Risposta di Massimiliano Fiorin a ASSOCIAZIONE NONDASOLA O.N.L.U.S.

Bologna, 27 novembre 2007

Gentile signora
Lucia Gardinazzi
Associazione “Non da Sola” Onlus

Gentile signora,

l’associazione “Maschi Selvatici”, da me autorizzata a pubblicare uno stralcio di un libro di mia prossima pubblicazione, nel quale ho raccontato dei tragici fatti accaduti presso il Tribunale di Reggio Emilia lo scorso 17 ottobre, mi ha inoltrato un Suo commento in merito, a me indirizzato.

La ringrazio dunque per quanto segnalatomi. Mi hanno infatti molto colpito due aspetti di quanto Lei scrive.
Il primo, è che Lei ritenga “un’imprecisione” il fatto che abbia scritto che la “prima vittima” di Clirim Fejzo sia stato il cognato Arjan Demcolli, entrambi da Lei nemmeno nominati.
A Suo dire, invece, tale qualifica spetterebbe all’avvocatessa Giovanna Fava, seguita da Vjosa, la moglie dell’omicida, e solo “da ultimo” – riporto le Sue parole testuali – dal predetto cognato.

In realtà, io avevo scritto diversamente per il solo fatto che è fuori discussione che Arjan Demcolli sia stato il primo a morire, mentre tentava generosamente di difendere la vita della sorella e dell’avvocatessa Fava.
Se quest’ultima, peraltro (e per fortuna, come ho esplicitamente scritto nel mio testo), se l’è cavata solo con una lieve ferita, probabilmente lo deve al coraggio di chi si è subito avventato sull’omicida tentando di disarmarlo, rimettendoci la propria vita anche per salvare la sua.
Voglio quindi sperare che almeno l’avvocatessa Fava non sarebbe d’accordo con Lei, nel relegare Arjan Demcolli all’ultimo posto nell’elenco delle vittime.

D’altro canto, secondo i tanti resoconti di stampa riguardo ai fatti accaduti, non risulta affatto quello che invece Lei ha successivamente sostenuto, e cioè che in quella occasione ci sarebbero state “operatrici che hanno fatto scudo col loro corpo per proteggere la piccola da pallottole assassine”.
Non è chiaro nemmeno chi sarebbe questa “piccola”, visto che Vjosa Demcolli era una donna adulta, e non risulta che le figlie siano state anche solo minacciate dal padre, in quella tragica mattinata.

Ma a parte questo, non posso fare a meno di interrogarmi sul senso della correzione che Lei ha voluto farmi: nel Suo singolare elenco Lei mette per prima una donna che si è salvata, poi un’altra donna che purtroppo è morta, e solo “da ultimo” un uomo che – pur essendo anch’egli senza alcuna colpa per l’accaduto – è proprio colui che è morto per primo, nel disperato tentativo di salvare le altre due.
A quest’ultimo, inoltre, è stato pure negato il merito del suo gesto coraggioso, a favore di non meglio precisate “operatrici”.

Dunque, mi chiedo, in quale ordine di priorità Lei è solita collocare la vita umana? Quale importanza Lei attribuisce al coraggio e alla generosità, al di là delle differenze di genere?

Il secondo aspetto che mi ha colpito della Sua lettera, è che Lei attribuisca le dichiarazioni rilasciate alla stampa dalla figlia maggiore di Clirim Fejzo e Vjosa Demcolli, alle conseguenze psicologiche del preteso “contesto violento” nel quale la ragazza sarebbe stata costretta a vivere.
E aggiunge chiaramente che la Sua associazione trova “indecente” che i mass media abbiano voluto intervistarla.

Mi sembra di capire, quindi, che Lei ritenga il desiderio di quella ragazza di comprendere le ragioni del padre, e comunque di non condannarlo, come il mero frutto di uno stato di subordinazione psicologica, che avrebbe coartato il suo giudizio.

Tuttavia, non posso fare a meno di pensare che rispetto a questa storia, e non solo, le vittime di condizionamenti psicologici e di “contesti violenti” siano anche altre.
Non solo dalla parte di chi li subisce, ma anche – e forse soprattutto – dalla parte di chi li osserva in una certa ottica.
Trovo insomma che questo problema riguardi molto di più coloro che danno una rigida lettura “di genere” di certi fenomeni, e interpretano in modo ideologico il problema della violenza intrafamiliare.

Capisco quindi che le dichiarazioni “spariglianti” di quella ragazza possano avere disturbato chi ragiona secondo certi schemi, ma non mi sembra il caso di invocare una non meglio precisata “letteratura scientifica” per classificare la figlia dei due coniugi albanesi come una persona a sua volta disturbata, e non attendibile.
E tantomeno per considerarla non in grado di amare liberamente, perché era suo padre, la persona che invece voi odiate, perché era un maschio violento.

Per questo, mi permetta infine di correggerla a mia volta.
Lei dice di non capire come possa avermi sorpreso che la Sua associazione abbia preparato una “fiaccolata di solidarietà per la nuova vittima di violenza maschile”.

In realtà, la cosa non mi ha affatto sorpreso, anzi mi è sembrata una scelta assai prevedibile, molto coerente con uno schema ideologico elaborato in un contesto psicologico di violenza. Esattamente come il contenuto della Sua lettera di precisazioni.

Con i migliori saluti,

Massimiliano Fiorin

[18 dicembre 2007]