Chi è tuo padre? un donatore anonimo di sperma

Washington Post - Pagina B01- di Katrina Clark - domenica, 17 dicembre 2006

Non mi aspettavo davvero niente il giorno, all’inizio di quest’anno, in cui mandai una lettera elettronica a un uomo di cui avevo trovato il nome su Internet. Stavo cercando mio padre e, in qualche modo, quest’uomo sembrava coincidere con contratto. Ma non avrei mai pensato che ci avrei azzeccato al primo colpo. Poi ottenni una risposta – con una foto allegata. Sembrava che la mia faccia mi fissasse dallo schermo del mio calcolatore. E proprio così, dopo 17 anni, il pezzo mancante del puzzle andava al suo posto. Il puzzle di chi sono io.
Ho 18 anni e per la maggior parte della mia vita non ho conosciuto metà delle mie origini. Non sapevo da dove venissero il mio naso o la mia mandibola o il mio interesse per le culture straniere. Ovviamente ho preso i miei denti e il mio gusto per gli scherzi banali da mia madre, insieme alla mia visione femminista. Ma un’intera altra parte di me era un mistero.
Quella parte veniva da mio padre. L’unica cosa era che non lo avevo mai incontrato, non avevo mai sentito storie sul suo conto, non avevo mai visto una sua foto. Non conoscevo il suo nome. Mia madre non parlava mai di lui – perché non aveva un indizio di chi fosse.
Quando aveva 32 anni, mia madre – single e preoccupata che non si sarebbe mai sposata né avrebbe avuto una famiglia – permise a un dottore in guanti di gomma di iniettarle nell’utero una siringa di sperma di uno sconosciuto, così che potesse avere un bimbo. Io sono il risultato: un figlio concepito da un donatore.
E per un certo periodo ero abbastanza arrabbiata per questo. Ero arrabbiata all’idea che, laddove sia in discussione il concepimento da donatore, ognuno si concentra sui “genitori” – gli adulti che possono fare scelte riguardo alla loro vita. L’accettore guadagna simpatia per aver voluto avere un figlio. Il donatore riceve una garanzia di anonimato e l’assoluzione da ogni responsabilità per la prole proveniente dalla propria “donazione”. Purché questi adulti siano felici, allora il concepimento da donatore è un successo, no?
Non è così. Anche i figli nati da queste transazioni sono persone. Quelli fra noi della prima generazione documentata di bimbi di donatori – concepiti alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90, quando le banche dello sperma divennero più comuni e l’inseminazione da donatore iniziò a fiorire – stanno divenendo maggiorenni e abbiamo qualcosa da dire.
Io vi sto dicendo che,. Da un punto di vista emotivo, molti di noi non ce la fanno più. Noi non abbiamo chiesto di nascere in questa situazione, con le sue confusioni e limitazioni. E’ ipocrita da parte di genitori e medici ritenere che le radici biologiche non costituiranno un problema per i “prodotti” del servizio delle criobanche, quando è proprio la ricerca di una relazione biologica a portare, per prima cosa, i clienti alle banche.
Noi prole stiamo riconoscendo i diritti che ci sono stati tolti alla nascita – il diritto a sapere chi siano entrambi i nostri genitori. E siamo pronti a reclamarli.
Crescendo, non era importante che non avessi un babbo – o, almeno, era quanto mi dicevo. Solo qualche volta, quando ero piccola, avevo sogni a occhi aperti di un uomo alto e magro che mi prendeva e mi faceva dondolare per il cortile di fronte, un uomo virile che si scioglieva per un tocco della sua bimba. Non mi sarei preoccupata se egli non fosse stato in giro tutto il tempo, purché avessi potuto avere i dolci momenti di riunione con le sue forti braccia e la sua risata cordiale. I miei sogni a occhi aperti finivano sempre improvvisamente; sapevo che non avrei mai avuto un babbo. Come meccanismo di sopravvivenza, ero solita pensare che fosse morto. Ciò rendeva le cose più facili.
Non sono mai stata arrabbiata con mia madre – tutta la mia vita ella è stata il mio eroe, il mio tutto. Ella si è sacrificata tanto come ragazza madre, vivendo coi punti del cibo, cercando di far quadrare I conti. So che la gente la considerava una pioniera, un’apripista per una nuova offensiva del movimento delle donne. Ella mi spiegò, quando ero molto piccola, perché non avevo un "babbo", solo un "padre biologico". Amavo ripetere quella parola -- biologico – perché mi faceva sentire in gamba, anche se non capivo le sue implicazioni.
Poi, quando ebbi 9 anni, la mamma di una delle mie compagne di classe concorse per una carica politica. Ricordo di aver visto una pubblicità televisiva per lei e la sua famiglia compariva alla fine – la completa tenuta nucleare nel cortile, I bimbi che giocano con l’altalena sospesa da un albero e che mangiano la grigliata del padre. Io guardai indietro alla mia sola e stanca madre che sedeva con un pallido sorriso sulle labbra.
