L'ultimo bacio

Con Stefano Accorsi, Giovanna Mezzogiorno,
Stefania Sandrelli, Giorgio Pasotti.
Regia di Gabriele Muccino

Fandango Medusa 2000

Recensione curata da Riccardo

I trent’anni, come ha scritto una volta Robert Brasillach, sono «l’asse più enigmatico della vita umana»: a trent’anni finisce la gioventù e anche se per fortuna qualche incertezza è ancora prevedibile almeno «tutta una parte della vita è fissata». Quello che saremo un poco già lo siamo e «la libertà e la bellezza, sfuggite all’adolescenza, minacciate dall’avvenire, sono per la prima volta congiunte alla lucidità…In fondo il trentesimo anno è l’età in cui, per la prima volta, i sentimenti e le condizioni della vita, si presentano e si presentano in un corpo giovane. Di qui il contrasto, il piacere e, talvolta, la pena».
Pensavo a queste riflessioni di Brasillach mentre guardavo L’ultimo bacio di Muccino, un film sui trent’anni di un gruppo di giovani uomini spaventati di non poter più essere dei ragazzi. Carlo ha trent’anni, è laureato e lavora. Poiché la fidanzata Giulia aspetta un figlio, i due progettano di sposarsi. Eppure a Carlo manca qualcosa.

Anche i suoi amici sono sulla trentina e anche loro non sono felici. Uno ha un bimbo ed è sposato da due anni ma la moglie e l’azienda lo soffocano. Un altro è stato lasciato dalla ragazza, ne è ancora innamorato, ma sogna di andarsene via, via dalla città dove è sempre vissuto, via dal padre malato, via dal negozio di famiglia in cui la madre vuole vada a finire.
Un altro ancora vive di sensazioni, fuma hashish e fa l’amore ogni sera con una donna diversa. La sera prima del matrimonio di un loro amico si ritrovano per l’addio al celibato. Hanno paura di diventare come i loro padri, di rincoglionirsi davanti a una televisione coi piedi infilati nelle pantofole, hanno paura di finire come tutti, “morti dentro”, anche se una volta l’avevano giurato che loro quella fine non l’avrebbero mai fatta. Il film di Muccino è ben fatto ed anche il ritmo narrativo è intonato all’intreccio degli eventi e alla psicologia dei personaggi. Sullo sfondo si snoda anche la storia dei genitori della fidanzata di Carlo, Giulia, sposati da tanti anni…si vogliono bene, ma il fuoco s’è spento: lui, psicanalista, è ormai solo cervello, lei, sfiorita, cerca amore e attenzioni altrove.
Viene poi fuori che lei, una volta, il marito lo tradì, con un professore che adesso ha un’altra donna. Quello dei genitori di Giulia è un matrimonio fallito, di cui sono rimaste le ceneri. I nostri giovani protagonisti hanno paura di questa fine, eppure che fare…? A trent’anni «siamo in un’età in cui ci troviamo messi con le spalle al muro dall’obbligo di cambiare, ché prolungare le forme della nostra gioventù comincia a diventare ridicolo».
Carlo convive con la fidanzata, lei ha nel ventre il suo bambino, ma a lui manca qualcosa. Al matrimonio dell’amico capisce cosa: incontra una ragazza, è bionda, ha diciott’anni.

La bellissima giovane, Francesca, lo guarda e gli sorride col capo piegato e quella incoscienza che solo le adolescenti hanno. «Non v’è che una gioventù nella vita e si passa il resto dei nostri giorni a rimpiangerla e nulla al mondo è più meraviglioso e commovente…Se fossimo franchi verso noi stessi quante volte ci lasceremmo andare, ci morderemmo le palme e i pugni, chiusi gli occhi su una sera d’estate in riva al mare oscuro, su una coppia che danza, davanti alle colline, sopra una classe di liceo…».
Una classe di liceo appunto e Carlo una mattina, dopo che ha pensato a lei per giorni, torna da Francesca andandola a prendere davanti al liceo. Egli sa che a trent’anni «correre dietro agli incanti, alle gioie e alle pene della gioventù può diventare un dramma», ma va lo stesso. Intanto uno dei suoi amici, quello col figlio, decide di mollare la moglie e di partire con gli altri, con una nave un camper o in moto fa lo stesso, l’importante è fuggire da una morte sicura…per andare verso la vita, in Africa, in Australia o chissà dove.

