Quando tua moglie rapisce tuo figlio

di Griffin Stone

Articolo pubblicato in The Spectator - 24 Agosto 2002

Questo articolo ci è stato segnalato da Matthaus Huber (BA Science of Education University Bamberg, Germany, BA German Literature and Philosophy
University Lille, France, Teacher of Modern Languages, Father of two
boys) che commenta: ‘The Spectator è un’autorevole settimanale inglese (vedi http://www.spectator.co.uk/article.php3?table=old&section=current&issue=200). Sarebbe molto importante ed utile se, dopo la lettura di questo articolo, si inviasse un breve testo di incoraggiamento e di commento al giornale inglese per mostrare alla stampa che questo argomento suscita attenzione anche in Italia. Scrivi a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

In questo articolo Griffin Stone mostra in che modo la Giustizia britannica calpesta i diritti dei padri e in modo brutale li priva della facoltà di vedere la loro prole.

«Io sono membro di un gruppo al quale mai avrei pensato di aderire. Conoscevo poco di questa associazione, finché non ne divenni un partecipante. Preferirei uscirne ma non posso prendere la decisione, sfortunatamente, in prima persona. Giudico i miei consoci una stirpe di nobili perdenti, benché l'immagine che ho di me stesso non mi permetta di ritenermi tale. Questi consoci sono uomini - sì, si tratta di un gruppo maschile (in modo noioso) benché risulti che alcune donne ne abbiano ottenuto l'ingresso - che hanno perso battaglie in tribunale (in genere sono i più), lotte personali, denaro, tempo, tranquillità e reputazione professionale, ma ancora continuano a combattere in quanto credono di essere nel giusto (per quanto riguarda i diritti), perché non possono farne a meno, e perché non se la sentono di lasciar perdere. Vorrei dire che molti di questi uomini portano avanti le loro idee in modo ossessivo. Io tuttavia non li posso biasimare.
Noi siamo padri che hanno visto stroncare la relazione con i propri figli. Il grado di allontanamento varia notevolmente, dalla situazione di padri che non hanno potuto vedere i loro figli per anni a quella di altri che possono incontrarli poche volte all'anno o al mese, ma in condizioni controllate e spesso svilenti.
Questi, di cui sto parlando, non sono uomini che hanno abusato dei figli, devianti sessuali, tossicodipendenti o alcolizzati, sebbene alcuni di loro siano stati accusati di appartenere ad una di queste categorie.
I membri di questo club sono, (in modo ancora noioso), uomini onesti che hanno avuto figli con donne che probabilmente gradirebbero vedere i loro ex-mariti scomparire dalla faccia della terra, e poi senza ragione togliere loro, in parte o del tutto, la possibilità di vedere i figli.

In tutta l'Inghilterra, in questo momento, molti figli vengono privati della relazione e del contatto con una delle più importanti figure della loro esistenza: il loro padre. Pochi comprendono quanto fenomeno sia diffuso: secondo l'Associazione “Families Need Fathers”, un numero di uomini, che varia dal 40 al 50 %, perde il contatto con i figli nel giro dei primi due anni di separazione. Possiamo perciò concludere che in una nazione in cui il 50 % delle coppie si separerà prima che i figli raggiungeranno i 15 anni un quarto dei figli non vedrà il loro padre.

Ed il sistema contribuisce a rendere tale la situazione.