A metà della quinta, conobbi una nuova amica con cui avevamo molto in comune: entrambe avevamo la madre single. Sua madre era passata da due divorzi. La mia amica non aveva molto da dire su suo babbo, principalmente perché conosceva poco di lui. Ma almeno a lei capitava di far visita a lui e alla sua nuova famiglia. E io ero gelosa. Più tardi, in ottava, il padre di un’altra amica ebbe una storia e i suoi genitori divorziarono. Ella era in un grande dolore e io tentai di starle vicina per la perdita del padre. Ma ero gelosa anche di lei per tutte le attenzioni che stava ricevendo. Nessuno mi aveva mai offerto supporto o simpatia così.
Più o meno in questo periodo, mia madre e io andammo a vivere con un’amica e – insieme a diversi altri adolescenti, un bimbo e alcuni altri adulti – vivemmo con lei per circa un anno. Io attraversai una fase di rabbia adolescenziale; volevo stare in camera mia, ascoltando le canzoni di Avril Lavigne e di Eminem di case rotte e di persone distrutte. Anche io mi sentivo distrutta. Tutti gli altri adolescenti in casa avevano problemi coi loro babbi. Sedevo con loro attraverso le lacrime per molte dure volte e poi tornavo in camera mia ad ascoltare altro Eminem. Anche io ero arrabbiata ed arrabbiata del fatto che non avevo un luogo dove indirizzare la mia rabbia.
Quando, alla fine, mia madre si sposò, io non andai con lei e il marito. Era stato così a lungo solo noi due, mia mamma e io, che ora mi sentivo come la terza incomoda. Quando io e lei litigavamo, questo uomo nuovo nelle nostre vite prendeva a dare la propria opinione e a me ciò non garbava. Un giorno, persi le staffe e gridai che egli non aveva alcuna autorità su di me, che non era mio padre –perché io non ne avevo uno.
Fu allora che il vuoto piombò su d me. Mi resi conto di essere, in un certo senso, un’anormale. In realtà, non avevo mai veramente avuto un babbo. Finalmente compresi cosa vuol dire concepita da donatore e odiai ciò.
Avrebbe potuto continuare in questo modo indefinitamente, ma, circa un anno fa, mi capitò di vedere un programma televisivo relativo a una donna che era morta per un infarto cardiaco. Una malattia genetica le aveva deteriorato il cuore, ma ella non sapeva della propria predisposizione perché era stata adottata da bimba e non conosceva la storia medica delle sue famiglie. Mi colpì che neanche io sapevo le mie. O, almeno, una.
Così cominciai a cercare la Fairfax Cryobank, la banca del seme della Virginia settentrionale dove mia madre era stata inseminata. Sapevo che i donatori di sperma vengono selezionati ed esaminati accuratamente, ma ero ancora preoccupata. La banca era stata fondata nel 1986, solo due anni prima del mio concepimento. Molte malattie erano venute alla luce da allora.
Mandai messaggi di posta elettronica alla banca cinque volte nel corso di un anno, richiedendo informazioni mediche relative al mio donatore, ma nessuno rispose. Poi, un venerdì, durante l’ultima primavera, partii a navigare in Internet. Alla fine giunsi a un archivio dello spettacolo "Oprah". Uno era un programma sull’inseminazione artificiale usando donatori anonimi. Una ragazza era appollaiata su un divano di Oprah. Accanto a lei sedeva il suo “donatore”, l’uomo che era suo padre biologico.
Rimasi gelata. Perché non ci avevo pensato prima? Se volevo informazioni mediche e un senso delle radici, chi cercare più che l’uomo responsabile di esse?
Mi misi a cercare il mio donatore personale. Dalle informazioni limitate che erano state date a mia madre – gruppo sanguigno, razza, etnia, colore dei capelli e degli occhi e tipo di capelli; I suoi anni di college e corsi di studio – conclusi che si era probabilmente laureato in un’università da quattro anni nella Virginia del Nord o ne Distretto in un arco di tre anni. Ora tutto quello che dovevo fare era di cercare fra i registri e gli annuari di tutte le possibili università e fare qualche telefonata imbarazzante. Mi immaginavo che, se avessi lavorato abbastanza intensamente, la mia ricerca avrebbe richiesto un minimo di 10 anni. Ma ero pronta e desiderosa.
Pochi giorni dopo, cercando un comitato di messaggi on line per persone concepite da donatori, venni a disporre di un registro di donatori e prole. Esplorando alcune voci passate per I donatori più recenti, trovai una data di donazione più vicina a ciò che stavo cercando. Mandai una lettera elettronica all’uomo che aveva inviato la voce. Pochi giorni dopo egli mi inviò una calda risposta e attaccò una sua foto. Lessi le sue piacevoli parole e andai in fondo per vedere la foto. Il respiro mi si bloccò. Chiamai mia madre che corse dentro, pensando a qualcosa di terribilmente grave. "Penso di aver trovato il mio padre biologico", singhiozzai in lacrime. "Guarda la foto. . . .E’ la mia faccia".
