Sull’iniziazione e la fine delle iniziazioni

cernunnos

Cernunnos, il dio celtico, figura iniziatica che presiedeva ai riti di passaggio
dall’infanzia all’età adulta già dal tardo paleolitico

L’iniziazione è un complesso di cerimonie, prove e rivelazioni di ordine mitologico, ontologico e morale, attraverso le quali un maschio, generalmente in età puberale, è riconosciuto adulto, o viene a far parte, con pieno diritto, del gruppo di adulti. Nota Mircea Eliade infatti che «per acquisire il diritto d’essere ammesso tra gli adulti, l’adolescente deve affrontare una serie di prove iniziatiche: grazie a questi riti e alle rivelazioni che essi comportano, egli sarà riconosciuto come un membro responsabile della società». (Cfr. Eliade M., La nascita mistica. Riti e simboli d’iniziazione, Brescia, Morcelliana, 1980, p. 10).
Poiché «in qualsiasi società la vita dell’individuo consiste nel passare successivamente da un’età all’altra» l’iniziazione si pone come la principale tra le «cerimonie, il cui fine è identico: far passare l’individuo da una situazione determinata a un’altra anch’essa determinata» ( Cfr. Van Gennep A., I riti di passaggio, Torino, Boringhieri, 1981, p. 5).
Lo stesso Van Gennep osserva che i riti di passaggio hanno una struttura schematica precisa e ricorrente che egli definisce schema dei riti di passaggio: «lo schema completo dei riti di passaggio comporta in teoria dei riti preliminari (separazione), liminari (margine) e postliminari (aggregazione)». Ad esempio nelle società primitive il giovane maschio solitamente è separato dalla famiglia in modo più o meno violento, sottoposto a prove e torture, e infine reinserito nella comunità.
Le tre fasi hanno un preciso significato simbolico. La separazione ha la funzione di tagliare i legami con il mondo quotidiano e introdurre in una dimensione diversa, sconosciuta, a volte inospitale ma densa di significati: «L’universo in cui penetrano ora i novizi è quello del mondo sacro. Tra i due c’è rottura, soluzione di continuità. Il passaggio dal mondo profano al mondo sacro implica in un certo modo o nell’altro l’esperienza della Morte: si muore ad un’esistenza per accedere a un’altra» (Eliade).
Questa dimensione è di margine, di attesa, ed è caratterizzata da prove e torture, episodi più o meno drammatici, in cui viene rivelata al giovane la mitologia del gruppo di appartenenza cioè l’insieme di credenze sull’uomo e il mondo che fondano il modo di vivere e di convivere di quel gruppo stesso: «L’iniziazione introduce il novizio nella comunità umana e insieme nel mondo dei valori spirituali. Egli apprende i comportamenti, le tecniche e le istituzioni degli adulti, ma ancora i miti e le tradizioni sacre della tribù, i nomi degli dèi e la storia delle loro opere» (Eliade).
Avvenuto questo, il giovane viene riportato nella comunità e considerato adulto. Ma cosa si intende per “adulto”? Non è solo una questione di identità sessuale: l’iniziazione «svela a poco a poco al neofita le vere dimensioni dell’esistenza e, introducendolo al sacro, lo obbliga ad assumere le responsabilità di uomo». (Eliade). Per capire meglio questo concetto più ampio di identità adulta, dobbiamo prendere in considerazione un aspetto fondamentale dei riti di iniziazione: la “morte iniziatica”. (Eliade).
Questo concetto è centrale in qualsiasi rituale iniziatico. Il novizio è sottoposto a prove e torture più o meno terribili che hanno come obbiettivo quello di ucciderlo simbolicamente: «la morte iniziatica rende possibile la tabula rasa su cui si inscriveranno le rivelazioni successive, destinate a formare un uomo nuovo» (Eliade). Tale simbolismo sembra dunque assolutamente necessario nei rituali iniziatici in quanto è ciò che rende possibile una nuova nascita: Il momento centrale di ogni iniziazione è rappresentato dalla cerimonia che simbolizza la morte del neofito e il suo ritorno tra i vivi. Ma colui che ritorna alla vita è un uomo nuovo, che assume un altro modo di essere. La morte iniziatica significa a un tempo la fine dell’infanzia, dell’ignoranza e della condizione profana. […] Nello scenario dei riti iniziatici, la “morte” corrisponde al ritorno provvisorio al Caos; è dunque l’espressione esemplare della fine di un modo di essere: quello dell’ignoranza e della irresponsabilità del bambino (Eliade).
