Intervento di Roberto Poggi

Un commento di R. Poggi, del Cerchio degli Uomini, all’intervento dei MS al Convegno Agape 2005

Ai Maschi Selvatici.
A Uomini in Cammino
Ai componenti dello staff campo Uomini di Agape
Al Cerchio degli Uomini

Desidero comunicarvi alcune personali riflessioni riguardo al documento inviato ad Agape dai Maschi Selvatici e agli scritti intercorsi relativi al documento degli Uomini in Cammino del 2000.
Innanzi tutto ho apprezzato il contributo dato aprendo così un confronto che sicuramente non ha il fine di risolvere divergenze e conflitti su questioni che non possono essere univoche.
Il fatto stesso di affrontare il conflitto ha a mio avviso un valore che è quello di tentare di non lasciare nel rimosso ciò che riteniamo diversità, non cadendo quindi nell’indifferenza.

Ci poniamo in tanti le stesse domande sul maschile e diamo tante risposte diverse. Ciò che poi avverrà sarà dipeso in buona parte da come e se ci siamo confrontati.
Siamo tentati di dare risposte precise, immediate ed inequivocabili e questo rischia di farci perdere il senso della complessità; così semplifichiamo, facciamo divisioni, tracciamo confini, mettiamo in moto processi logici basati su alcuni presupposti, che sono solo una parte della realtà, per arrivare a delle conclusioni magari interessanti, ma che non hanno che una parziale rispondenza con il reale.
Intendo dire che i miti, gli archetipi, una certa sacralità, oppure per altri versi una visione basata sul recupero dell’emotività, la consapevolezza del corpo e l’eliminazione del patriarcato siano processi di pensiero sicuramente validi, ma che facciano torto per difetto a chi, uomini e donne un po’ di domande se le sono poste ed un po’ di risposte se le sono date.
Ritengo inoltre che l’Umanità non sia ancora arrivata al capolinea della sua evoluzione ed il prossimo passo potrebbe partire proprio dal riconoscimento reale della parità tra i sessi ed in conseguenza tutta una serie di ordini potrebbe cambiare.

Il ritorno ai valori del Fallo così come, forse, potevano essere in passato, al mito dell’ Eroe, al dualismo bene male, maschio femmina ecc., all’iniziazione del maschio tramite riti arcaici, non rende conto di ciò che sta avvenendo da 2500 anni a ‘sta parte e cioè che l’essere umano intuisce che non è fatto per affidare a qualcun altro (sacerdoti o chi per essi) l’interpretazione della propria esistenza ed il contatto con l’Assoluto. L’essere umano si pone direttamente la domanda affrontando così una complessità che ci può sembrare insostenibile, ma che può aprirci le porte sul senso dell’esistenza.
Buddha, Cristo e altri nel loro insegnamento originario hanno indicato questa direzione.

Ma torniamo nel qui e ora. Perché ci occupiamo del maschile?
Forse perché siamo uomini e vogliamo difendere i nostri interessi. Oppure riteniamo di aver commesso qualche errore che ci ha messo nei guai e ricorreggendolo possiamo tornare a quelli che ci sembrano gli antichi splendori. O ancora riteniamo di dovere salvare l’umanità dalla catastrofe.
Non mi piace la svalutazione del maschile. Non mi piace il consumismo del sei ciò che hai. Non mi piace l’indifferenza. Non mi piace l’umiliazione che il genere umano si auto impone dividendo il ricco dal povero, il forte dal debole, il sapiente dall’ignorante, i primi dagli ultimi. Conosco la trappola dell’utopia.
Per quel che mi riguarda mi occupo di maschile per occuparmi di me stesso, dell’Uomo e della Donna e di tutto il resto.

La crisi del maschile non è un incidente di percorso, né casuale. Non siamo di fronte al bivio assoluto del “recupero dell’intero sistema simbolico del maschile od il suo totale dissolvimento”, pena la catastrofe. Mi pare che non esista nessun bivio e nessuna catastrofe.
Credo che siamo di fronte ad un cambiamento dei rapporti di potere maschio e femmina e che abbiamo, noi uomini, una fottuta paura di finire sotto, e se non risolviamo la paura finiamo sotto davvero.

