Comunicato del GESEF

Pubblichiamo volentieri il comunicato stampa che la GESEF ha ritenuto opportuno inviare al ministro per le pari opportunità, in occasione della giornata del papà.

Individua un problema che sta diventando drammatico, ma che è stato trattato fino ad ora dai media con indifferenza quando non con ostilità. Come se i padri fossero genitori di serie B, come se non fossero altrettanto importanti delle madri per l'equilibrio dei figli. E' il frutto avvelenato di decenni di svalutazione della figura maschile, a cui urge porre rimedio, per il bene di tutta la società ed in primo luogo dei bambini. I maschiselvatici si ritengono ompegnati ad appoggiare tutte le iniziative in tal senso, da qualsiasi parte provengano.

Associazione Nazionale di Volontariato www.gesef.it

COMUNICATO STAMPA

 Lettera aperta al Ministro per le PARI OPPORTUNITA' Stefania Prestigiacomo

19 marzo Festa del Papà -  Culle vuote ed emarginazione della figura paterna

 Ministro, faccia qualcosa di destra!

In occasione del 19 marzo, giornata che la tradizione cristiana dedica a San Giuseppe, simbolo della figura del padre, la scrivente Associazione di Genitori ritiene opportuno portare a conoscenza del Ministro quanto segue.

La questione della natalità viene perlopiù identificata nella maternità, cioè nella questione femminile. Ma contrariamente a ciò che sostiene la litania del femminismo, i servizi alle donne che lavorano non hanno alcun effetto sulla propensione ad avere figli.
Lo dimostra il fatto che regioni come il Friuli  e l'Emilia Romagna, che vantano i migliori servizi d'Italia, la maggior diffusione del part time e quindi della flessibilità oltreché redditi elevati , sono le regioni con la natalità più bassa in assoluto,  e con il saldo più negativo tra natalità e  mortalità.
Di converso, le regioni più fertili sono quelle meridionali, con redditi decisamente più bassi e dove i servizi per le madri lavoratrici sono numericamente e talora qualitativamente inferiori.
L'Alto Adige costituisce poi un esempio antropologicamente interessante: la popolazione di etnia tedesca figlia in maniera esemplare, mentre quella italiana è restia come nel resto del nord Italia.

Considerato il patrimonio di esperienza e conoscenza che la GESEF ha maturato in oltre dieci anni di attività nel contesto di separazione/divorzio ed affido della prole, con circa 25.000 casi esaminati, riteniamo opportuno far emergere un aspetto peraltro mai rilevato da statistiche e ricerche sociologiche ufficiali: la progressiva indisponibilità dei cittadini di sesso maschile a fare figli.

Basterebbe sottrarsi alla retorica mammistica e prestare  attenzione all'ineludibile lato maschile della questione  per scoprire aspetti inesplorati, eppure strutturali, del fenomeno della caduta verticale del tasso di fecondità nel nostro Paese.

Gli uomini sono esautorati per legge da ogni decisione nel processo riproduttivo. Una volta divenuti padri si percepiscono esautorati dalla funzione educativa, essendo ormai tutte le agenzie preposte all'infanzia/adolescenza pressoché completamente femminilizzate, ivi inclusi presidi sociosanitari e tribunali minorili. Il ruolo del padre è stato ridotto a semplice appendice di aiuto alle madri - il mammo - ed  a procacciatore di denaro.

 Ancor più grave è l'argomento-tabù, la cui rimozione impedisce di comprenderne una concausa importante sul piano quantitativo e qualitativo della denatalità, riferito alla radicata "abitudine" giurisprudenziale di affidare sistematicamente alle donne (90% dei casi) l'affido dei figli, marginalizzando ulteriormente  il già svalutato ruolo e  funzione paterni

Un importante periodico femminista ha edito la scorsa settimana, in occasione della festa della donna,  l'affermazione di una avvocatessa divorzista e femminista: «Le donne si comportano come se avessero di fronte un nemico da distruggere. Nei processi di divorzio e di separazione le donne sembrano tese soprattutto a disconoscere le capacità paterne del compagno e a rivendicare l'assoluta competenza materna sui figli. La battaglia non è tanto sui soldi - questione che pongono soprattutto gli uomini - ma nel conflitto in se stesso: l'obiettivo vero è negare il partner come padre, come marito. Alle donne non è sufficiente che vengano loro affidati i figli ed esse avanzano la pretesa di cancellare totalmente il padre». 

