" , proprio in quanto pensa che la mentalità ristretta degli specialisti che si occupano del problema dovrebbe essere profondamente rivista.
Il libro, tuttavia, non è destinato unicamente agli specialisti del diritto ed agli operatori dei servizi sociali, né ai soli esperti di psicologia della famiglia. Tutti coloro che nella loro vita sono entrati in contatto con la "fabbrica dei divorzi", per esperienze personali o di lavoro, potranno qui trovare un modo diverso di guardare ad un fenomeno che, nonostante la sua imponenza e drammaticità, per molti versi è ancora inesplorato.
Dai racconti e dalle argomentazioni del libro, appare chiaro che la realtà del divorzio ancora oggi è coperta dalla nebbia dei pregiudizi ideologici e dei luoghi comuni. Esattamente come l’iceberg al quale si avvicinavano i passeggeri che ballavano sul ponte del Titanic".

Da "La Fabbrica dei Divorzi", pagg. 275-276:

" ... le situazioni di conflitto tra coniugi esistono da quando esiste la famiglia. Cioè, dalla notte dei tempi, in ogni civiltà che sia mai sorta su questa terra, senza alcuna eccezione. Nella nostra società occidentale, così evoluta ed emancipata, oggi sarebbe possibile affrontare questi conflitti con un grado di tutela per il coniuge più debole che ancora cinquant’anni fa – quando ancora si discuteva dell’esistenza di un "diritto di correzione" del marito nei confronti della moglie – sarebbe stato inconcepibile. E invece, piuttosto che cercare un modello di società che sappia garantire in modo più avanzato l’alleanza naturale tra uomo e donna, l’Occidente divorzista ha costruito un sistema che mette i due sessi l’uno contro l’altro, esaltando le ragioni egoistiche di ciascuno.
In fondo, per chi sa osservare la realtà senza pregiudizi, basterebbe un minimo di esperienza per capire che in definitiva la gente oggi divorzia così facilmente soltanto perché può farlo. Sono ormai in pochissimi quelli che riescono a farsi aiutare, in quanto abbiano trovato qualcuno che abbia saputo indicare loro una diversa soluzione. Peraltro, ai nostri giorni sono ancora meno – in una società dove ormai da due generazioni un giovane su tre, e anche più, cresce assieme alla sola madre – quelli che hanno ricevuto fin da piccoli un’educazione di base sufficiente per saper fare famiglia, per quando nella vita dovrebbe venire il proprio turno.
Così, i luoghi comuni... si sono trasformati – non solo per gli interessati ma anche per i loro avvocati, e per tutti gli altri operatori del sistema – nei criteri di fondo che tuttora rendono assai prospera e apparentemente invincibile la fabbrica dei divorzi.
In sintesi, possiamo dire con certezza che la teoria del divorzio come male minore, nella maggior parte dei casi, rappresenta solo un falso pregiudizio per offrire un alibi alla coscienza di chi quel divorzio lo vuole, così come delle altre persone che vengono coinvolte. Però è proprio quel pregiudizio che attira milioni di persone e i loro figli nel tritacarne divorzista. Il più delle volte, senza che alcuno di essi riesca mai a incontrare, dall’inizio della crisi fino ai suoi esiti più rovinosi, qualcuno che sia in grado di offrire in modo credibile un’alternativa.
O almeno – come si diceva in precedenza – che sia in grado di dirgli qualche "no", che poi è il principio di ogni percorso educativo.
Perché, alla fin fine, si tratta solo di un problema di educazione".

Da "La Fabbrica dei Divorzi", pag. 25:

"... Da pietosa esigenza per legalizzare situazioni eccezionali, nate da matrimoni tragicamente sbagliati, il divorzio si è dunque trasformato in un diritto insindacabile della persona. Un diritto che l’autorità pubblica si sente tenuta a riconoscere e garantire – e persino favorire – nel modo più ampio possibile. Nel nuovo sistema giudiziario, "la famiglia, in definitiva, tende a porsi in funzione della persona", ha riconosciuto Cesare Massimo Bianca, autore di un trattato di diritto civile che risale agli anni ‘80 ed è considerato tuttora tra i più autorevoli.
In quest’ottica, la "liberazione" dell’individuo dai legami familiari è stata assecondata come un processo positivo. La visione di fondo è diventata quella del primato dell’individuo, da liberare dalla potenzialità oppressiva della famiglia tradizionale, vista come espressione di un passato autoritario.
Se quasi cinquant’anni fa il giurista Arturo Carlo Jemolo, con espressione che fece epoca, sosteneva che la famiglia è un’isola che il mare del diritto dovrebbe solo lambire, oggi invece si può ipotizzare che la prassi giuridica in tema di separazione coniugale, divorzio e affidamento dei figli minori abbia invece contribuito non poco a sommergerla" .

[8 ottobre 2008]