Come è nata la campagna “Per il padre”

orestedalla mailing-list dei Maschi Selvatici

Oreste inseguito dalle Furie

La proposta…

 

Cari amici, sul numero 50 di Grazia , del 18 dicembre 2001, c’è una mia intervista in cui intervengo con molta precisione sulla questione del diritto del padre che lo desidera, di avere, vivo, il bambino alla cui vita ha dato inizio. Naturalmente prendendosene (se la madre invece vuole abortire) tutte le responsabilità: mantenimento e cura del bambino, ogni risarcimento per eventuali danni patiti dalla madre per portare a termine la gravidanza.
Ritengo che occorra discutere di questo problema, cercare di stabilire subito un contatto con i padri che stanno prendendo o hanno preso posizioni di questo genere.
Per arrivare a una comune azione maschile, occorre prima discuterne, per agire assieme. Si tratta di agire con responsabilità: perché nessun bambino venga ucciso se c'é un padre che può crescerlo.

Claudio

Le prime reazioni alla proposta…

Caro Claudio,
non posso che complimentarmi con te del coraggio. Naturalmente,condivido il senso dell'intervista su Grazia: almeno per come lo hai raccontato.
Se l'intervista pubblicata sarà fedele al tuo pensiero, appena puoi falla girare sul web, in modo che possa avere il massimo di diffusione possibile. Io, e penso tanti altri, sono disposto ad accoglierla sul mio sito. Inoltre, credo che una proposta di questo genere, muovendo da un approccio realista e quindi non vanamente ideologico, possa interessare anche a molti altri uomini (e donne) che magari, su altre questioni, sono distanti dal nostro ancora troppo piccolo mondo.
In particolare, non è escluso trovare appoggi sia sul fronte “pro-life” che su quello "abortista" (in fondo, credo, ben pochi, tranne i Verdi, sono desiderosi che aumenti il numero di aborti, anche se si battono per il diritto di abortire).
Ciao,

Paolo Pace

Cari amici dei Maschi Selvatici, noi di www.uomini3000.it condividiamo totalmente questa posizione, radicale e limpida, che avvicina i diritti del maschio a quelli della femmina e che in realtà sarebbe dovuta esser adottata in ogni paese al momento della liberalizzazione dell'aborto.
Brevemente ecco alcune nostre osservazioni.

Rottura
1- si apre uno scenario totalmente nuovo rispetto al pensiero-sentimento corrente. Prospettiva che sembra persino stravagante ed incomprensibile,rottura salutare.

Evento simbolico
2- prima che si giunga alla realizzazione di una simile conquista ci vorranno forse uno o due decenni, ma questo non è importante.
Quel che importa è che già oggi, qui ed ora, si apre uno scenario diverso, si mette in campo la questione maschile in modo radicale e si gioca su un terreno sin qui ritenuto tabù per gli uomini.
Sul piano simbolico è una prospettiva di grande valore.

Due origini
3- questa posizione può essere vista in due modi:

A- come via che porta alla salvezza almeno un certo numero di nascituri altrimenti abortiti.

B-come strumento per affermare la pari centralità della scelta maschile.

Nel primo caso (prospettiva antiabortista) il fuoco è centrato sul nascituro, nel secondo è centrato sul diritto paterno, cioè sul valore della volontà maschile. Nel primo caso (detta crudamente) viene prima il figlio, nel secondo viene prima il padre.
La posizione di U3000 è la seconda, perciò la salvezza di alcuni nascituri (ben venga) è intesa come l'esito della volontà maschile, come fatto derivato. Per U3000 prima vengono i maschi, poi il resto. Posizione dura ed apparentemente egoistica, certo, basata sul rifiuto di considerare la volontà maschile secondaria ed ancora una volta ancillare rispetto ad altri valori, di anteporre ancora una volta qualcos'altro al valore degli uomini.
Ritengo questa posizione decisiva per la nostra ed altrui crescita (i.e uscita dal sistema etico vigente). Questa seconda posizione ha inoltre il decisivo vantaggio di superare la contrapposizione abortisti (67% ca.) vs. antiabortisti (33%). Porre la cosa sul piano di una lotta contro l'aborto significa posizionare il movimento maschile tra i secondi tagliando di netto a priori ogni possibile relazione con gli abortisti e creando l'equazione movimento maschile = movimento antiabortista. U3000 porta nel movimento questa sua posizione: prima gli uomini.