Due lunedì al mese, un gruppo di padri che si trovano in questa situazione, si incontrano in un pub del paese non molto lontano da casa mia. Uno dei padri partecipanti è Paul. Egli e sua moglie si separarono e per alcuni mesi ebbero a disposizione, in comune accordo, una pari quantità di tempo per stare con i figli. Ci furono momenti di duro contrasto e dissenso, ma la cosa in linea di massima sembrava funzionare. Paul portò le sue figlie, di sei e otto anni, a fare una vacanza di una settimana in Cornovaglia. Pochi giorni dopo il rientro sua moglie dichiarò che le due figlie le avevano riferito che il padre era stato violento ed aveva abusato di loro. La moglie impedì totalmente al padre di vederle, adducendo la scusa che le due bambine erano terrorizzate al pensiero di incontrarlo. Tutti i tentativi di ragionare con la moglie fallivano. Paul aveva anche fotografie della vacanza che mostravano due bambine felici e sorridenti. Gli inservienti stessi dell'hotel resero dichiarazioni dinanzi a notaio che testimoniavano che nulla di spiacevole era accaduto e che i tre erano sembrati sempre felici insieme.
Tutto fu inutile. Paul si rivolse al tribunale per ottenere un provvedimento volto a regolare gli incontri con le figlie ma il funzionario presso l’ufficio del tribunale per l’assistenza sociale (court welfare officer) raccomandò a Paul una ripresa lenta e graduale degli incontri con le figlie, per ricostruire la fiducia della moglie nei suoi confronti.
In un'occasione il funzionario (una donna) disse a Paul che questa situazione si ripeteva sempre; lei stessa aveva impedito all'ex- marito di vedere i figli per 10 anni. Il caso non arrivò al tribunale per quasi un anno, periodo in cui Paul non poté vedere le figlie. Il tribunale alla fine stabilì che il padre poteva incontrare le sue figlie per 45 minuti, due volte al mese, in un centro di incontro e con la presenza della moglie. Ma anche questo era troppo per la moglie; dopo il primo incontro la donna si rifiutò di portare ancora le figlie per ulteriori incontri. Paul si rivolse ancora al tribunale che anziché tentare di far rispettare il provvedimento iniziale ridusse il diritto di Paul di incontrare le figlie a tre incontri di 45 minuti ogni due mesi sotto sorveglianza. Il tribunale rifiutò anche la richiesta di Paul di sentire liberamente le figlie almeno per via telefonica, sulla base del fatto che ciò avrebbe causato stress e tensione per la moglie. Dopo un periodo di 18 mesi dunque Paul ha potuto vedere le sue figlie per tre volte, in incontri di soli 45 minuti, sotto lo stretto controllo della madre. Su consiglio di uno psicologo infantile l’uomo ebbe indicazione di non toccare le figlie durante questi brevi incontri, per timore di mettere la ex-moglie in stato di agitazione.

Alcuni dei casi più drammatici relativi ai partecipanti del nostro gruppo hanno comportato la "libertà di trasferimento" (LEAVE TO REMOVE CASES) in cui la madre - sì, è sempre la madre - inoltra la domanda per portare via i figli a vivere con lei, in modo permanente, in un altro stato. Benché ufficialmente non vi sia la tendenza a favorire una madre che desideri lasciare il proprio Paese, di fatto è estremamente difficile impedirle di farlo.
Dopo aver preso il figlio di tre mesi ed essere tornata alla casa dei genitori, la moglie di Nigel presentò la richiesta di spostarsi a Philadelphia sostenendo di avere la possibilità di perseguire una brillante carriera in quella città. Già prima di tale richiesta aveva impedito a Nigel di vedere il figlio. In realtà, poi, questa donna di origine britannica, non aveva mai lavorato o vissuto negli Stati Uniti e non aveva in quel paese alcun legame familiare. Il giudice respinse le obiezioni di Nigel dicendo che la moglie sarebbe caduta in stato di stress (to be distressed) se fosse stata obbligata a trattenersi a Londra contro la sua volontà. Il giudice infine concedette a Nigel di vedere il figlio due ore al giorno per tre giorni consecutivi una volta al mese. Nigel dunque iniziò i suoi viaggi di frequenza mensile a Philadelphia, qualche volta trovando l'incontro col figlio cancellato, e comunque senza mai avere la possibilità di stare con piacere con il piccolo un minuto di più di quanto avesse stabilito il tribunale.
Poi però il sogno di un lavoro a Philadelphia diventò sgradito (apparentemente) alla ex- moglie che si spostò a Seattle (molto più difficile da raggiungere in quanto Philadelphia è sulle coste dell'Atlantico, mentre Seattle è sulle coste del Pacifico!, N.d.T). Una volta giunta a Seattle la donna presentò domanda al tribunale per far ridurre le visite di Nigel al figlio da una volta al mese ad una ogni tre mesi. Il tribunale inglese acconsentì e poi rimise la giurisdizione del caso ai tribunali nello stato di Washington. Le visite di Nigel al figlio sono ancora pesanti: è sempre presente qualcuno per osservarlo, spesso videoregistrando il tempo che egli trascorre con sua figlia. Con facilità le visite vengono annullate all'ultimo minuto. Nigel ha consultato legali statunitensi che hanno espresso choc e costernazione in relazione all'atteggiamento che i tribunali britannici assumono in casi simili al suo.

