Quei manifesti offendono i padri

Il caso. Un gruppo di psicoterapeuti insorge contro gli slogans e le fotografie utilizzati: “Criminalizzano la figura paterna”.

Nel mirino la campagna antiviolenza. La CISL si dissocia: “Mai autorizzati, rimuoveteli.”
da Bresciaoggi, 12 dicembre 2006

Non tutti gli uomini sono violenti, ma soprattutto non è accettabile un messaggio che accredita una paternità esercitata a suon di botte. L’esperienza, i dati clinici in possesso agli addetti ai lavori e persino la tradizione storico-culturale del Paese sconfessano le allusioni provocatorie suggerite dalle immagini fotografiche e dagli slogans della campagna contro la violenza sulle donne promossa da sei Comuni bresciani (Concesio, Gardone Valtrompia, Lumezzane, Marcheno, Sarezzo, Villa Carcina) con l’adesione dei sindacati e della commissione Pari opportunità della Loggia e della consigliera provinciale di Parità del Broletto. Lo sostengono i papà bresciani, di fronte ai manifesti che da giorni hanno tapezzato la città.
Due scatti in particolare finiscono sul banco degli imputati, scatenando le ire di alcuni psicoterapeuti che firmano un documento sul sito del collega Claudio Risè denunciando una sorta di criminalizzazione indistinta della figura paterna. L’uomo che “parla” solo con le mani sarebbe il frutto di un retaggio ideologico senza effettivi riscontri nella realtà. Lo sguarto pesto della ragazzina ritratta e sovrastata dalla scritta “gli occhi neri sono di suo padre” non è piaciuto a tanti genitori maschi, stupefatti allo stesso modo di fronte al bimbo che aggredisce una coetanea giustificandosi con un inequivocabile “lo fa anche papà”.
“Prima di tutto – avverte Paolo Ferliga, psicoterapeuta e docente di Filosofia al Liceo Arnaldo – nell’esperienza come insegnante e terapeuta non rilevo le situazioni descritte, ma soprattutto non condivido questa denigrazione generalizzata del padre”.
L’idea che la violenza sia appannaggio di un genere, rappresenta un luogo comune del passato, ripescato dalle foto della campagna che si limitano a negare la figura paterna senza, invece, affrontare la complessità della violenza familiare.
“Sono aggressivi singoli uomini e singole donne – precisa Ferliga – ma il dato che emerge negli ultimi anni è la sofferenza di troppi figli preda delle ostilità di altrettanti genitori separati”.
Secondo il terapeuta bresciano il “padre padrone” non riflette l’attualità del disagio esploso tra le mura domestiche e comunque non giustifica la tesi manichea proposta dal bianco e nero degli scatti. Paolo Ferliga autore del saggio “Nel segno del padre, nel destino dei figli e della comunità”, riconduce i tratti simbolici della paternità alla tradizione giudaica-cristiana dominate dalla figura di Abramo, pronto a sacrificare Isacco, e Dio capace di immolare Cristo suo figlio per gli uomini. Un retroterra culturale ben distante dal pater familias romano, signore del clan e detentore del potere di vita e morte su tutti i membri della famiglia. “Se negli anni cinquanta, - spiega Ferliga – la cinematografia e la letteratura registrano il dato del padre padrone è proprio perché tale modello non è in linea con la tradizione culturale italiana”. Ma senza volersi addentrare nel labirinto di archetipi psicologici o sociologici, Ferliga non nega la violenza maschile, ma rifiuta la generalizzazione della campagna e mette in guardia dal messaggio che potrebbero recepire i minori. “la provocaziopne ricercata – avvisa il terapeuta – potrebbe rivelarsi controproducente, senza contare le mie perplessità sull’utilizzo di minori per lo scatto delle immagini”.
La stessa riflessione compare sul documento pubblicato sul sito di Risè che si interroga sull’opportunità di rendere protagonisti due bambini in esplicite scene di violenza. “Un’istigazione che non ha nulla da invidiare ai peggiori videogiochi.
La polemica scatenata dai manifesti è approdata anche nelle pagine di alcuni quotidiani nazionali che intravedono nella “maldestra” comunicazione la realizzazione di una “campagna antipapà”. Ma a parere di Paolo Ferliga sarebbe interessante verificare anche le reazioni dei giovani. “I bambini sprovvisti della fantasia riprodotta sui manifesti – suggerisce Ferliga – rischiano di recepirla, esattamente come accade per i programmi televisivi violenti sconsigliati, appunto, per i giovanissimi”.
Con tali precisazioni Paolo Ferliga si interroga sul ruolo delle istituzioni e lancia la sua provocazione: “I dati evidenziano come la maggior parte degli infanticidi sia commesso da donne, ma se questa circostanza diventasse l’appiglio per disegnare una campagna del tenore di quella proposta, le donne giustamente si sarebbero scandalizzate”.
Scandalizzata per ora è la CISL di Brescia, che in una lettera a firma del segretario generale Renato Zaltieri indirizzata a tutti i promotori della campagna, non solo rivela di aver ricevuto “lamentele” da parte dei propri iscritti, ma prende decisamente le distanze dall’iniziativa: “La cosa appare ancora più grave, oltre ai contenuti che non condividiamo, in quanto i manifesti riportano la sigla e il logo della nostra organizzazione sindacale, quando non ci è stato chiesto, e comunque non avremmo concesso l’autorizzazione al suo utilizzo per diffondere un messaggio che mette in evidenza, in negativo, la figura del papà in ambito familiare”. Per questo Zaltieri chiede “che venga smessa la diffusione dei manifesti e che si provveda immediatamente a toglierli dalle affissioni”. In caso contrario, la CISL si riserva di assumere le iniziative che ruterrà “idonee” nelle sedi “opportune”.

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[08 gennaio 2007]