4- le due posizioni (A - B di cui sopra) però di fatto convergono verso lo stesso risultato e questo va benissimo.

Grazie
Rino per UOMINI 3000 - Sito internet: www.uomini3000.it

 

Dal dibattito in lista…il figlio è solo della donna perché si sviluppa nel suo corpo?

Vorrei portarvi la mia esperienza personale.
Intorno ai 23 anni avevo una fidanzata. Francamente non l'amavo molto e non mi prospettavo nessun futuro insieme. Lei, al contrario, sognava il matrimonio.
Verso la fine della nostra storia (ho ancora il dubbio se sia stato veramente un errore) rimase incinta.
Dopo lunghe e dolorose discussioni e meditazioni decidemmo di comune accordo di non tenerlo. Organizzammo tutto e facemmo tutto insieme.
Dopo qualche mese ci lasciammo. A me è rimasto sempre dentro un malessere, un disagio; ancora adesso dopo 20 anni mi capita di pensarci, di pensare a come avrebbe potuto essere, a cosa avrebbe fatto. E non posso ricordare quel fatto senza sentire repulsione istintiva per un atto commesso contro la vita, senso di colpa per non aver sviluppato una potenzialità, vergogna per non essermi preso le mie responsabilità di maschio.
Certo, poi il tempo passa e ci si dà giustificazioni più o meno valide. Ma quei sentimenti, se evocati, rimangono immutati pur non essendo io cattolico, a riprova se fosse necessario, della enorme profondità della questione.
Mi è rimasto sempre il desiderio di parlarne con lei, e, dopo tanti anni, capitò di rincontrarsi. Le dissi che era tanto tempo che volevo dirle che mi faceva veramente male come fosse andata quella vicenda, e che ero sinceramente dispiaciuto che ci fossimo trovati a dover prendere una così brutta decisione. Lei mi rispose: «Tutto qui quello che dovevi dirmi? Banale!»
Voglio essere buono e pensare che sia stata una reazione dettata dall'imbarazzo.

Curzio

Scusate il mio lungo silenzio su questo tema. Ma non è un tema facile. Io personalmente lascerei fuori la legge laddove ci sia una coppia convivente. Che si faccia insieme carico della gloria o del rimorso, o dell’indifferenza, od anche del dolore perenne, come forse è più probabile, di una scelta simile. Io interverrei solo laddove due non si riconoscono più come partners.
Lì, non c'è più nulla che tenga. C'è l'egoismo, o la vigliaccheria, o la menzogna, contro il dono, il dovere, il coraggio,
la verità. A chi mi dice che è solo un grumo di cellule, non posso che rispondere che io so, io so, che in quel grumo, c'è il colore degli occhi, la forma delle dita dei piedi, e probabilmente la professione che farà e la morte che avrà. Sia "il grumo" futuro, maschio o femmina, io voglio, devo farmene carico. A me è capitato, in una storia grazie a Dio finita e di cui vi risparmio i particolari, di avere le precisa percezione che lei ad un certo punto, durante il rapporto, rompesse volontariamente il preservativo, con le unghie. Già allora non mi fregò più di tanto. Qualsiasi figlio concepito, con qualsiasi donna, in qualsiasi condizione, sarebbe stato mio figlio. Se la vita mi dava quello, quello era. Lei non rimase incinta, ma mi disse di esserlo. Le dissi che in ogni caso mi sarei fatto carico di tutto. Lei mi disse che avrebbe abortito. Poi una notte, alle 3, mi telefonò, mi disse che l'avrebbe tenuto, ma che io non l'avrei mai visto, per tutta la vita.
Avevo la quasi certezza che fosse una menzogna. Ma se fosse stato vero? Cercai un attimo di introspezione. Mi dissi che l'importante era che io fossi a posto con la mia coscienza, nella consapevolezza che l'intera mia vita poteva cambiare in quel momento.

