La crescita e l'habitat

Una barca nel bosco
di Paola Mastrocola

Guanda editore 2004

Commento a cura di Mario Brusini 

Questa è la storia di Gaspare Torrente, figlio di pescatore e aspirante latinista, approdato a Torino da una piccola isola del Sud Italia. Un ragazzo come lui, che a tredici anni traduce Orazio e legge Verlaine, deve volare alto, deve fare il liceo e dimenticare il piccolo mondo senza tempo dell'isola. E allora eccolo entrare al liceo, dove non trova grandi maestri ma insegnanti impegnati a imbastire compresenze, eccolo accanto ai compagni, con le scarpe sbagliate e la felpa senza cappuccio. È fuori moda, fuori tempo, fuori posto: un pesce fuori dalla sua acqua, una barca in un bosco.

Una barca nel bosco è un romanzo di formazione incentrato sulla figura di Gaspare Torrente, un ragazzo di umili origini che lascia il profondo Sud e fugge a Torino in cerca di fortuna. Il distacco dalla terra d’origine, l’arrivo nella plumbea Torino, l’incontro con i nuovi compagni di liceo e la delusione dell’ambiente scolastico, sconvolgono la sua vita: da studente modello e promettente talento a giovane disadattato, che si sente lontano anni luce dai suoi coetanei di città. Per integrarsi ed essere accettato dal gruppo, Gaspare comincia a cambiare: impara a giocare alla Play Station, a parlare con il linguaggio del branco, impara persino a non essere poi così bravo in latino… La vita continua, arrivano gli anni dell’Università, ma anche questi trascorrono nell’interpretazione costante di un ruolo che non gli appartiene veramente, in un mondo dove sembra non esserci posto per il suo talento. Fino a quando il destino gli indica la strada per ritornare ad essere se stesso, presentandosi sotto le spoglie di un piccolo pioppo, un alberello comperato ai tempi del liceo e capace di aprirgli un nuovo imprevedibile universo.
Raccontata in prima persona dal giovane protagonista, questa storia di trasformazione e riscatto indaga il mondo dei giovani e la società contemporanea nelle sue pieghe più drammatiche ma anche divertenti. La realizzazione del talento personale e l’inadeguatezza del sistema scolastico, il conformismo di una società incapace di riconoscere e valorizzare le peculiarità dell’individuo, sono raccontati da Paola Mastrocola in un libro che associa una narrazione vivace e piacevole all’approfondimento psicologico e sociale.
(scheda tratta da www.internetbookshops.it)

Commento

E’ un libro dove il “peso” dell’ambiente domina, l’ansia di vivere e di crescere viene trascritta da un habitat sconosciuto dove l’adattamento diviene trasformazione.

Oltre al protagonista descritto sopra, vanno citati i co-protagonisti

1. L’insegnante che “scopre” il talento.
Una donna francese di cui sono date poche e vaghe notizie.
Il fatto saliente è che dopo aver scoperto il talento si adopera per convincere la famiglia a perseguirlo.
Poi questa donna scompare, lasciando un vuoto che il libro non colma in nessun modo.
Forse a dire che la vita non sempre si compie e si comprende. Ma anche che “il talento” è personale e ognuno deve saperlo coltivare in solitudine, senza aspettarsi altre generosità da altri.

2. La madre che segue ed accompagna il figlio
Si adopera per il figlio, lo accudisce, lo nutre.
Svolge i ruoli primari della maternità, ma non sa seguirlo nel percorso di crescita personale: è presente ma non sa esserci.

3. La zia (sorella della madre che vive a Torino e li ospita)
E’ l’unica voce fuori dal coro.
Lei sa riconoscere e definisce il ragazzo “barca nel bosco”, a dire persona disadattata (a cosa serve saper galleggiare quando non c’è acqua ?)

4. Il padre
A prima vista pare fisicamente assente, ma proprio a lui è dedicata la frase che chiude il testo.
Questo figlio soffre la sua mancanza.
Ad essere attenti non soffre questo padre lontano, rimasto nell’isola natia, ma soffre il padre che non è al suo fianco ad aiutarlo nella crescita.

La conclusione personale è che al protagonista manca la “testimonianza”.

Trova chi lo scopre (insegnante), chi lo nutre (madre), chi lo riconosce (zia). Ma non trova chi lo sostiene, chi affronta con lui la solitudine del diverso, quindi la solitudine della vita.
Non trova quindi l’appoggio/iniziatico con cui affrontare le frustrazioni della vita, con cui quindi superare l’adolescenza per entrare nell’età adulta.

Pur non essendo un libro di genere (femminile come la scrittrice è) e pur non essendo un libro di denuncia verso il padre, il libro mostra quanto la paternità sia contenuto strutturante della vita.

La tesi del libro parzialmente collide con la visione biblica del talento (vedi parabola): nel senso che l’ambiente diventa dominante ed impedisce la coltivazione del talento.
Ossia senza padre non funziona nemmeno la bibbia (il libro non cita alcuna forma religiosa)

Vorrei chiudere citando un “esercizio che ho immaginato”:
il protagonista nasce come un predestinato come una persona con talento, in questo caso “latinista”.
In questo ambito immaginando che “il protagonista” diventi “una protagonista” non vi sarebbe differenza.
A dire che lo sguardo del padre (come presenza del maschile), la sua presenza ad iniziare all’età adulta è necessaria ai figli. Siano essi maschi o femmine poco importa.

[20 ottobre 2005]