Dersu Uzala

il piccolo uomo delle grandi pianure
Regia: Akira Kurosawa
con: Maksim Manzuk, Yuri Solomin

Genere Drammatico Avventura,
Giappone / USSR 1975.
Durata: 128’

Il film è stato tratto da due libri scritti da Vladimir K. Arseniev

Frasi del film
“Capitano, tu bravo omo”
“Come è fragile l’uomo, com’è debole e piccolo.”

recensione di Roberto Pelusio 

L’avventura dell’uomo nella natura è sempre profondamente avventura dello spirito e imprescindibilmente avventura del corpo, soprattutto quando le due cose si seguono.
Perciò il grande entusiasmo che ha accompagnato film come il recente “Into the wild” è anche il segno di una rinnovata domanda in questo senso.
Non solo Into the wild ma per esempio anche il film “Grizzly man” di Herzog raccontano la vicenda di giovani uomini che fuggono dalla civiltà, dai legami e dalla famiglia in crisi, e iniziano un cammino di ricerca nella natura e nella solitudine.
Sono storie che dicono un po’ la crisi dell'uomo di oggi che, col suo carico di ferite di sofferenza e di malattia, tenta coraggiosamente di ritrovare la pace e l’unità, quella dimensione del desiderio che gli manca e che è l'immenso, il respiro del cuore, e di distruggere le meschinità dell'uomo. Ma questi protagonisti corrono però il rischio, nel loro volo solitario, di bruciarsi le ali e di lasciare un amaro senso di incompiuto una volta giunti alla fine del percorso.

“Happiness only when shared”, la felicità c’è solo se è condivisa, recita una significativa frase del film “Into the wild”, ed è come un grido rivolto a tutta la comunità umana, non solo detto a se stessi.

Le cose vanno diversamente in questo straordinario film di Kurosawa, pur camminando nello stesso solco dell’avventura nella natura e ripercorrendo gli stessi temi.

“No spara, io sono omo!” sono le primissime parole con cui si presenta il personaggio più indimenticabile di questi viaggi, Dersù Uzala, il piccolo uomo cacciatore.
Lo incontra per caso un gruppo di soldati esploratori delle vaste regioni della Taiga russa, perché incontri eccezionali come questo li si può fare solo incamminandosi lungo sentieri non tracciati, arrischiandosi in territori estranei, lontano da quelli soliti.
Qui non si avverte la solitudine dell’uomo isolato e senza comunità o in fuga da essa: “Stavamo parlando, era notte, faceva freddo. Dersu guardava il fuoco.
“Se tua vita cambia, se un giorno tua vita cambia, tua moglie muore, tuo figlio muore, tua casa brucia, non puoi cancellare quello che è successo. Se un giorno tuo fratello ruba tua moglie tu devi andare, solo, fino al giorno che non sarà momento di tornare. Un anno, due anni quaranta anni… tu non sai. Tuoi pensieri dovranno viaggiare. Solo dopo tu poi tornare.”

E’ vivo il senso di un destino che guida e accomuna gli uomini, e non li lascia estranei ma li fa camminare insieme.
Dersù sorprende tutti non solo perché in questo territorio difficile e insidioso lui sa invece muoversi con intuito destrezza e viva ingegnosità, ma perché i suoi pensieri e le sue azioni (sempre sostenute da una logica inattaccabile), non chiedono mai più di quello che serve e nello stesso tempo risultano economicamente le più generose e godibili, anche se magari difficili e faticose. Per lui fuoco, acqua, vento, sole, luna... tutto è "uomo" e tutto è vivo, la foresta è popolatissima, l'universo pieno di segni e indicazioni da saper leggere e amministrare.

Conosce il dolore della perdita della famiglia ma il mondo da cui proviene è sovrabbondante di ricchezza e di pace. Dersù è lui stesso uno straniero inafferrabile in mezzo agli altri, ma non è padrone, in lui c’è posto anche per l’ ”altro” che non conosce e che non incontrerà mai, tutto è per l’uomo e l’uomo è per l’universo. Le dimensioni e il respiro si fanno immensi, al contrario di quanto accade nella metropoli, nella civiltà fatta di privazioni e di regole.

L’intero percorso del film dalla prima all’ultima scena è situato dentro l’abbraccio di un amicizia, quella tra il Capitan! della spedizione (il capitano Arseniev) e Dersù, uniti nella vita e nella morte in una salda fedeltà. Come se solo all’interno di questa amicizia, entrambi i mondi, quello civile metropolitano e quello della foresta, riescano a vivere procedere e splendere, e invece si spengano e sprofondino nella tristezza quando per esempio la foresta scompaia inghiottita dalla città o quando l’uomo che abita la foresta venga irrimediabilmente strappato ad essa, oppure al contrario quando i fantasmi della foresta prevalgano sulla ragione e sprofondino l’uomo.
Un’amicizia che mi è parsa come una grande promessa, come il canto degli uomini che hanno trovato il senso della fraternità e della comunità umana, dell’avventura e dell’iniziazione.

 

 

 

 

 

 

[15 giugno 2009]