Eugenio

Anche a me capitò una cosa simile e mai dissi a lei di abortire.Facesse lei ed ero pronto ad assumermi le responsabilità.Con amore anche.
Poi la bolla svanì. Sono abbastanza d’ accordo con Eugenio, anche se mi risulta difficile pensare di regolamentare la legge sulle coppie “scoppiate”. Non ci credo. Mi piacerebbe anche sentire il parere di voi amici sul fatto che comunque un aborto passa attraverso il corpo ( proprio corpo in senso fisico) della donna, e sul rapporto che costei sviluppa nell’arco di 9 mesi col (a questo punto povero) nascituro.
E' importante chiarirsi le idee su questo punto, altrimenti troppo facilmente attaccabile.Personalmente, essendo un fatto di natura e fisiologico, penso che il rapporto con un bimbo che tieni in grembo sia diverso tra donna e uomo. E' come il rapporto col Fallo. E' probabile che sia diverso il sentire tra uomo e donna. Come per esperienza personale e per sentito dire (anche da qualcuno di noi), il rapporto col figlio per un uomo diventa molto più forte quando il figlio esiste (nasce), che non durante l'attesa.

Giancarlo

Caro Giancarlo,

non mi sono mai trovato a vivere una situazione simile, quindi vorrei dire alcune cose con molta umiltà, conscio che la realtà potrebbe smentirmi, ed in ogni caso senza voler assolutamente dare giudizi sulla vita di altri, maschi o femmine. Se solo un anno fa fossi stato in procinto di ridiventare padre avrei con certezza chiesto (non imposto, naturalmente) alla mia compagna di abortire, oggi non più, pur con tutti i problemi conseguenti, e non solo per merito di questa ultima discussione.
Entrando nel merito della tua domanda sul rapporto tra donna e uomo col nascituro, penso che sia vero esista una diversità, anche se il tuo paragone col rapporto col Fallo non è pertinente perché il Fallo è tutt'uno col maschio, è costitutivo fisicamente e psichicamente della maschilità, mentre il bambino, seppure ospitato e completamente dipendente dalla madre, è soggetto a sé stante, e la madre ne è ospite per compito datole dalla natura, senza che questo possa darle diritto incondizionato di vita o di morte.
Rimane il fatto che se anche il rapporto del padre col bambino si forma già prima della nascita, e può essere molto forte, è sicuramente diverso da quello materno, di cui noi non possiamo capire fino in fondo l'intensità. E' questa intensità che fa vivere (o almeno dovrebbe farlo) alle donne l'aborto come un grave trauma. La mia stessa compagna ed alcune amiche passate attraverso questa prova la ricordano con dolore, e col rammarico di essersi fatte convincere ad abortire.
E' proprio questo che mi sconcerta, perché dovrebbe allora essere benvenuta ogni possibilità di non abortire. Invece c'è un fuoco di sbarramento, a metà fra il sorpreso e l'indignato, di fronte ad una proposta come quella di Claudio. Perché? Io avanzo l'ipotesi che ci sia un mix fra il timore di perdere il potere di vita e di morte sul nascituro (e sui figli) che la "società" ha attribuito alle donne ma che è da sempre autonomamente ben radicato nell'inconscio femminile, ed una parte di "cattiva coscienza". Apparentemente è più "facile" dimenticare un aborto, piuttosto che sapere che da qualche parte vive un figlio che non si è voluto (o potuto) riconoscere. Peggio ancora se si sa che il bambino sta col padre, con un uomo che la donna ha conosciuto in senso biblico. Un evento che contraddice in modo clamoroso la vocazione alla vita che tutte le donne vantano come propria prerogativa in contrapposizione agli uomini.
Mi viene allora da pensare che nell'ossessiva insistenza sull'aborto come trauma ci sia una dose d'ipocrisia. In quanto dolore e trauma, chi lo pratica è sempre da giustificare e da comprendere perché non è dato di scegliere "volontariamente" un dolore": questo è lo schema di ragionamento atto a sviare l'attenzione dalle possibili alternative. E noi maschi come ci situiamo in questo? Fino ad ora, diciamocelo, nel modo peggiore possibile. Ci siamo sfilati dalle nostre responsabilità delegando tutto alla donna, salvo farle spesso pressioni anche violente per convincerla ad abortire (vere vigliaccate), come se un figlio ci riguardasse solo quando non lo vogliamo.
Non dovremmo meravigliarci dunque se il terreno lasciato sgombro viene occupato.
La nostra vocazione a proteggere la vita dovrebbe invece manifestarsi nello stare vicino alla nostra compagna non per accettarne tutte le decisioni quali che siano, come vorrebbero le psicologhe femministe, ma per creare le condizioni perché la vita possa nascere nella situazione migliore, assumendoci infine le nostre responsabilità ed il nostro ruolo di padri quando ciò non fosse possibile. La rinascita maschile passa necessariamente anche da qui.

