|
Dalla rubrica info/psiche lui, Io Donna, allegato al Corriere della Sera, novembre 2000 E’ possibile scrivere a Claudio Risé, rubrica Psiche lui, Io donna, RCS Periodici, via Rizzoli 4, 20132, Milano oppure collegandosi al sito www.claudio-rise.it |
Renato, Milano Caro amico, sul rapporto col padre é fondata buona parte dell'autostima che la figlia avrà verso sé stessa nella vita. E una parte decisiva della sua capacità di iniziativa nei confronti del resto del mondo. Come vede, si tratta di aspetti piuttosto centrali della personalità. Identificare i territori della personalità sui quali l'influenza del padre é più importante, può aiutarla anche a differenziare meglio il suo intervento da quello del mondo femminile "delle nonne e delle zie". Va benissimo che queste figure insegnino a sua figlia come rendersi accettabile e gradevole agli altri: si tratta di aspetti importanti dell'iniziazione al femminile, che solo una donna può trasmettere. Lei invece, come padre, é chiamato a dare un insegnamento diverso: la stima di sé e la coltivazione di comportamenti e valori che conservino e accrescano quella stima. Per svolgere appieno il suo ruolo nell'educazione dei figli, il padre deve essere una figura che rimanda al "senso", al significato dell'esistenza, al suo scopo, alle domande più impegnative circa la vita. Fare fronte a questo compito può portare il padre a fornire risposte diverse (anche se preferibilmente non confliggenti) rispetto a quelle proposte dal mondo femminile. Il padre non può che aiutare la figlia, come del resto il figlio, ad "essere sé stessa": questo é il suo insegnamento principale. Possiamo, semplificando, dire che mentre il mondo delle zie-nonne-sorelle insegna spesso alla giovane ad "essere carina" (e va bene che sia così), il primo insegnamento paterno é quello di "essere vera". Questa autenticità viene proposta ed apprezzata dal padre in nome del rispetto della figlia verso il proprio valore personale, di cui la figura paterna deve essere costante testimone. E' questo il nucleo profondo dell'autostima, quella consapevolezza del valore di sé, e del progetto di vita di cui possiamo essere portatori ed artefici, che consente poi ai figli di superare le prove più dure. Quest'autostima si coltiva nel rapporto affettivo padre-figlia, che non teme di ricorrere alla sanzione di fronte alle trasgressioni. La posta in gioco, l'autostima della figlia, é infatti troppo alta per lasciar correre, in nome del quieto vivere. E' impossibile trasmettere il senso del proprio valore senza mostrare anche che esso ha un prezzo: più siamo disposti a pagare (in termini di impegno, e rigore), più quello sale. Questo consente alle figlie di padri presenti, e attenti, di non cadere nelle trappole diffuse a piene mani nelle nostre società tardo moderne. Non a caso, secondo le statistiche dei vari paesi, la parte di gran lunga maggiore di figlie con maternità precoci fuori dal matrimonio, vittime di abuso, droghe o alcool, viene da famiglie dove la figura del padre é assente, generalmente perché allontanata da un divorzio. In tutti questi casi, il valore di sé viene calpestato o lasciato negare. Anche perché non c'é stato un padre che, col suo sguardo attento e amoroso, ha insegnato alla figlia a riconoscerlo, e rispettarlo. Claudio Risé
|