Si rinasce cioè ad una condizione adulta, di uomo in senso più ontologicamente ricco, in quanto durante l’iniziazione i giovani vengono fatti rinascere in una dimensione diversa da quella quotidiana: sono introdotti nella sfera del “sacro”. Lo stesso Van Gennep osservava che i riti di passaggio hanno una caratteristica fondamentale in questo temporaneo accesso alla dimensione del “sacro”: riferendosi al passaggio tra le varie fasi della vita grazie alle iniziazioni, diceva che «colui che passa, nel corso della sua vita, attraverso queste alternative, si trova a un certo momento, per il gioco stesso delle concezioni e delle classificazioni, a far perno su sé stesso e a volgersi al sacro anziché al profano» (Van Gennep).
Anche Eliade ritiene che l’esperienza dell’iniziazione sia fondamentalmente un «incontro col sacro» e, in particolare, con una precisa dimensione del sacro: il mito.
Questo perché nel mito sono racchiusi la concezione del mondo, le credenze, i valori spirituali, la storia sacra della comunità e questo insieme di conoscenze (la cultura) è ciò che viene trasmesso nell’iniziazione:
Questa “storia sacra”- la mitologia - è esemplare: essa racconta come le cose sono venute all’essere, ma insieme fonda tutti i comportamenti umani e tutte le istituzioni sociali e culturali. L’uomo è stato creato e civilizzato dagli Esseri soprannaturali; la somma dei suoi comportamenti e delle sue attività appartiene quindi alla “storia sacra”; questa storia sacra dovrà essere conservata accuratamente e trasmessa intatta alle nuove generazioni. Fondamentalmente, l’uomo è quello che è perché all’origine dei tempi sono accadute nella sua esistenza le cose raccontate dai miti (Eliade).
Nei rituali iniziatici l’obbiettivo è proprio quello di esporre il giovane a questo insieme di immagini e contenuti mitici al fine di “modellarlo” su queste forme: «per il pensiero arcaico l’uomo è dunque fatto: non è lui a farsi da solo […], questo significa che per diventare effettivamente uomini bisogna rassomigliare a un modello mitico» (Eliade)
Rassomigliare ad un modello mitico significa anche imitare «un modello trans-umano» (Eliade): «al termine delle prove cui viene sottoposto, il neofito gode di un’esistenza completamente diversa dalla precedente: è diventato un altro» (Elide). La condizione “adulta” sembra perciò non solo legata a fattori di maturazione fisiologica ma anche “ontologica e spirituale”.
L’esposizione al “mito” durante l’iniziazione, e perciò il rituale iniziatico stesso, assumono una importanza notevole sia per quanto riguarda l’individuo “iniziato” che per la comunità, che del resto ha predisposto i rituali stessi ed i loro contenuti. Questi contenuti hanno una doppia funzione: a livello del singolo individuo operano l’attivazione e l’incanalamento positivo di energie e capacità; a livello sociale compiono un’azione rigenerativa (in quanto vi è un continuo afflusso di forze e nuove possibilità) e un’azione normativa e coesiva (in quanto queste forze sono pilotate dai modelli assimilati durante i rituali iniziatici e perciò sono sempre indirizzate in modo non dannoso, anzi spesso positivamente).
La funzione primaria del mito e del rito nelle società tradizionali è quella di trasformare i giovani in adulti e di tenere quindi legati gli adulti ai ruoli loro assegnati, alla mitologia e al rituale. […] Per poter esistere, una società dipende dalla presenza, nella mente dei suoi componenti, di un certo sistema di sentimenti che regolano la condotta dell’individuo conformemente alle esigenze della società stessa. Di questo sistema di sentimenti entra a far parte ogni aspetto del sistema sociale medesimo e ogni evento o oggetto che in qualsiasi modo tocca il benessere o la coesione della società. Nella società umana, i sentimenti in questione non sono innati, ma sviluppati nell’individuo dall’azione che la società esercita su di lui. Le abitudini cerimoniali di una società rappresentano i mezzi tramite i quali ai sentimenti in questione viene data espressione collettiva in occasioni apposite. L’espressione cerimoniale (cioè collettiva) di ogni sentimento serve sia per mantenerlo al grado richiesto di intensità nella mente del singolo sia per trasmetterlo da una generazione all’altra. Senza questa espressione i sentimenti in questione non potrebbero sussistere ( Cfr. Campbell J., Miti e riti di rinnovamento dei popoli cacciatori e coltivatori, in Campbell J., Eliade M., Scholem G., Iniziazione e rinnovamento, Como, Red, 1996, p. 76).