Se facciamo riferimento più alla nostra consapevolezza e un pò meno al raziocinio entriamo nel campo della percezione della complessità, allora ci possiamo rendere conto ad esempio, sul piano simbolico, che oltre ad essere un fallo siamo fegato cuore ossa mente . . . un corpo insomma . . . e mettiamoci anche un po’ di spirito ( senza scinderli troppo per favore). Che siamo identità collegate, uomini donne e tutto il resto, nello stesso tempo unità distinte. Che è vero che l’essere umano in un certo senso non è mai cambiato, ma che è altrettanto vero che non è stato mai uguale a ciò che era un attimo prima sia nella sua identità singola che collettiva.
Cose ovvie forse, ma sufficienti a suggerirci che riferirsi a sistemi simbolici e dualistici e a miti oggi non basti. Forse ci può dare un certo orientamento destinato a sgretolarsi di fronte alle vicissitudini e alle contraddizioni della vita, indirizzandoci così ai vari gestori dell’anima col rischio di capitare anche male.

Torniamo alla crisi del maschile. Le cause credo siano da ricercare nell’ordine stesso che si è creato negli ultimi 7-8mila anni. Non sappiamo bene cosa c’era prima, ma da allora fino ad oggi c’è stato il patriarcato. Si è creato sviluppo, potenza, scienza, tecnologia,, benessere, democrazia, ma si è incontrato anche distruzione, violenza, sopraffazione, autoritarismi, dittature,, fame, tortura, ipocrisia. La crisi arriva quando le contraddizioni non trovano riconoscimento e soluzione e la contraddizione in cui è incappato il patriarcato sta, credo, nell’essersi troppo spesso basato sulla prevaricazione e su un ordine di potere discriminante nei confronti delle donne e delle diversità in generale, un sistema piuttosto escludente che includente, che troppo spesso né riconosce né tenta soluzioni . Il patriarcato ha creato spesso capi e leaders poco autorevoli magari inclini all’autoritarismo, senza nulla togliere a tanti altri grandi personaggi.
Il potere ha insito in sé la prevaricazione? E’ possibile un potere che rinunci a questo strumento?La prevaricazione è insita nell’uomo? E nella donna?
Azzarderei che la prevaricazione trova spazio nelle persone che hanno perso l’ integrazione tra il sè e l’altro da sè, con gaudio del narcisismo.
E’ chiaro che sarebbe ingenuo illudersi che eliminando il patriarcato si risolvano tutti i problemi. La logica di potere prevaricante si riclonerebbe in altri ordini di potere.
La prevaricazione ha mostrato nell’ultimo secolo mostruosità che l’essere umano non riesce più a rimuovere, sono state aperte ferite che non si rimarginano.
Stragi di intere popolazioni, uomini donne bambini, dittature da follia, distruzione sistematica e cieca dell’ambiente.
E’ in corso un processo di globalizzazione che di per sé potrebbe dare anche buoni risultati, ma che guarda caso per ora ha aumentato le ricchezze a chi già molto ricco era e ha depauperato ulteriormente chi era già in miseria. (Stiglitz – La globalizzazione e i suoi oppositori – Einaudi)
E’ in corso una rivoluzione sessuale che ha portato la donna ad agire in prima persona la propria sessualità. Ciò ha causato inizialmente nell’uomo un certo disorientamento ed un senso di insicurezza che peraltro costringe a riflettere sulla propria sessualità. Oggi si incomincia a sentire che molti uomini stanno cambiando il modo di vivere la propria sessualità, con qualche stereotipo in meno ed un po’ più consapevoli delle loro vecchie ansie da prestazione. Questo contribuisce a mettere l’uomo un po’ più a contatto con il proprio corpo.

