Gli anelli del potere

La verità su Tolkien
Perché non era fascista e neanche ambientalista

(A. Mingardi, C. Stagnaro; Liberal Edizioni, Roma, 2004)

«Prenderò io l’Anello, benché non sappia come fare». La decisione di Frodo, al Consiglio di Elrond, è cristianissima professione di fede, non certo promessa d’un già allora improbabile lieto fine. Perché la visione del male lascia un’ombra oscura persino sullo sfondo di paesaggi vittoriosi. Il tempo della radicale separazione fra ethos e polis, della chiusura all’incontro con Dio, è il tempo tragico del dolore per le generazioni perdute, sterminate. Perché ci sono sensibilità inestirpabili neppure dalla leggerezza di uno hobbit, e «vi sono ferite che non guariscono mai del tutto».

La libera scelta di Frodo (che è accettazione del destino superiore voluto da Dio), non risponde, dunque, ad una cieca, rigida, orgogliosa, pagana vocazione guerriera, neppure ad una strategica valutazione delle possibilità di portare a termine l’impresa. Si fonda, invece, su di un criterio oggettivo: è razionale almeno quanto “folle”.
La decisione di Frodo non poteva maturare in un moderno Parlamento, bensì soltanto in un consesso come il Consiglio di Elrond, il quale – come osservano acutamente Mingardi e Stagnaro - «non vede il palpitare di una discussione democratica, alla quale si affaccino punti di vista ed opinioni strampalati e inconciliabili. Piuttosto, esso sboccia in una visione della realtà tutta d’un pezzo, la cui cifra sta nell’idea di verità: la verità esiste, è una per tutti e – facendo uso di quel “lume naturale” ch’è a disposizione persino del più umile fra gli hobbit – può essere, almeno in parte, svelata».
Verità, dunque, è il criterio oggettivo che guida la vita normale e le avventure eroiche delle creature che popolano la Terra di Mezzo - così diversa eppur così simile, nella disgrazia, alle lande che frequentiamo quotidianamente -, in quella “nuova mitologia europea” inventata (nel senso etimologico di: scoperta) da J.R.R. Tolkien, che è Il Signore degli Anelli.
Sono armati della stessa passione per la realtà, animati dalla medesima fedeltà “medievale” alla giustizia, gli autori dei saggi raccolti in questo libro. Il cui obiettivo dichiarato è il “semplice” racconto di ciò che sta davvero a cuore al professore di Oxford, sgombrato il campo dai tentativi di disapprovazione o appropriazione ideologica delle sue opere. Certo, può sembrare un obiettivo poco ambizioso quello degli autori, soprattutto in un’epoca come la nostra, nella quale, riprendendo la bella immagine illustrata da un Re cristiano, si preferisce esser “maestri dell’errore”, anziché “discepoli della verità”. Eppure non c’è niente di più umanamente eroico dello sposalizio tra desiderio di conoscenza e umile consapevolezza che tale desiderio si sviluppa naturalmente nella lettura di una realtà preordinata. Ci sembra di scorgere nel libro di Mingardi e Stagnaro, tra le altre cose, un esercizio che si muove in questa direzione.
L’Anello è il potere, ricordano gli autori, e Tolkien ci insegna che il potere non può esser combattuto con altro, arido, potere; che ogni compromesso fra Bene e Male, fra mezzi e fini, appartiene al regno della follia antivitale di Saruman, e come tale va scongiurato. Che l’unica strada percorribile, da ogni singolo individuo, sempre e dovunque, è il ritorno «ai nomi propri», la ricerca dei fondamenti dell’autorità. Che non esiste il “male assoluto”, ma la democraticissima tentazione della decadenza: «Io non sono “democratico” – scrive Tolkien – solo perché l’“umiltà” e l’eguaglianza sono principi spirituali corrotti dal tentativo di meccanizzarli e formalizzarli, con il risultato che non si ottengono piccolezza e umiltà universali, ma grandezza e orgoglio universali, finché qualche orco non riesce a impossessarsi di un anello di potere, per cui noi otteniamo e otterremo solo di finire in schiavitù».
Come lasciano intendere Mingardi e Stagnaro nel loro bel libro, Tolkien, in quanto cacciatore di Leviatiani e fondatore di mitologie, è anche un po’ padre dei suoi più attenti lettori. Ci sia consentito, pertanto, leggere queste sue parole come fossero rivolte a noi:
«Ebbene, auguri, mio carissimo figlio. Siamo nati in un periodo buio. Ma c’è una consolazione: se fosse altrimenti non conosceremmo, e non ameremmo tanto, quello che amiamo. Immagino che il pesce tirato fuori dall’acqua sia l’unico pesce ad avere un vago sentore di che cosa sia l’acqua. Inoltre abbiamo ancora qualche arma. “Non mi inchinerò di fronte alla corona di ferro, né getterò via il mio piccolo scettro d’oro”. Lancia contro gli orchi, con parole alate, hildenaeddran (lance di guerra), frecce acuminate – ma assicurati di centrare il bersaglio, prima di sparare».

Paolo Marcon


GLI AUTORI

Alberto Mingardi dirige il dipartimento “Globalizzazione e concorrenza” dell’Istituto Bruno Leoni (Torino) ed è “Visiting fellow” del Centre for the New Europe (Bruxelles). E’ membro del comitato scientifico della Fondazione liberal.

Carlo Stagnaro dirige il dipartimento “Ecologia di mercato” dell’Istituto Bruno Leoni (Torino) ed è “Fellow” dell’International Council for Capital Formation (Bruxelles). E’ tra i fondatori del periodico tolkieniano Endòre.