The road

Di John Hillcoat
Con Charlize Theron, Viggo Mortensen, Guy Pearce, Robert Duvall
USA 2009
Dal romanzo di Cormac McCarthy
A cura di Armando Ermini

“Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli” (Mt 18,2-4).

E’ ciò che mi è venuto in mente guardando il film. Il quale ha non soltanto il merito di rendere fedelmente lo spirito e le atmosfere del romanzo a cui si ispira (leggi qui) ma offre anche una chiave di lettura del libro che mi era parzialmente sfuggita. E’ vero infatti che il padre aiuta il figlio a farsi adulto, a difendersi dal male per poter ancora sperare nella salvezza. Ma è altrettanto vero che il piccolo, con la sua purezza di cuore, aiuta il padre a non inaridirsi nel perseguire la sua missione salvifica. Per essere davvero fra i “buoni”, come chiede insistentemente il ragazzo, occorre non dimenticare che oltre la ragione e la prudenza, che pure sono motivi validi per non abbassare mai la guardia, esistono anche intuito, speranza e pietas che fanno percepire quella scintilla d’umanità ancora attiva nella disperazione e nel male che hanno preso il sopravvento nel mondo.
Tante volte abbiamo visto come le missioni iniziate con le intenzioni più nobili si sono rovesciate nel loro contrario, e anziché salvezza e libertà hanno portato morte e schiavitù, e tante volte abbiamo visto trasformarsi i difensori dei deboli in feroci repressori di chiunque, ai loro occhi accecati, poteva anche solo apparire come nemico.
In questo senso il bambino del film può essere letto anche come il bambino interiore del padre, la sua anima ancora vergine, non contaminata dal male, che lotta contro la freddezza della ragione logica per non esserne fagocitata e perdere così l’uomo, e l’umanità intera.
“Essere duri senza perdere la tenerezza”, scriveva nelle sue memorie Ernesto Che Guevara, di cui non mi interessa l’ideologia rivelatasi fallace di cui era portatore, ma l’intuizione che il bene comune potrà venire solo da quegli uomini che anche nella lotta più dura, anche nell’uso della forza e della violenza talvolta necessarie, sappiano tuttavia conservare dentro di sé il nucleo di originaria innocenza e purezza infantile. E’ questo che che consente a padre e figlio “portatori del fuoco” , così si definiscono con una immagine presente anche in “Non è un paese per vecchi, di salvare la vita e il mondo. Il loro è un fuoco che riscalda illumina, ma esiste anche il fuoco che brucia e inaridisce, come quello che nel film e nel romanzo ha distrutto il mondo.