Tale atteggiamento è giustificato e legittimato dalla ipertutela giudiziaria della donna madre, tutta incentrata sulla vittimizzazione quale presunto "soggetto debole", e mascherata dietro la cosiddetta  "tutela del minore". Cui si accompagna una annosa campagna diffamatoria nei confronti della figura maschile/paterna: da lustri ormai è l'uomo a doversi difendere da infinite discriminazioni che rasentano il razzismo, ivi comprese le accuse false e strumentali di abuso sui propri figli, finalizzate esclusivamente a spezzare - là dove ancora resistono - gli ultimi residui del legame padre/figli. L'aumento dei delitti in famiglia, riportati dalle cronache come gesti di "follia", dovrebbe far riflettere in maniera più responsabile circa l'emergenza della sottovalutata questione maschile.

I rimedi fin qui adottati ed ancora predicati per affrontare la denatalità - bonus distribuiti dai vari enti, sgravi fiscali, congedi di paternità, child benefit, ecc.- così come le "quote" (30% di candidate alle Europee, 50% nella lista Prodi) appaiono solo ricette per blandire l'elettorato rosa, propinate da quel ceto femminista burocratizzato che negli ultimi venti anni - anziché aiutare le donne a crescere percorrendo strade diverse - ne ha alimentato e sfruttato il vittimismo e la presunta "debolezza", per assicurarsi carriera e potere attraverso la guerra dei sessi.

Una turlupinatura di cui si stanno accorgendo in molti, a cominciare dalle donne medesime. Che si ritrovano progressivamente espropriate anche dell'autorità materna ad opera delle schiere di "esperti" che infestano quotidianamente tribunali, scuole, convegni e talk show. E le quote non basteranno davvero: sono proprio le donne a non votare più le donne.

Non si appiattisca, Ministro, sulla obsoleta retorica femminista, in base alla quale una madre ed un figlio sono già "famiglia".

Piuttosto che posizionarsi acriticamente contro riforme che gli stessi genitori separati/divorziati chiedono a gran voce da diverse legislature - la legge sull'affido condiviso dei figli, attualmente in discussione in commissione Giustizia - si informi, allarghi gli orizzonti e le prospettive. Si consulti con coloro - i genitori,  appunto, tantopiù se riuniti in associazioni - che vivono tali problematiche sulla propria pelle.

 In quanto titolare del dicastero per le PARI OPPORTUNITA', faccia qualcosa che risponda effettivamente a questa definizione.

FACCIA QUALCOSA DI DESTRA.

Dia l'avvio ad  una vera rivoluzione culturale che restituisca valore e dignità al ruolo educativo maschile ed altrettanta autorevolezza  alla figura del padre. Che rimetta su un piano di paritetica responsabilità, pur nella loro diversità, entrambi i genitori. E che restituisca ai bambini, a TUTTI I BAMBINI, le pari opportunità di ricevere cure, affetto, educazione da mamma e da papà.
Ne guadagneranno sicuramente anche le donne/madri. Ma soprattutto ne guadagneranno i figli,  la famiglia nel suo insieme e la società intera.

Dice il Presidente Carlo Azeglio Ciampi che una società con poche madri e pochi figli è destinata a scomparire, ed ha ragione. Ma anche una società popolata da uomini senza identità, defraudati del loro ruolo, privati del segno del Padre, non è destinata a riprodursi felicemente.  
E le culle resteranno vuote a dispetto degli appelli provenienti da questo o quel colle.
Restiamo a disposizione, ed anzi auspichiamo  un incontro di approfondimento.

Cordiali saluti.