Armando

Cari amici, mi colpisce molto questo discorso sulla responsabilità del padre nella decisione di un eventuale aborto.
Tempo fa ho letto su una rivista che una gatta durante un incendio riportò ferite (ma sì salvò) per cercare di recuperare i suoi cuccioli rimasti intrappolati. Si mosse solo per amore e per istinto.
Questa incredibile storia di legame mi è ritornata in mente mentre leggevo l'articolo su Grazia e le affermazioni di certe femministe.
Intanto Giancarlo chiede opinioni sul fatto che un aborto (come una nascita) passa attraverso il corpo di una donna ed il rapporto che crea con la donna stessa nell'arco di 9 mesi con il nascituro (punto che Giancarlo definisce facilmente attaccabile). Ho pensato anche io che questo potrebbe essere un punto attaccabile. Le femministe che hanno parlato nell'articolo si sono però tirate da sole la zappa sui piedi: la Bellocchio in quell’intervento definisce la gravidanza non come un atto d’amore, ma come un orrore, una violenza inconcepibile. Ma la nascita e la vita sono un orrore? Il rapporto tra madre e figlio è un discorso di morte? Il figlio vale talmente poco da negargli anche un padre? Il padre vale talmente poco da negargli anche il figlio? Questo è un discorso di morte e di svalutazione della vita umana , della natura e di tutto il mondo vivente.
Sulla rivista Claudio ha risposto egregiamente. Ha saltato l'attacco parlando della vita (in questo caso la paternità, ma potrebbe essere benissimo anche la maternità) come un dono offerto e poi negato.
Ha tirato in ballo anche le "pari opportunità" che dovrebbero tutelare anche il genere maschile. Queste secondo me potrebbero essere due ottime basi per presentare la nostra proposta e parallelamente fare risaltare determinati atteggiamenti di "autodeterminazione" come contronatura e tesi a creare confusione nei rapporti affettivi e amorosi.

Andrea

Guarda Andrea che la Ravasi-Bellocchio definisce un orrore -credo- la gravidanza imposta, non la gravidanza in generale. Ma, certo, é comunque significativo! Quanto al problema del corpo della donna, Giancarlo, il fatto è che nella società della tarda modernità (oggi), mentre é chiarissimo che il corpo dell'uomo é "socializzato" al servizio dello Stato (guerra, produzione, riproduzione a comando), quello della donna é completamente autonomo.
Anche nei suoi delitti: quando una donna butta un bambino dalla finestra (lo fanno solo loro, nel 99% dei casi ), si dice che é giù di nervi, se lo fa un uomo- giustamente- lo si tratta come un pazzo criminale.
Il tabù dell'indisponibilità del corpo femminile, contrapposto all'uso disposto in via amministrativa di quello maschile, deve cessare. Perché fa della donna (soprattutto a livello inconscio) un essere onnipotente, sottratto alla Comunità, appunto una Grande Madre che tutto può.
E crea nell'uomo (soprattutto a livello inconscio, in quelli che non lo registrano coscientemente), un vissuto di avvilimento e indebolimento profondo.
Non va bene, e lo vediamo ogni giorno.
La nostra proposta va alla radice della situazione: alla sua configurazione simbolica originaria.

