La tragedia di Busto Arsizio

La pagina di Repubblica del 9 aprile, dedicata ai tragici fatti di cronaca familiare di questi giorni,

contiene una intervista alla psichiatra Marisa Malagoli Togliatti, che prende spunto dall’uccisone dei due ragazzi di Busto Arsizio da parte del padre, che intendeva così vendicarsi della moglie che lo aveva abbandonato.
Nell’intervista si conferma la solita tesi secondo cui la radice starebbe nella frustrazione maschile per la perdita del dominio sulla donna e sui figli, dovuta alla parità giuridica ed alla conquistata indipendenza femminile. La separazione, secondo la Togliatti, "viene vissuta come un gravissimo atto di insubordinazione: è proprio nei momenti di difficoltà che ci si rifà ai modelli tradizionali, quelli dei propri padri […] per alcuni....essere lasciati è una ferita narcisistica grave e dunque, perdita di autostima. Per ritrovare la quale si compie un gesto estremo di violenza che ribadisce la predominanza del ruolo".
Non si può non notare che l'uomo non è considerato mai capace d'amore ma solo di dominio e oppressione, e così non si prendono in considerazione tre elementi secondo me fondamentali:

1) Che, visto il ripetersi di episodi analoghi, sarebbe il caso d'indagare su quanto, oggi, gli uomini investono se stessi nel matrimonio e nella famiglia. Forse scopriremmo che, ad onta della vulgata corrente che li vede ‘eterni adolescenti’, puntano su di esso più delle donne e che quindi la separazione li traumatizza maggiormente, non per la perdita di un dominio che è dubbio sia mai esistito nei termini in cui ci viene descritto, ma semplicemente perché amano ancora la propria moglie e per essi la ferita è più grande. Così grande da indurre i più fragili a trasformarsi in assassini. Questo ci introduce al secondo punto.

2) La dipendenza emotiva maschile dal femminile. Ciò costituisce indubbiamente un problema grave, perché testimonia di una delega alle donne, considerate le depositarie dei sentimenti e dell'emotività. Andandosene via lei l'uomo si sente perduto non perché gli è sfuggito l'oggetto di dominio, ma perché gli è sfuggita quella fondamentale parte di sé che aveva interamente affidato allo sguardo femminile. Non c'è dubbio che è più facile sopportare la perdita dell'altro che di se stessi. Questo fenomeno sembra maggiormente diffuso nei paesi latini, dove più forte è l'archetipo della Grande Madre. Ad onta di analisi che si limitano a constatare i soli aspetti sociologici, con ciò rendendo conto della parte più superficiale del problema, il mondo latino è si contrassegnato (fino ad ora) dalla dominanza sociale e pubblica del maschio, ma anche da uno stretto e inestricabile dominio psichico materno e femminile, "capace di dirigere da e nell'ombra e orientare le scelte". Non esiste quindi un eccesso di maschile, ma un deficit di padre, a svantaggio sia dei maschi che delle femmine. C'è però un terzo punto importante, con origini più concrete ma con effetti devastanti nella sfera emotiva.

3) Quando un uomo perde la moglie è automatico che perda anche casa e figli, coi quali il rapporto tende spesso a sfilacciarsi fino a cessare del tutto, anche per gli ostacoli spesso frapposti dalle madri. E a nulla valgono i rari pronunciamenti giudiziari che rimangono per lo più lettera morta poiché nessuno si preoccupa di farli rispettare. Ebbene, ci sono statistiche che dimostrano come gli atti di violenza, fino all’omicidio, sono assai più frequenti in queste situazioni che nel caso di separazione di coppie senza figli o omosessuali, a dimostrazione del fatto che non è tanto la separazione dal partner, quanto la disperazione per non poter più essere concretamente padri, cosa che provoca negli individui più fragili l’esplosione di violenza.
In una cosa la psichiatra Malagoli Togliatti ha ragione. Oggi l'uomo mostra una fragilità preoccupante, che sarebbe salutare ammettere per iniziare a risalire la china. E' da vedere però quanto, in questa perdita d'identità, hanno influito a) non le conquiste femminili ma il sistematico pestaggio morale che degli uomini viene fatto, eterno leit-motiv do ogni servizio giornalistico che si occupa di questi temi, che con quelle conquiste è andato di pari passo come se ne fosse stata condizione necessaria. b) le leggi e la loro applicazione che sistematicamente penalizzano l'uomo. c) l'intero modo di essere di questa società da cui i tradizionali valori e stili di vita maschili sono stati banditi come negativi in sè. Il sacrificio, il dono, il rischio, la capacità di sopportare la perdita, l'onore, la capacità di resistere all'istantanea soddisfazione di ogni bisogno, solo per dirne alcuni.
Sia come sia, credo che il ripetersi di questi fenomeni dovrebbe indurre ad approfondirne le cause in modo serio, senza limitarsi alla solita invettiva contro il maschio oppressore, sostanzialmente da rieducare profondamente. Questo sta diventando un pregiudizio che avvalora sè stesso, e sinceramente non si capisce cosa ne abbia a guadagnare la società e lo stesso genere femminile (la sua parte sana). I fatti stanno a dimostrarlo.

Armando Ermini