Dopo alcune settimane di scambio di posta elettronica, questo estraneo e io facemmo un esame del DNA. Quando i risultati arrivarono, strappai la busta sentendomi come un personaggio di una soap opera. La maggior parte del linguaggio scientifico era al di là della mia comprensione, ma capii un fatto molto più chiaramente di quanto avessi capito qualsiasi altra cosa nella mia vita: la lettera diceva che c’era un 99.9902 per cento di probabilità che quest’uomo fosse mio padre. Dopo 17 anni diedi sfogo a un lungo pianto.
Avevo trovato l’uomo che mi aveva dato gli occhi azzurri e i capelli biondi. E ciò mi aveva richiesto solo un mese.
La mia vita è cambiata da allora. Una volta allontanata l’incredulità iniziale, i miei pensieri si rivolsero a tutti gli altri figli concepiti da donatore al di là di chi aveva o avrebbe trattenuto il respiro più a lungo di me. La mia ricerca di mio padre era stata insolitamente vittoriosa; la maggior parte della prole cercherà per molti molti anni prima di avere successo, se mai lo avranno.
Il mio cuore andò agli altri, specialmente dopo che ebbi partecipato a un apio di gruppi on-line. Quando lessi qualcosa sui pensieri delle madri sulle loro scelte per il concepimento, ciò mi fece sentire degradata a niente più di una provetta di sperma concgelato. Mi sembrò che la maggior parte delle madri e dei donatori dessero poca attenzione ai sentimenti dei bimbi che risultavano dalle loro azioni. Non è tanto che siano insensibili, quanto che non considerano ciò che i figli potrebbero pensare una volta cresciuti.
Quelli fra noi creati con sperma donato non resteranno mocciosi per sempre. Noi stiamo per crescere tutti fino ad adulti e per formarci opinioni sulla decisione di metterci al mondo in un modo che ci priva del diritto fondamentale di sapere da dove veniamo, quale sia la nostra storia e chi siano entrambi i nostri genitori.
Alcuni Paesi, come l’Australia e il Regno Unito, stanno cominciando ad allontanarsi dalla pratica di pagare i donatori e di garantire loro l’anonimato e stanno cominciando a rendere un po’ più facile per la prole trovare Il padre biologico. Capisco la richiesta di anonimato per così tanti donatori: anche se la prole dovesse rintracciarli un giorno – ciò che sta divenendo sempre più probabile – Essi non hanno alcun obbligo legale, sociale, finanziario o morale verso i propri figli.
Ma forse, se I donatori non venissero pagati e l’anonimato non venisse più garantito, quelli che ancora vorrebbero partecipare considererebbero seriamente le ripercussioni delle loro azioni. Essi dovrebbero essere pronti un giorno o l’altro a incontrare persone che hanno contribuito a creare e a trattare una serie di emozioni erratiche dalla loro prole. Io credo di aver tralasciato ogni risentimento su come sono stata concepita. Sto giocando le carte con cui ho a che fare e sto cercando di fare le cose migliori. Ma non tutti i concepiti da donatori condividono questa visione.
Dato che ho avuto sollievo nella mia situazione personale, ho parlato liberamente e regolarmente del fatto di essere stata concepita da donatore, in pubblico e in privato. All’inizio ne parlavo un sacco anche col mio padre biologico. Dopo un po’, tuttavia, notai che il suo entusiasmo per lo sviluppo della nostra relazione sembrava scemare. Quando gli parlai del mio sospetto, egli confermò di essere stanco di "tutta questa faccenda del donatore di sperma". L’ironia mi colpisce vieppiù ogni volta che penso a lui che dice così. La cosa che realmente ci ha messo insieme ci stava spingendo in direzioni opposte.
Anche se sono venuta a contatto con lui solo recentemente, non sarei in grado di adularlo se smettesse di comunicare con me. C’è ancora così tanto che vorrei sapere. Voglio conoscerlo. Voglio conoscere la sua famiglia. Sono certa che non abbia idea di che grande ruolo ha avuto nella mia vita nonostante la sua assenza – o a causa della sua assenza. Se non posso essere troppo attaccata a lui come mio padre, posso ancora essere attaccata alla sensazione che io ora ho di avere un padre.
Mi sento molto più intera ora di quanto mi sia mai capitato. Amo le nostre conversazioni, anche le più banali. Non lo amo e non so se l’amerò mai, ma mi preoccupo un sacco di lui.
Ora che sa che io esisto, sono tranquilla se non si cura di me allo stesso modo. Ma spero che almeno pensi a me qualche volta.

[05 dicembre 2007]