Claudio

I figli frecce scagliate nel futuro, i padri archi tesi dall’Arciere

Carissimi amici, anche per me è difficile astenersi dal dire ciò che mi turbina nella mente su questo difficile e per certi versi terribile ed angosciante tema. Ho letto con interesse ma con fatica tutti i vostri generosi ed a volte stupendi interventi e sento di dovere dire la mia. Lo sento come un dovere perché il primo istinto sarebbe quello di fuggire da un argomento tanto difficile e doloroso. Non ho avuto esperienze dirette in questo senso. Neppure mai mi si è posto il problema.
Al contrario semmai mi si pone il problema opposto. La mia donna non abortirebbe mai mentre io sarei molto più disponibile all'interruzione di una gravidanza non voluta o estorta con l'inganno (vedi casi di Eugenio e di Giancarlo). In questo senso, essendo io superfertile, questa indisponibilità totale della mia compagna un po' mi crea delle preoccupazioni. Non riesco a concepire un atteggiamento come quello espresso da Eugenio. Anche perché (e forse è ancora un mio antico vizio!) io ancora distinguo tra due cellule che si sono appena unite, da un feto di 10-15 giorni e da un bambino nato. Faccio ancora distinzione perché se non la faccio sono costretto, per coerenza, ad accettare integralmente il pensiero della Chiesa. Ma non solo per questo. Allora anche la pillola del giorno dopo equivale all'aborto, ma anche la pillola ed il preservativo, impedendo di fatto un possibile fecondazione, equivalgono ad un aborto. Anche le donne violentate nell'ex Jugoslavia devono tenersi il bambino che con la violenza è stato generato in loro? Ecco, quello che non voglio accettare è l'ideologizzazione.
La considero una violenza infinitamente più grande di quella di interrompere un processo appena iniziato. Considero che un vita disperata perché prodotta da un violenza o perché segnata dalla mancanza di amore, sia molto, ma molto peggio. Anche se devo ammettere che esseri umani salvati per il rotto della cuffia, magari abbandonati, e non amati sono diventati esseri umani straordinari e felici di essere vivi (ma forse sono casi eccezionali). Ovviamente sul piano teorico siamo tutti d'accordo. L'aborto è e resta un cosa terribile (ma credo che le donne lo sappiano benissimo e lo paghino a carissimo prezzo!). Comunque il problema dell'aborto e di una sua regolamentazione rimane.
Purtroppo gli aborti clandestini erano e restano la vera piaga a cui la legge, con dei limiti enormi ha cercato di dare una risposta (credo che gli aborti comunque siano diminuiti..o sbaglio?). Secondo me per combattere la piaga dell'aborto andrebbe sviluppato un grosso intervento di informazione anticoncezionale contrastando decisamente l'atteggiamento grave della Chiesa sull'argomento. In ogni caso approvo e sostengo completamente l'impostazione data alla questione. Soprattutto per quanto riguarda l'assunzione di una nostra piena responsabilità in relazione alla paternità. Essere padri è molto impegnativo. Non si può essere padre senza essere uomo ma è anche molto bello essere, o tentare l'uno e l'altro. Mi viene in mente quella bellissima poesia in cui i figli sono descritti come frecce che noi scagliamo nel futuro, noi li generiamo ma non ci appartengono. Qualcuno si ricorda di chi è? Mi piacerebbe rileggerla…

Guido

Caro Guido eccola qui la poesia:

"E una donna che teneva un bimbo al seno disse:

parlaci dei bambini.

E lui disse: i vostri figli non sono i vostri figli.

Sono i figli e le figlie della vita che ha fame di se stessa.

Vengono attraverso di voi ma non da voi, e benché siano con voi, no, non vi appartengono.

Voi potrete dar loro il vostro amore, ma non i vostri pensieri,

poiché essi hanno i loro pensieri.

Voi potete fare da casa ai loro corpi, ma non alle loro anime,

perché le loro anime abitano le case del domani,

che voi non potete visitare, nemmeno nei vostri sogni.

Vi sforzerete di essere come loro, ma non riuscirete a farli simili a voi,

perché la vita va non all'indietro e non si attarda su ieri.

Voi siete gli archi dai quali i vostri figli come frecce viventi

sono scoccate lontano.

L'Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell'infinito e con tutta la Sua forza vi tende, così che le Sue frecce vadano rapide,

lontane.

La vostra gioia sia nell'esser tesi nelle mani dell'Arciere:

poiché Lui come ama le frecce che volano, così ama anche la stabilità dell'arco."

Gibran Kahlil Gibran

da Il profeta, Corbaccio, 2000.

ciao Massimo