‘E’ legale tutto ciò? Può la moglie fare questo?’ chiede la gente che sente storie come quelle di Paul o di Nigel?
La risposta è un risuonante ‘SI’. Lei può fare qualsiasi cosa le piaccia.

Lezione numero 1 per qualsiasi uomo che si trovi implicato in una causa riguardante l’affidamento dei figli (child care):

tu sei colpevole finché l’innocenza non viene provata. Lei può dire e fare qualsiasi cosa per metterti sulla difensiva e tu dovrai metterti sulla difensiva. Intanto lei può anche essere un genitoreemotionally incompetentma questo non viene preso in considerazione se il figlio è vestito, nutrito e riparato da un tetto.
Hai tu la pesante responsabilità di dimostrare che tuo figlio dovrebbe avere la possibilità di vederti, passare più tempo con te, o stare con te di notte. Se la madre di tuo figlio decide di impedire gli incontri tra te e tuo figlio, lei lo può fare, senza badare al provvedimento del tribunale. Certo tu puoi rivolgerti a un tribunale per poter ristabilire i contatti, avere un appuntamento entro tre mesi, e probabilmente un giudice emetterà un provvedimento volto a far riprendere la relazione (in qualche modo). Ma tu avrai perso molti mesi della vita dei tuoi figli, in funzione di un piccolo pretesto, probabilmente inventato.

Lezione numero 2: il tribunale giustamente mette al primo posto il benessere di tuo figlio, come fondamento di tutte le sue decisioni.
Ma questo concetto (quale sia il benessere di tuo figlio) è un concetto nebuloso e molti giudici ritengono che il benessere della tua ex-moglie, che svolge un ruolo di "accuditore primario" (primary care-giver), sia funzionale (determinante) alla salute di tuo figlio. Perciò lei può dire: ‘Lui mi mette in agitazione’ e un tribunale può anche ridurre i tuoi incontri con i figli sulla base di quel pretesto.

La lezione numero 3 è che nessuno, a parte i tuoi amici e la tua famiglia, si preoccupa di ciò che sta accadendo, nonostante questo tipo di evento sia la più diffusa fonte di insoddisfazione nei confronti del sistema giuridico riguardante la famiglia.
Ci sono certamente autentici casi di padri che abusano o trascurano i figli; casi di madri rese inabili dalla droga, dall’alcol o dalla violenza; madri e padri incapaci; situazioni in cui il problema è stabilire la paternità e la somiglianza. Ma degli uomini che hanno avuto un figlio con una donna con cui non sono più sposati o con la quale non hanno più relazione circa il 90 % dice che vorrebbe passare più tempo con i loro figli. Nello stesso tempo il 42 % dei figli riferisce che la loro madre ha tentato di ostacolare la relazione con il loro padre. Una molto più alta percentuale di uomini dice che questo è un fatto che è loro accaduto. Ma non c’è alcun movimento maschile che ne parli. Parlare dei diritti dei padri è un fatto accolto solitamente con derisione. Noi siamo visti, perfino dalla magistratura, come un gruppo di deboli ossessionati incapaci di toglierci dai piedi. La società ci sta dicendo: “toglietevi di mezzo!”

