Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano

Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano

di François Dupeyron

Parigi, anni 60, in un quartiere popolare con molti immigrati. Il film narra la storia del rapporto di paternità spirituale che si instaura fra un ragazzo ebreo sedicenne ed un commerciante del quartiere, musulmano di origini turche. Il ragazzo vive col padre, un uomo chiuso ed irigidito dall'abbandono della moglie,e che non riesce ad instaurare un vero rapporto col figlio.

La loro relazione si limita ai costanti rimproveri paterni, per lo più per questioni di soldi, ed al confronto svalutativo con un fantomatico fratello maggiore, che poi si rivelerà una figura immaginaria. Il film ci parla delle prime esperienze sessuali del ragazzo con prostitute del quartiere e della simpatia che prova per lui Ibrahim, l'anziano proprietario di una bottega di alimentari, nella quale il ragazzo compie piccoli furti, bonariamente smascherati dall'uomo che coglie l'occasione per raccontargli la serenità che gli proviene dal vivere secondo gli insegnamenti del Corano. Ti autorizzo a "rubare" liberamente, gli dice, perchè "tutto ciò che doni sarà tuo per sempre, tutto ciò che trattieni sarà perduto per sempre". Il rapporto del ragazzo col padre si interrompe drammaticamente, quando l'uomo, licenziato dal lavoro, non regge alla vergogna e dapprima sparisce, lasciando al ragazzo i soldi residui ed una lettera di scuse, poi viene trovato suicida. La reazione di Mosè, questo il nome del giovane, alla notizia, è di dolore e rabbia compresse. Si limita a stringere violentemente un berretto fra le mani, e dichiarare dopo, a Ibrahim, che il suicidio è il peggior tradimento che un padre possa fare al figlio. Il rapporto con Ibrahim, dopo che Mosè non si è fatto riconoscere dalla madre che era andata a trovarlo, forse per portaselo via, si fa sempre più stretto. Nel vecchio commerciante trova il padre che non ha avuto, con cui parlare e confrontarsi e da cui apprendere la vita. E Ibrahim trova nel ragazzo il figlio mai avuto. Lo guarda crescere, lo incita a progettare il suo futuro. Fino a che non lo adotta. Per festeggiare, Ibrahim acquista un'auto nuova fiammante e intraprende con Mosè un lungo viaggio verso il suo paese d'origine, da cui era lontano ormai da decenni. Un viaggio all'indietro, per ritrovare le sue origini e farle conoscere al figlio, attraverso paesaggi bellissimi ed a volte spettrali, che si conclude tragicamente. Arrivati in un paesino sperduto, Ibrhaim lascia a piedi il ragazzo sconcertato, dichiarando che deve andare in un luogo non precisato, oltre la montagna. Non ci arriverà mai in quel luogo, perchè morirà in un incidente d'auto. O forse era già arrivato dove voleva. A morire nei luoghi della sua nascita, rasserenato dal fatto che ha potuto trasmettere qualcosa di sè al futuro, vivere di nuovo tramite il figlio adottivo. Il quale, infatti, torna a Parigi e prosegue l'attività del padre. Un affresco a tinte morbide, di sostanziale serenità ma non per questo meno profondo, sulla voglia e la necessità di padre, sulla paternità come compimento della vita di un uomo, sull’archetipo universale della paternità, che accomuna ogni uomo indipendentemente dalle culture e dai credi religiosi.