Il Cacciatore

regia di Michael Cimino

“Il salto al Bosco: guardare lo sguardo”

recensione a cura di Marcello Menna 

Un uomo e la sua compagnia maschile, un manipolo di tostissimi immigrati russi trasferitisi negli Stati Uniti, partono per una rude spedizione in montagna.
Sono dei grandi appassionati di armi e di boschi.
Sono uomini selvatici incazzati, delusi, e portano con sé la Ferita dell’Errante, dell’uomo che ha perso drammaticamente tutto, la Patria, la terra dei Padri.
Ma ora, per usare le parole di Junger, scelgono il Passaggio al Bosco.
Il professor Risé ci ricorda la centralità dell’esperienza narrata dal regista italoamericano (Cimino). Leggiamo un suo passo tratto dal saggio “Essere uomini, la virilità in un mondo femminilizzato”:

... Il bosco, la zona cui si avvicina Francesco quando esce dalle mura della città per compiere il suo percorso interiore, è lo spazio della rigenerazione del maschile. (…)
E’ per questo che, nel nostro tempo, si vanno moltiplicando i richiami al bosco. Uno dei più efficaci è quello proposto da Ernst Junger con il suo “Passaggio al bosco”, presentato in italiano col titolo “Trattato del ribelle”. Vi si tratta di un Waldganger, un errante che passa al bosco, alla selva.
Junger contrappone il Titanic e il bosco: i due spazi psicologici che ci si aprono davanti oggi. La perfezionata, imprigionante, civiltà tecnologica dell’Occidente, la nave: il Titanic.
E il bosco, “che le forze dionisiache dentro di noi sono in grado di suscitare, mettendoci poi in condizione di “passarvi”. Junger sa bene che siamo comunque sulla nave. Ma chi sa farlo può passare al bosco....
I protagonisti del “Cacciatore” sono maschi forti e sofferenti agiti dagli archetipi maschili della rinascita: il Padre, l’Errante, lo Straniero, il Ribelle, il Guerriero, l’Amante, il Re.
Misteriosamente, si accorgono della tragica realtà moderna: il sogno dell’Occidente è un Titanic allo sfascio in cui sono rimasti solo insopportabili e patetici suonatori della Grande Madre, del femminile e del materno patologici e divoranti.
Questi cacciatori russi immigrati hanno capito una cosa molto semplice: è ora di finirla di suonare il valzer per un Occidente ipertecnologico e antivitale, dispensatore di peste e di Caos.
Dal Titanic al Bosco. Tutto qua.
Tornando alla bellissima scena-chiave della spedizione di caccia, allo svelamento improvviso e inaspettato del richiamo della foresta (ricordate Jack London?), si osserva la forza del contemplare, con silenziosa e austera umiltà, l’incontro mistico tra il Cacciatore Robert De Niro e l’Alce del Bosco, il cervo selvatico.
Appare un grande duello maschile e istintuale, libidico e trascendente, attraverso cui accade il rovesciamento mitico e simbolico più sbalorditivo che si possa immaginare: la Preda, con la sua energia primordiale e selvatica, richiama al sapere e all’agire maschile autentico il Cacciatore De Niro.
Uno sguardo reciproco potentissimo investe i duellanti della selva: l’uomo, che ha scelto il dono totale e incondizionato di sé, si sottomette, umilmente, come un Figlio, alla maestosità dell’Animale, dell’Alce Selvatico.
E ritrova il potere e la regalità che aveva perduto. Ritrova se stesso nella libertà e nella potenza dell’eroismo silenzioso e sacro.

[16 febbraio 2006]