Il viaggio di Carlo è Francesca. Si libera da Giulia con una scusa, stacca il telefonino e corre da lei per portarla ad una festa. Ci balla, si lascia stordire dalla musica e dal sorriso d’una ragazza che lo fa sentire come non si sentiva da dieci anni.
La moglie…il figlio in arrivo…il lavoro…gli obblighi, tutto sparisce negli occhi azzurri e sognanti di Francesca che è già innamorata di lui. Il trentesimo anno è l’età degli errori talvolta gravi, perché si immagina di potere prolungare ancora quei minuti, si crede di trattenerli fra le mani come sabbia o come acqua: l’apparenza fisica, le circostanze, la prossimità troppo grande della gioventù ci ingannano e noi crediamo che ci sia ancora tempo. Ci sarà altro tempo, quando altre gioie potranno essere nostre, ma non quelle! Di queste altre gioie Carlo non sa nulla, ma si ricorda benissimo delle gioie di quando aveva vent’anni, di quei minuti magici sepolti che Francesca ha riportato alla luce, e in modo così forte che Carlo crede di esser felice, perché ha provato intanto cosa sono la privazione e il peso.
Intanto il padre malato di uno degli amici muore. Proprio in quella casa si danno convegno tutti tranne Carlo che è con Francesca, così lontano dalla morte e dal dolore. Proprio qui la fidanzata, dall’imbarazzo di un amico che sa come stanno le cose, scopre che Carlo è con un'altra. L’aspetta a casa, lo sputtana, lo ingiuria e infine lo lascia. A Carlo, adesso, quella storia da ventenne va stretta. Sente che il suo posto è con la donna che sarà sua moglie e col bambino che lei porta in grembo. Gli amici che volevano partire se ne vanno il giorno del suo matrimonio. Carlo infatti lascia Francesca e viene perdonato da Giulia. Il suocero con filosofia minimalista lo istruisce sul matrimonio: le piccole gioie, la pazienza che ci vuole, la soddisfazione nel costruire in mezzo alle difficoltà e al tedio qualcosa che resta, nonostante tutto. Nasce Sveva, la bambina. Carlo è felice e si vede in prospettiva: un maturo signore con la villa, il cane e la piscina.

«Si comincia a non essere più giovani quando si comincia ad avere bisogno del denaro per costruire lo scenario della propria vita». Il film finisce con la scena della moglie di Carlo che fa footing, e ammicca al sorriso di un corteggiatore.
Un finale equivoco che non aggiunge nulla però ad un film che ha saputo cogliere un clima e una situazione. Quella di noi, trentenni di oggi che non abbiamo più déi, che non abbiamo più idee, che non crediamo più né a Marx né a Gesù Cristo (almeno per come ce lo hanno raccontato).
Noi che i padri ce li siamo dovuti cercare e inventare. A noi nessuno ci ha insegnato che cosa significa essere uomini e quali sono le altre gioie di cui parlava Brasillach, quelle che possono essere nostre dopo i trent’anni. Però non inganneremo noi stessi come quei coglioni che ci hanno chiamato “la generazione X” e che ancora, queruli e inutili come sempre sono stati, parlano a cinquant’anni con l’arroganza di quando a venti erano coccolati dal potere a cui giuravano di fare la pelle solo perché volevano metterci le mani. Impareremo vivendo le gioie dell’età adulta. Sbagliando se necessario.