La volgarità dei maschi in caserma

La Repubblica del 30/07/04 pubblica un articolo di Edmondo Berselli sulla fine della leva obbligatoria del titolo "Fenomenologia della caserma".

Il pezzo contiene cose sensate, altre meno, ma è normale. Non si può pretendere dai fautori della modernità progressista che si pensi in termini di significati simbolici, che si soppesi il significato della fine dell'ultimo rito iniziatico maschile, pur con tutte le degenerazioni in cui era caduto, che si pensi in termini di spirito di corpo. Fregnacce, cose vecchie, anzi deleterie e negative di cui ci stiamo finalmente sbarazzando.
Berselli si mantiene, al massimo, alla superficie della "fenomenologia" della naia e dei significati psichici che incorporava.
Preferisce sottolineare altri aspetti "tipici". "Se ne va il clima drammaticamente maschile della visita di leva, che veniva considerata prova di salute e di virilità, perchè - chi non è buono per il Re, non è buono neanche per la Regina". "E poi ancora la ruvida volgarità maschile degli stanzoni dormitorio, i servizi imposti come vessazione . . . "
Dunque gli spazi fisici e psichici esclusivamente maschili sono volgari e generano un clima drammatico. Per ingentilire l'esercito, limitarne la volgarità e la drammaticità maschili, per aprirlo alla leggerezza ed ai valori di solidarietà occorre, è sottinteso, un esercito di professionisti aperto alle donne, meglio se anche ai gradi alti della gerarchia, come ebbe a sottolineare l'ex ministro della difesa Scognamiglio.
I progressisti di tutte le parti politiche sono gente concreta, pragmatica, guardano non alle fumisterie ideologiche ma ai fatti. I quali, immancabilmente, danno loro ragione.Non è possibile, infatti, non vedere il sorriso radioso e l'allegria delle soldatesse, la loro dolcezza e gentilezza contrapposta ai maschi volgari portatori di turpi vessazioni e di morte, colla loro vecchia naia che "fa diventare uomini ma non serve a nulla". Sarebbe troppo pretendere che Berselli capisca che in questo modo offende chi da soldato è morto in guerra, anche se per una causa sbagliata. Forse, ma non è detto, avrebbe scritto cose diverse solo se si fosse trovato al posto di uno di quei prigionieri irakeni sottoposti ai gentili massaggi delle soldatesse "gheise".

Armando Ermini

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