Si suppone che non debba accadere tutto questo. Il Parlamento riconobbe tempo fa che la legge sulla famiglia lasciava poco spazio (poca possibilità) ai padri divorziati, e cercò di rettificare con il Children’s Act del 1989. Quella legge tolse di mezzo il concetto di custodia. Anzi, essa precisò un catalogo di responsabilità e di diritti genitoriali. In teoria questi ultimi sono in uguale misura condivisi dal genitore affidatario e da quello che è stato messo fuori di casa. Essi includono la responsabilità del nutrire, vestire e dare una casa al figlio, provvedere alla sua educazione, alla sua salute ed suo benessere.
Sempre secondo il Children’s Act il figlio ha diritto a mantenere la relazione con entrambi i genitori, ma non è mai stato definito, almeno di massima, un criterio che regoli le modalità con cui ciò possa avvenire. La formula “un week end sì e uno no; metà delle vacanze scolastiche” – lo standard accettato, nonostante sia meschino – non è riconosciuto dalla Legge britannica. E comunque quel diritto (del figlio) può essere continuamente calpestato dal genitore affidatario (quasi sempre una donna), senza alcuna conseguenza legale. Ci si chiede quale sia il motivo di ciò. Le spiegazioni non sono per nulla chiare. Secondo alcuni i giudici vogliono il minimo di noie ed il massimo di linearità nei casi. Chi potrebbe biasimarli? Dopo tutto ipotizziamo che tu sia un giudice e che tu prenda una decisione equilibrata e ragionevole, in una contesa tra un padre ed una madre, riguardo alla richiesta del padre di stare con i figli. C’è una buona possibilità che la madre violi il provvedimento, scompaia con i figli, o faccia una sceneggiata in tribunale. Tuttavia se tu passi dalla parte di lei e dici al padre di ritirare le richieste e lasciarli in pace, egli la prenderà da uomo e tutti staranno zitti. Nessun giudice infatti vuole essere accusato di avere un atteggiamento sessista, di avere pregiudizi, o di cospirazione. Perciò un modo per schivare i problemi è cercare di tenere fuori dai tribunali le persone che creano problemi e cioè: placare madri fuori di sé e punire aspiranti e zelanti padri.
Secondo altri la risposta automatica che spinge il giudice a favorire la madre è un’eredita della politica di stampo femminista. ‘Questo non è il volere del Parlamento, ma è il volere dei politici’ mi disse un Deputato. Questa è semplicemente una zona di politica e di legge che è stata ceduta al movimento delle donne’.

Più verosimilmente la spiegazione sta nell’inerzia e nella tendenza al disfattismo. Il Parlamento insiste nell’affermare di non poter essere implicato nelle decisioni giudiziarie, mentre la magistratura osserva che le sue decisioni riflettono il volere del Parlamento, benché questo non sia in modo dimostrabile il caso. La proposta di nuove leggi, in ambito giudiziario, dipende dall’esistenza di deliberazioni ragionate e ben formulate per iscritto che citano i precedenti con esattezza e rigore. I giudici al vertice del settore giudiziario che riguarda la famiglia hanno un interesse, tradizionalmente radicato, nel vedere mantenuti i loro ‘precedenti’. In relazione a questo l’andamento giuridico più comune viene accettato, benché molti di coloro che lavorano nel campo giuridico riguardante la famiglia sappiano che tale tendenza è antiquata, sbagliata e controproduttiva. Il dipartimento del Gran Cancelliere all’inizio di quest’anno ha pubblicato un rapporto intitolato ‘Making Contact Work’. L’esistenza di questo rapporto è un riconoscimento del fatto che in Inghilterra qualcosa non funziona nella gestione di questo problema. La pubblicazione ha proposto molti passi importanti da percorrere per migliorare tale gestione tra cui il potenziamento dei tribunali, necessario per ordinare consultazioni familiari ed educazione per i genitori che non riconoscono l’importanza dell’altro genitore. Il rapporto inoltre proponeva di prendere in considerazione un sistema (già utilizzato in California) di pari presenza delle figure genitoriali (equal parenting) nel quale il punto di partenza, al momento della separazione o del divorzio, consiste nel fatto che ognuno dei due genitori avrà il diritto ad una pari quantità di tempo per stare con i figli così come pari responsabilità, a meno che vi sia una ragione perché tale regime non possa essere concesso. Ebbene, anche tali proposte hanno suscitato opposizioni. Gruppi di donne che avevano partecipato alla stesura del rapporto hanno insistito sul fatto che il punto centrale su cui far vertere la discussione era il problema della violenza domestica, e si dichiararono contrarie ad un dibattito che conducesse al riconoscimento di pari diritti genitoriali.