Fatte queste premesse va da sé che stiamo andando verso cambiamenti che non lasciano tanto spazio a recuperi di vecchie identità e che per quel che riguarda l’uomo potremmo parlare di identità post-patriarcale (G. Cavallari – L’uomo post patriarcale – Ed. Vivarium) in cui il centro da una posizione autoreferenziale si sposta al riconoscimento delle alterità a partire dalla donna per estendersi ad una coscienza “allargata”.
Horst Petri parla di un possibile nuovo accordo tra i sessi, che tenga conto di una vera democrazia sessuale ( Horst Petri – Il dramma della deprivazione del padre. – Ed. Koinè) e fa riferimento a J. Benjamin che sviluppa il concetto di una reale complementarietà dei sessi nel senso di “reciproco riconoscimento e reciproca cura” che possa trasformare la conflittualità in produttività e permetta quindi di affrontare complessità che oggi restano completamente rimosse e riconoscere asimmetrie non omologabili ad una forzata complementarietà.

In un quadro di riconoscimento delle alterità a partire dalla donna e proseguendo alle scelte di orientamento sessuale, alle diversità di culture, etnie, religioni ecc. , le prevaricazioni e la violenza devono essere elaborate e affrontate senza atteggiamenti political correct e neanche rimosse, per arrivare quindi a scelte sempre più assertive e costruttive, senza illudersi ovviamente di porre fine ai conflitti.

Sono convinto che non stiamo parlando di utopie buoniste, ma di cose che stanno già avvenendo da parecchio tempo e che ci sono i presupposti per una forte accelerazione.
Certo c’è il rischio di nuove drammatiche involuzioni ( anche queste stanno avvenendo ), ma a noi compete una scelta di campo ed il compito di affrontare le nostre paure invece di rassegnarsi al concetto che: tanto il male c’è . . . che nasce dove nasce il bene . . . che l’ordine patriarcale è perfettamente connaturato all’uomo e alla donna . . .

