La violenza maschile che ci interroga - di Paolo Ferliga

dal “Giornale di Brescia” - 25 novembre 2023
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L’assassinio di Giulia compiuto da Filippo e l’angoscia che un atto così terribile suscita anche nella coscienza di noi maschi ci obbliga ancora al confronto col tema della violenza maschile.

Mi sembra importante riflettere su un aspetto, che nei talk show e nella discussione pubblica appare trascurato, quello della crisi dell’identità maschile, tipica dell’epoca contemporanea. Ad uno sguardo fenomenologico e psicologico, non può sfuggire infatti che la violenza dei maschi sulle donne nasce proprio da una crisi della loro identità, da una fragilità e debolezza che si trasforma in sopraffazione. Nasce dalla mancanza di un potere su di sé, sulle proprie pulsioni e sui propri istinti, dall’incapacità di trasformare la propria aggressività in forza e energia positiva, indispensabile per affrontare gli aspetti duri della realtà. Colpisce nei fatti di cronaca che quasi sempre gli uomini uccidano una donna a cui sono legati affettivamente nel momento in cui sentono minacciato questo legame, quando la donna li abbandona. Sono maschi che non reggono la perdita.
Uomini che sulla loro compagna hanno proiettato l’immagine della madre, fonte di nutrimento e di vita, e che senza quella immagine non sono in grado di vivere. Sono uomini che non hanno maturato una relazione interiore con la propria anima, quell’aspetto della psiche che, secondo Carl Gustav Jung, è indispensabile riconoscere per uno sviluppo sano della propria identità personale. Proprio per la loro debolezza interiore questi uomini non hanno stabilito una relazione d’amore con la donna, ma un legame di dipendenza e quando la donna si accorge di questo e cerca di liberarsene non lo accettano. Nell’omicidio, come nello stupro, si presenta allora la coazione a possedere l’oggetto, come recita il linguaggio freddo della psicoanalisi.
La dipendenza e quindi l’impotenza ad amare l’Altro, mi pare dunque il nucleo profondo inscritto nell’inconscio personale e collettivo che caratterizza l’esplodere della violenza maschile. L’amore, infatti, per nascere e poi consolidarsi ha bisogno di libertà, si fonda sulla dinamica del dono e non su quella del possesso, una dinamica che nella relazione contempla anche la distanza e non solo la vicinanza. Nell’idea di possesso la distanza è invece completamente abolita e la relazione di coppia assume il carattere della simbiosi, riproponendo il modello di relazione con la madre che caratterizza i primissimi anni di vita del bambino, un modello fondato sul bisogno. In questo modello non c’è spazio per il desiderio e nemmeno per l’Altro, se per Altro intendiamo una persona con caratteristiche fisiche e psichiche che ne fanno un individuo diverso da me. L’Altro è ridotto a oggetto la cui funzione è quella di soddisfare i bisogni del partner. La relazione di coppia si iscrive così nell’ordine del narcisismo (e dei selfie) dove l’affetto è rivolto più a se stessi che all’altra persona.
Se la dipendenza è il nucleo profondo che può scatenare la violenza maschile, diventa importante allora individuare alcuni antidoti che permettano a un uomo di superarla e di affermarsi come persona libera, dotata di autocoscienza e di rispetto per sé e per gli altri.
Perché un maschio impari a fare i conti con la propria aggressività, con le proprie pulsioni e con i propri istinti è fondamentale la presenza del padre e di altri maschi adulti che favoriscano il suo processo individuativo. Il padre per primo ha infatti il compito di aiutare i figli a separarsi dalla madre per superare la simbiosi e conquistare fiducia nelle proprie capacità e nella propria autonomia.
Nella scuola e nella società servono figure maschili che favoriscano un buon rapporto col corpo attraverso lo sport, le arti marziali, l’incontro con la natura. Nell’epoca dell’Intelligenza Artificiale, dove tutto sembra facile e leggero, basta chiedere a Chat GPT, è importante mostrare che la vita è anche dura e che la fatica è indispensabile per realizzare i propri obiettivi.
Genitori e insegnanti devono aiutare i giovani a riconoscere che frustrazioni, fallimenti e cadute sono passaggi della vita che si possono affrontare e superare, ma anche che nella vita bisogna saper perdere.
Un’attenzione particolare va rivolta all’uso di smartphone, pc e social media. Strumenti utilissimi se usati bene, ma che per le loro caratteristiche presentano immagini disincarnate, prive del loro rapporto col corpo. Questo aspetto è particolarmente evidente nella pornografia, dove immagini di corpi o di parti del corpo si presentano come oggetti sempre disponibili all’uso, nutrimento di un bisogno sessuale privo di rapporto con l’affettività e con l’Altro.
Nell’assassinio di Giulia e di molte altre donne colpiscono, non solo la premeditazione, ma anche la crudeltà del gesto, il numero delle pugnalate, come se il corpo dell’Altra non esistesse. Sembra che l’assassino non abbia alcun contatto nemmeno con le proprie emozioni. Non prova pietà, non riconosce il dolore. L’affettività che, secondo Jung, è il fondamento essenziale della nostra personalità sembra del tutto assente. Forse questa assenza ci interroga tutti.