Infine, per difendere l’anonimato dei nostri figli, i tribunali inglesi che trattano questioni familiari operano in una situazione di segretezza che sfiderebbe quella di qualsiasi dittatura. Benché vi siano buone ragioni per giustificare questo clima di segretezza, il risultato è quello solito che è prodotto da qualsiasi istituzione tenuta al riparo dall’attenzione critica: abuso, arroganza, eccesso.

A causa di questo clima di costrizione, non posso raccontare nei dettagli il mio caso personale, e devo usare uno pseudonimo. Anche i dettagli delle storie che ho raccontato sono stati cambiati per proteggere i figli. Tuttavia anche io ho avuto un’esperienza simile a quella di Nigel, e mio figlio ora vive in un’altra nazione europea. Sua madre è inglese, non è una cittadina di quel paese, non ha legami familiari laggiù e non ha motivo di preferire una carriera professionale in quella nazione piuttosto che in questa. Ha ostacolato la mia relazione con mio figlio già prima della partenza, mentre l’ufficiale designato del tribunale per l’assistenza familiare raccomandava che non le fosse concessa la facoltà di trasferimento. Il giudice inglese ignorò tale raccomandazione sulla scorta del fatto che lei era una donna instabile ed obbligarla a rimanere avrebbe potuto causarle uno stress eccessivo. Il giudice osservò che la donna avrebbe comunque potuto impedire ancora al marito di vedere il figlio e perciò la cosa migliore era lasciarla andare.

A total judicial cop-out.

Che del resto è in poche parole il nostro sistema giudiziario al lavoro. La semplice possibilità che una decisione giudiziaria produca stress in una madre è considerata più dannosa per i figli della riduzione o della totale sospensione del rapporto con il padre. I padri, sembrerebbe, possono essere lasciati da parte. Questa messa da parte avviene nonostante un crescente numero di ricerche metta in evidenza il contrario: proprio ora è ampiamente riconosciuto il fatto che un solido legame con entrambi i genitori sia il principale fattore determinante l’equilibrio emotivo ed il benessere del figlio.
L’assenza di imparzialità e parità, il pesante carico in termini pratici ed economici che devo sopportare ora, ed il dolore e la rabbia che ne scaturiscono si stanno facendo sentire. Ignorando i diritti dei padri, così come la loro salute, il nostro sistema sta sottoponendo i padri a una prova che supera i limiti di ciò che ci si può attendere in modo ragionevole. Succede sempre così ed è per questo che in così grande numero si sono tolti di mezzo.

P.S.: Io non mi sono tolto di mezzo. Ho viaggiato di continuo, ogni mese, per vedere mio figlio. E’ costoso e stancante ma è l’unico modo per vederlo. Sto prendendo in considerazione l’ipotesi di cambiare nazione per essere più vicino a mio figlio. Non avrei dovuto avere l’obbligo di farlo».