Un punto nevralgico è proprio l’assenza dei Padri (R. Bly; G. Cavallari; H. Petri; C. Risè; L. Zoja).
Padre come donatore di affetto, indicatore di valori e regole, presenza.
Nell’arco di questi ultimi secoli troppi padri hanno dovuto o scelto di cominciare a far mancare la presenza prima e quindi valori, regole e affetto (che è la componente essenziale per trasmettere indicazioni sincere e costruttive).
Riporto qui una frase di M. Zambrano che mi sembra particolarmente significativa: “la radicale fiducia con la quale guarda alla vita chi ha avuto davvero un padre è lo strato più profondo di un animo pacifico.
Le madri non riescono a coprire la mancanza dei padri sia per quel che riguarda i figli che le figlie, anche se a livelli diversi. Per i maschi le conseguenze sono legate al distacco dalla simbiosi materna, complicato dal fatto che l’individuazione deve portare ad identità di genere di cui sono carenti simbolo e modello principali.
Non sto a dilungarmi su argomenti già trattati. Desidero sottolineare alcune cose che ritengo particolarmente importanti. Sono padre di due figli, uno biologico, l’altra acquisita. Ciò che ritengo sia stato fondamentale per la loro crescita è la presenza affettiva fin dall’inizio. “Comparire sulla scena” successivamente credo diminuisca le possibilità di un sano e completo distacco dalla dipendenza materna. Certo è necessario fare attenzione a non tentare il colpo di mano di instaurare una dipendenza paterna. E’ qui che vengono fuori i mammi o i padri pseudo amici dei figli.
Che ne sarà dei Padri senza il patriarcato? E degli Uomini?
I Padri restano. Gli Uomini anche.
Ci saranno, ci sono e ci sono sempre stati tanti uomini coscienti delle proprie qualità e dei propri limiti, che non hanno paure fobiche proprio perché conoscono la fragilità (e non devono mettere in scena personaggi tra il grottesco e il patetico), che vivono relazioni ed affetti, che sono disposti ad affrontare la sofferenza e capaci di “ricominciare” , che sanno dare direzioni se necessario.
Questi non sono uomini speciali. Vivono la loro vita di tutti i giorni, giorno dopo giorno. Se hanno del potere lo gestiscono perché è un servizio che hanno scelto e che sono stati chiamati a dare.
Sono uomini che vivono le loro qualità personali e di genere perché sanno di avercele visto che si sono guardati dentro. Sono eroi qualunque che non hanno bisogno di un dio che li abbia predestinati a un qualcosa di speciale, o di una donna che abbia per forza bisogno di essere protetta.
Sto parlando di cose di tutti i giorni, niente di speciale, non di santi che uccidono draghi o di epiche battaglie contro nemici o contro se stessi.
Riguardo ad aborto, procreazione assistita, ricerca scientifica, nessuno mette in discussione la vita come valore primario, ma mi pare che la pretesa di regolamentare tramite leggi situazioni così drammatiche e delicate per i singoli negando loro la possibilità di agire secondo coscienza (che non è omologabile ), sia piuttosto inquietante.
Pur senza “delegare a lei”, senza scappare di fronte al conflitto, ponendosi anche come difensore del più debole (anche se spesso è l’uomo che preme per decisioni estreme) non credo che si possa prescindere dal lasciare la decisione finale a chi il corpo ce l’ha coinvolto in prima persona.
Quanto alla procreazione artificiale ed alla scissione fra procreazione e sessualità piaccia o no sono tecniche acquisite. Credo possano essere di stimolo a scelte di vita più consapevoli e a riflessioni profonde sul significato di decisioni che riguardano la progettualità famigliare. Impedire un possibile ricorso a queste tecnologie non fa crescere l’essere umano.
Questi sono argomenti che richiedono trattazione molto più approfondita e se guardiamo bene non è qui che l’uomo si gioca l’identità, se partiamo dal presupposto che per l’uomo la paternità inizia nel momento in cui “decide”di adottare il proprio figlio e se non si parte da certe paure o da situazioni di forte competizione con la compagna.

Altro punto essenziale riguarda la prevaricazione e la violenza. Non mi pare che si possa continuare con la rassegnazione dell’inevitabilità. Né che si possa colludere con le guerre fatte a fin di bene, accettando supinamente gli effetti collaterali e così via con tutta una serie di frottole che offendono la nostra dignità di uomini.
Anche qui non si tratta di buonismo, ma di affrontare le cose senza tante ipocrisie e, se preferite, con maschia determinazione. Qui ci vuole proprio, se è vero che come dice C. Risè, diventare uomini significa imparare ad amministrare la propria violenza
La rinuncia alla violenza ed alla prevaricazione con la giusta fermezza di chi queste cose le ha affrontate e conosciute dentro di sé, la ricerca tenace di soluzioni assertive costituiscono un campo su cui credo la nostra maschia belligeranza possa confrontarsi con ottimi risultati.
Non si tratta di creare schiere di soft – males con la violenza rimossa nell’inconscio pronte ad esplodere con isterica distruttività. Bensì di lavorare molto sull’aggressività e sulla sua espressione creativa.
Se ci limitiamo a miti che riguardano l’eroe, il conflitto ed il potere continueremo a dipingere nevroticamente lo stesso scenario credendo che quella sia l’unica realtà possibile.
Ma se ricerchiamo la parità tra i sessi, se andiamo a vedere le radici fobiche della violenza, se andiamo a scoprire i significati che diamo al potere, se mettiamo in luce il ruolo dell’egocentrismo e l’annesso delirio di onnipotenza, possiamo partendo dalla consapevolezza del passato, operare cambiamenti significativi del nostro modo di essere mettendo semplicemente in luce cose che abbiamo già dentro.
Questo darebbe un senso attuale al simbolico gesto di innalzare il figlio al cielo.

Roberto Poggi – Cerchio degli Uomini

[08 agosto 2005]