Itinerari di ribellione

Europa degli eroi Europa dei mercanti
Itinerari di ribellione

C. Bonvecchio, Settimo Sigillo; Roma, 2004

Potrà sembrare un paradosso, ma crediamo che mai, come nell’epoca attuale, sia stato tanto difficile, per chi si sente veramente europeo, amare l’Europa, questa Europa. Questa Europa delle parate per l’allargamento ad Est, questa Europa di cui i governi discutono il possibile ruolo internazionale, senza però avere una minima coscienza della sua vocazione, questa Europa delle pubbliche opinioni smarrite e (nietzscheanamente) risentite per l’egemonia americana.

Tuttavia, come dovrebbe esser noto, compito primario di chi desidera differenziarsi – avere ancora un proprio destino, direbbe Jünger –, è liberarsi dalle illusioni del tempo. E allora, convinti come siamo di ciò, cominciamo ad affermare: questa non è Europa.
Per comprendere a fondo cosa sia invece l’Europa, e per vaccinarsi contro le vuote retoriche europeiste che accompagnano inevitabilmente gli appuntamenti elettorali, un’ottima opportunità ci è data dalla pubblicazione di Claudio Bonvecchio: Europa degli eroi Europa dei mercanti. Itinerari di ribellione (Settimo Sigillo, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.).
In questo testo, al tempo stesso di facile lettura e molto efficace, l’Autore, dopo aver denunciato il rischio di «un abisso senza fondo di disperazione in cui precipiteranno (e precipitano tutt’ora) intere generazioni: generazioni abbandonate a se stesse, prive di ideali, prive di progetto, prive di prospettiva» (pag. 31), ci offre una ricostruzione puntuale degli elementi essenziali della tradizione culturale europea, un’immagine nitida, ed estremamente affascinante, dell’identità d’Europa. Un’immagine, dunque, dell’identità perduta, di quell’identità innominata dalle attuali “classi dirigenti”, incapaci, per evidente ignoranza, di accordarsi sul suo significato. Di più: accecate dal modo moderno, materialistico, concettualizzato, deviato, d’intendere l’identità: come qualcosa di statico, rigido, escludente (1).
Qui invece Bonvecchio individua e descrive, con contagiosa e commovente passione, la vocazione universalistica dell’identità europea. Universalismo che, già inscritto nel mito della fanciulla Europa, si è espresso storicamente nella romanità antica e nella medioevale Respublica Christiana. Secondo l’Autore, è proprio questa vocazione universalistica ad aver fatto dell’Europa un faro di civiltà, in un cammino lungo, certamente difficile, che ha permesso di edificare il modello dell’unità nella differenza: «L’idea dell’Europa come casa comune – unificata da un’unica grande cultura e da un’unica lingua collettiva, il latino – non negava, di certo le evidenti diversità e le radicali divergenze: divergenze che, talora, potevano rivelarsi potenziali cause di devastanti conflitti che di, non meno devastanti, drammi individuali. Semplicemente, conflitti e drammi – individuali e collettivi – venivano considerati alla stregua d’incidenti di percorso. Erano semplici inciampi su di un unico, lungo cammino che aveva come meta – traslata nelle idee, nei concetti e nelle parole d’ogni epoca – un’immagine totale di uomo» (pag. 36).
Merito della riflessione dell’Autore è altresì quello di distinguere nettamente – a fronte di analisi superficiali che vanno nella direzione contraria – tale tradizione europea dalla «malattia del cosmopolitismo». Quest’ultimo, assieme a sua figlia: madama la globalizzazione (o mondialismo, che dir si voglia), è la pretesa di restringere l’intero cosmo all’interno di una polis, di un modello giuridico, politico e di vita; il tradizionale universalismo europeo si muove, invece, esattamente nella direzione opposta: nella direzione di un’apertura della polis all’intero cosmo. La matrice ideologica del cosmopolitismo è dunque la stessa dei moderni nazionalismi; viceversa, lo sbocco politico naturale dell’universalismo europeo, l’unico grandioso e possibile, è l’Imperialità (2) : «La concezione imperiale del governo – che non coincide né con un monarca, né una dinastia e neppure con l’ereditarietà, ma può essere tanto elettiva quanto impersonata da più persone – ripropone l’ideale universale di un uomo totale, di un uomo europeo. Per un siffatto uomo “totale”, l’Imperialità è tutt’uno con una visione politica supra partes, in cui i singoli soggetti collettivi (statuali o federativi) valgono per ciò che sono in una più vasta comunità (la Gemeinschaft europea), in cui la differenza esalta l’unità» (pag. 79).
Quella di Bonvecchio non è una semplice denuncia del tramonto dell’Europa, neppure il canto di antichi splendori. L’Autore propone un’opzione, indica una strada, lancia una sfida. Che è quella di una ribellione per il recupero della migliore tradizione politica europea, che non prescinde dalle radici religiose del nostro continente e si nutre di quella sacralità che sola può fondare un’Autorità capace di superare, trascendendoli, i conflitti tra gli interessi organizzati.
Si tratta, evidentemente, di un progetto ambizioso, quasi un sogno, ma la vera utopia – come osserva acutamente Bonvecchio – è la modernità in cui viviamo, non-luogo, irrealtà fabbricata e artificiale. Il sogno, invece, se non è banalizzato a femminea fantasticheria, è il luogo d’elezione nel quale, e attraverso il quale, trovano espressione i simboli dell’eterna potenza creatrice, dunque le forze che spingono verso la comprensione profonda della realtà, tramite il superamento delle apparenze. Perciò – avverte l’Autore – i sogni non si devono sottovalutare (3).
Non si devono sottovalutare, aggiungiamo noi, anche perché caratteristica propria del pensiero e dello stile dell’uomo “totale”, dell’uomo europeo, è l’attitudine alla conciliazione, in armonico equilibrio, di realismo e tensione ideale. Ed è attraverso questa armonizzazione (che si realizza con il Simbolo), crediamo, che potrà passare una vera, radicale, non necessariamente traumatica, trasformazione del mondo attuale.
Così, a titolo esemplificativo, riteniamo che il paradigma del dono vada proposto come modalità di trascendimento delle logiche di mercato, ma altresì senza la pretesa di annullarle (4).
Così, una delle possibili tappe verso organismi politici capaci di superiore unità, può darsi con «la piena distinzione – sul piano teorico ed istituzionale – del parlamento dal sovrano, della rappresentanza degli interessi dal potere di decisione. Un problema che Miglio sintetizza parlando per i sistemi politici contemporanei della necessità di una “doppia legittimazione” (o “doppia rappresentanza”), una riferita all’ambito del governo politico, l’altra riferita all’ambito della rappresentanza degli interessi. Una prospettiva che egli definisce anche con la formula della legittimazione senza rappresentanza (politica), per intendere la necessità (nel prossimo futuro) di forme di legittimazione del potere diverse da quelle garantite dalle correnti procedure elettivo-rappresentative» (5) . Fermo restando che il risveglio dell’ideale politico dell’Imperialità non può certo esser sancito su di un piano meramente giuridico-formale, bensì deve fondarsi su quella Nuova Teologia già invocata, con coraggio ed estrema lucidità, da Ernst Jünger (6).
Nella via indicataci con sicurezza in questo libro, un ruolo decisivo è giocato dalla responsabilità individuale, giacché, come ebbe a dire Jünger, la sede di questa Nuova Teologia è innanzitutto il cuore del singolo. La ri-costruzione dell’ordine e delle gerarchie interiori appare, dunque, premessa indispensabile per un’azione consapevole, volta alla ri-affermazione della Tradizione europea.
Che è, essenzialmente, semplicemente: Libertà, Potenza, Amore.

