Il nome dei figli? Lo scelgono solo le madri dice uno psichiatra

Il nome dei figli? Lo scelgono solo le madri dice uno psichiatra (a cura di Armando Ermini)

<<Credevo fosse amore, invece era un calesse>>, recitava il titolo di un film di successo del compianto Massimo Troisi. Anche noi credevamo che l'essere umano fosse Logos, pensiero: “Cogito ergo sum”, diceva Cartesio. Oppure che fosse prima di tutto corpo: “Io sono un corpo”, gridava disperata Rosaura nel dramma teatrale “Calderon”, di Pier Paolo Pasolini, ispirato all'opera di Calderon de La Barca, “La vita è sogno”. Oppure ancora, come nella migliore tradizione cristiana, che fosse un insieme indivisibile di corpo e anima, materia e spirito.
Niente di tutto questo. “Noi siamo prima di tutto un suono”, ovvero, secondo dizionario, una sensazione acustica, sentenzia invece l'illustre psichiatra Raffaele Morelli, noto frequentatore dei salottini radiotelevisivi, nell'articolo che possiamo leggere in http://www.nostrofiglio.it/gravidanza/nomi-per-bambini/morelli-il-nome-del-bambino-lo-deve-scegliere-solo-la-mamma

E cosa deduce il noto psichiatra da questa stupefacente scoperta? Che il nome del bambino lo deve scegliere solo ed esclusivamente la mamma:
<<I nomi li devono scegliere le mamme, mai i papà! Mai chiamare i figli come i nonni perché ogni volta che la mamma lo chiama, se il suono è gradito alla mamma si crea una tattività, perché il suono è un tatto che tocca le orecchie quindi tocca la parte antica del cervello>> sentenzia deciso il nostro. Cosa c'entrino poi i poveri nonni non si capisce tanto bene, come se il loro nome fosse necessariamente sgradito alla figlia o alla nuora: evidentemente il grande psichiatra non nutre troppa fiducia nelle relazioni familiari. Venendo al dunque, Morelli non è nuovo alle uscite mediatiche intrise di antipatia e di profonda sfiducia per la figura del padre, fino a decretarne la totale inutilità. Dobbiamo però riconoscere che quest'ultima proposta, benché forse la meno devastante, ha una sua logica; è la conclusione di un lungo percorso di svilimento della paternità.
- Il padre, vedasi leggi abortive, è stato escluso da ogni parere, se non lo consente la madre, sul primo e fondamentale atto della vita, la nascita.
- Il maschio/padre è stato (o, per onestà, si è) progressivamente emarginato come insegnante, fino a rappresentare ormai una minoranza sempre più sparuta nelle istituzioni scolastiche femminilizzate, come se la sua opera di educatore fosse di scarsa o nessuna importanza.
- Restava sua prerogativa la trasmissione del cognome ai figli, che aveva grande valenza sul piano simbolico perché rappresentava la continuità generazionale, la rintracciabilità di un albero genealogico e quindi la memoria storica familiare, ma anche su quello psicologico e legale. Il cognome rappresentava comunque un vincolo, un qualcosa che, oltre ogni umano dissapore, univa psicologicamente padre e figli (il legame con la madre essendo comunque assicurato dall'essere stati nove mesi nel suo corpo), in una promessa di aiuto reciproco. Ma era anche un monito, ricordando a ciascuno l'obbligo legale, oltre che morale, di assistenza. Quella prerogativa è stata eliminata o è in corso di rapida eliminazione.
Ma, si obietta, quello che conta per davvero è il rapporto d'affetto che un padre riesce a instaurare col figlio. Vero, verissimo, ma l'una cosa non esclude affatto l'altra, e l'affetto è anche nella scelta del nome, che spesso evoca un augurio del genitore al figlio che possa ripercorrere le gesta di un personaggio omonimo, o nel caso si dia il nome di un nonno, la speranza che abbia le sue stesse virtù.
Ora il Morelli ci dice che il padre deve essere emarginato anche nella scelta del nome, proposta che ricorda da vicino quella di una decina di anni addietro di dare ai minorenni il diritto di voto tramite esclusivamente la madre. Quella volta fu l'allora presidente delle Acli a farsi venire in mente la brillante idee. Insomma, l'ambito è quello. Il padre non deve contare nulla su nulla, con una eccezione però: i soldi li deve procacciare lui. Il provider è l'unica prerogativa (obbligatoria) rimasta al padre. Ed infatti se perde il lavoro ha molte probabilità di perdere la moglie e per conseguenza i figli, dal momento che nonostante le leggi sull'affido condiviso, i giudici sono sempre propensi a considerare come figura di riferimento la madre, che spesso, ce lo dicono le cronache, usa i figli per fare la guerra all'ex marito. Logico pensare che i padri, percependo la convinzione sempre più diffusa di non essere importanti in nulla per i figli, finiscano per deresponsabilizzarsi e lasciare che sia la madre a occuparsi di tutto. Sbagliato, ovviamente, prima di tutto per i figli ma anche per l'autostima degli stessi padri. Ma come dar loro tutti i torti? Eppure le cronache e una mole impressionante di letteratura clinica ci dicono che quando il padre non c'è fisicamente o è assente psichicamente (magari, chissà, perché impegnato a guadagnare il pane per la famiglia), sono disastri sotto ogni punto di vista. Ma per il Morelli conta nulla. Rimane solo da sperare nella saggezza delle madri che se ne freghino dei pressanti consigli dello psichiatra, ed anche che non gradiscano certi suoni: picci picci, pucci pucci, sbirulino e così via vezzeggiando. Altrimenti chi glielo dice al bambino quando cresce, il prof. Morelli?