Anche Eliade rivelava questo doppio significato dei rituali iniziatici: questa morte all’infanzia, alla asessualità, all’ignoranza, insomma alla condizione profana, è l’occasione di una rigenerazione totale del Cosmo e della collettività. La morte mistica dei fanciulli e il loro risveglio nella comunità degli uomini iniziati fa dunque parte di una ripetizione grandiosa della cosmogonia, dell’antropogonia. I fanciulli muoiono alla loro condizione profana e risuscitano in un mondo nuovo; perché, in seguito alle rivelazioni ricevute durante l’iniziazione, il mondo può essere colto come opera sacra.
Il cerimoniale iniziatico per eccellenza è certamente l’iniziazione all’età adulta e ciò, in particolare, riguarda il giovane maschio in quanto l’iniziazione femminile all’età adulta è giocata su un piano più fisiologico con la comparsa della mestruazione. Nella società moderna occidentale però i rituali iniziatici all’età adulta e alla virilità sono scomparsi, per lo meno nella loro forma esplicita, e l’uomo, il maschio si sente disorientato, cade spesso in crisi, non può rialzarsi. I giovani si inventano i loro rituali, la loro avventura (la droga stessa è avventura), ma la assenza strutturante della figura adulta, della mediazione pedagogica e istituzionale rende tali avventure dei viaggi senza approdo, senza beneficio.
La società non ha offerto ai giovani dei rituali per diventare membri della tribù, della comunità. Tutti i bambini hanno bisogno di nascere due volte, di imparare ad agire razionalmente nel mondo che li circonda, lasciandosi alle spalle l’infanzia. […]. Esattamente, e il significato dei riti della pubertà è proprio questo. Nelle società primitive vengono ritualizzate circoncisioni, scarificazioni, estrazioni dentarie e così via. E’ così che il nostro piccolo corpo di bambino si trasforma in qualcosa di completamente diverso. (Cfr. Campbell J., Il potere del mito, Milano, Editori Associati, 1994, pp. 29-30).
Di fronte al riconoscimento della assenza di questi riti nella società attuale lo stesso Campbell notava: «I bambini che crescono in città, […] dove possono trovare i loro miti? Se li fabbricano da soli. Ecco perché le città si riempiono di graffiti. Questi ragazzi hanno le loro bande, con tanto di iniziazioni e codice morale, e fanno quello che possono».
Anche autori più moderni, come Claudio Risé, si sono soffermati sulla assenza di riti di passaggio, in particolare nei confronti del giovane maschio: «Il maschio postmoderno, nato e cresciuto dopo la seconda guerra mondiale, è il primo, in tutta la storia maschile, al quale nessun padre, istruttore, iniziatore, abbia insegnato che cosa fa un maschio (a parte sviluppare i muscoli)». (Cfr. Risé C., Da uomo a uomo, Milano, Sperling &Kupfer, 1998, p.105 e inoltre Risé C., Il maschio selvatico, Red, Como, 1993, Risé –Bonvecchio-Martignoni, La questione maschile, Seb, Milano, 1998, Risé C., Parsifal, Red, Como, 1988).
Da questo scaturiscono vere e proprie nevrosi o malattie sociali: «Per esempio: la diminuita vitalità che si esprime nella riluttanza a uscire dalla casa dei genitori, a sposarsi, nella moltiplicazione di fobie di ogni genere, nello stesso aumento della sterilità, che è poi l’incarnazione (somatizzazione) della paura di riprodursi: ormai il circa 40 per cento dei bianchi, in Occidente, non è in grado di fecondare. Sono molti, insomma, gli uomini che tremano di fronte alla vita» (Risé).
Possiamo perciò concludere che i riti di passaggio e l’incontro col mito, che la nostra società caratterizzata dal «razionalismo postilluminista, che non crede nei riti, nei simboli e in ciò che “non si vede”» (Risé) ha messo in disparte, sono indispensabili anche per l’uomo moderno e che anche le società primitive hanno molto da insegnarci: «ecco perché l’iniziazione ha tanta importanza […]. Essa ci rivela la serietà con cui l’uomo delle società arcaiche si assumeva la responsabilità di ricevere e di trasmettere i valori spirituali» (Eliade) alle nuove generazioni.