Nascondere alla futura moglie le proprie carenze virili è causa di risarcimento danni

“Se diciamo una bugia, è una mancata verità, che prima o poi succederà”, cantava Fiorella Mannoia riguardo a ciò che le donne non dicono, forse non prevedendo che ben presto quello che non dicono gli uomini avrebbero invece potuto farselo profumatamente risarcire.

Infatti, nel quadro della nuova categoria dei “danni esistenziali nell’ambito della famiglia” e del relativo assalto generalizzato al patrimonio maschile (finora non risultano a chi scrive sentenze di questo tipo a carico di controparti muliebri) la Cassazione ha precisato (sent. 10 maggio 2005, n. 9801) che il silenzio sulla propria impotentia coeundi può essere fonte di danno risarcibile.
L’inadeguatezza maritale per ora non è stata ritenuta fatto illecito in se e per sé, grazie al cielo, anche perché nella causa di merito non era stata provata né la gravità né l’irreversibilità della disfunzione. Tuttavia, la fonte del danno esistenziale è stata ravvisata nella mancata informazione, in quanto era risultato pacifico in causa che l’imbarazzante circostanza fosse stata sottaciuta alla fidanzata prima del matrimonio. Non sono stati ritenuti rilevanti i motivi della reticenza, fossero questi la vergogna od altre più o meno pie considerazioni, tra le quali la speranza di essere in grado di risolvere il problema da soli, o perlomeno in tempo utile per evitare l’irreparabilità delle doglianze della partner.
Secondo la Suprema Corte è difatti di per sé risarcibile il danno da mancata informazione alla futura coniuge sull’esistenza e sulle dimensioni (se ci passate l’espressione) dei propri problemi di virilità. Per fortuna, almeno per ora, non è stato censurato il rifiuto di sottoporsi ad adeguate cure per ripristinare un accettabile livello di performance coniugale: nel caso in esame infatti la Cassazione ha riconosciuto, bontà sua, la pari dignità del diritto del marito a rifiutare trattamenti sanitari sul proprio corpo, e quindi ha rigettato le argomentazioni della signora che lamentava come il predetto si fosse sottratto ad adeguate cure, per paura di fare conoscere ad altre persone, medici compresi, le proprie defaillances.
Grazie a questa sentenza, ora nella nostra giurisprudenza l’impotenza virile non è più vista come una semplice causa di nullità del matrimonio, come del resto avviene da tempi immemorabili sia nel diritto civile che in quello canonico, bensì come una ingiustificata lesione delle legittime aspettative femminili.
Pertanto si può dire che nel quadro dei doveri reciproci che discendono dal matrimonio i coniugi e i semplici nubendi siano da ritenersi onerati – e in teoria la cosa potrebbe riguardare entrambi, se non fosse che per questo tipo di obbligazioni solo uno dei due è per definizione il portatore dell’onere – da obblighi di adeguata informazione alla controparte sul livello delle proprie performances nel talamo.(…)

[16 maggio 2005]