Paolo Marcon

(1 )Trattasi della stessa modalità omologata di pensiero che sta alla radice del razzismo materialista il quale, come è ormai riconosciuto anche a livello accademico, è un fenomeno del tutto assente nelle epoche pre-moderne.

(2) Sul modello imperiale cfr. C. Bonvecchio, Imago Imperii Imago Mundi. Sovranità simbolica e figura imperiale, Cedam, Padova, 1997.

(3) Per completezza, va detto che, in naturale potenza, e precisamente in quanto uomini europei, non ci è estranea neppure la posizione spirituale (e, in subordine, psicologica) che ispirò a Julius Evola le seguenti parole: «Noi non vogliamo né sperare né disperare. Possiamo attendere. […] I valori, che noi portiamo, sono: che circostanze e uomini si presentino, per cui essi possano, o meno, passare anche ad informare un dato periodo nella contingenza delle cose storiche e temporali – è cosa che, invero, non deve interessare tanto noi, quanto coloro la cui verità si arresta a cotesta contingenza» (J. Evola, Imperialismo pagano, Mediterranee, Roma, 2004, pag. 65).

(4) Crediamo di rimanere conformi alla visione tradizionale, nell’affermare che la decadenza attuale non è certo determinata dall’esistenza dei mercanti (e dei servi). Semmai dal fatto che il potere (l’immaginario del potere) è conquistato alle logiche mercantili e servili. Con il che persino lo stesso mercato pare decadere, l’etica libertaria appiattirsi sul panutilitarismo. Per una recente ricognizione del pensiero libertario, cfr. C. Lottieri, Dove va il pensiero libertario? A cura di Riccardo Paradisi, Settimo Sigillo, Roma, 2004. A titolo esemplificativo della critica libertaria allo Stato moderno, cfr. H. H. Hoppe, Abbasso la democrazia. L’etica libertaria e la crisi dello stato, Leonardo Facco Editore, Treviglio, 2000.

(5) A. Campi, La politica oltre lo stato. La sfida politologica di Gianfranco Miglio, in id., Schmitt, Freund, Miglio. Figure e temi del realismo politico europeo, Akropolis, Firenze, 1996, pag. 126.

(6) Cfr. E. Jünger, La pace, trad. it., Guanda, Parma, 1993. (Libro, questo, che dovrebbero leggere in sacro cerchio gli attuali euroburocrati, anziché perder tempo a discutere continuamente nel nulla, di nulla, per il nulla). Tale Nuova Teologia altro non è che una Teologia politica e - come ci sembra suggerire, anche con la sua successiva vicenda personale (nella prospettiva tradizionale sapere è essere, non conoscere), lo scrittore europeo -, non può certo prescindere dagli aurei filoni del pensiero cristiano, non solo medioevale, che possono consentire il superamento del dualismo Stato moderno-Chiesa Cattolica.