Il Selvatico e la globalizzazione - 2
Cari amici,
grazie per aver risposto, ognuno a suo modo, ma con il cuore a questa mia mail, che in effetti sperava appunto di ricevere risposte così intense.
Il mio desiderio era non tanto di prendere posizione per una parte o per l'altra, non penso sia questo il nostro scopo e l'obiettivo comune, ma di capire, di verificare se esistesse una posizione del "selvatico" oltre agli schieramenti tradizionali. Personalmente preferirei che ognuno si tenesse la sua idea sui vari Don Gallo o Agnoletto o Berlusconi o altri e che non fossero neanche menzionati nei nostri discorsi, perché altrimenti le argomentazioni diventano sterili e portano zizzania. A meno che questo si voglia.
Ho apprezzato la mail di Paolo Ferliga, mi è sembrata aperta, anche alla speranza di trovare una via di uscita, almeno di ricercarla. Il cammino individuale, l'impegno individuale o di piccoli gruppi. Io non ho mai inteso di buttarci nella bagarre di Genova come gruppo dei Selvatici, anche perché tra noi non esisteva, come non esiste, un'ideologia comune da abbracciare e rivendicare al mondo. Intendo e mi piacerebbe portare avanti invece il confronto che si sta sviluppando. Intendo capire questo malessere che comunque ha coinvolto, ridendo e scherzando, direttamente almeno un milione di persone su Genova e Liguria e molte di più indirettamente.
Intendo dire che anch'io provo pena per il punkabbestia ammazzato e per il povero disgraziato militare di leva ventenne, sottoposto ad un cimento troppo enormemente gravoso per lui. E capisco il suo terrore e l'ingenuità di non sparare in aria o alle gambe. Mandato al macello.
Ma non voglio pensare solo, come dice Guido V., meglio non parlarne, era uno “già morto”, mi piacerebbe che il giovane Paolo M. fosse meno sicuro dei suoi giudizi su i Don Gallo e C. e che sia lui che noi, potessimo sentirci "orgogliosi" per qualcosa che abbiamo fatto, piuttosto che per qualcosa che abbiamo scelto di non fare. L'orgoglio, per me, è nella “creazione”.
Le domande di Eugenio sono profonde e anch'io non ho risposte. Non penso neanch'io ad azioni, perché comunque azioni comuni non possono essere fatte, quando il discorso diventa "politico". Allora la domanda potrebbe diventare questa: esiste un terreno comune del Selvatico apartitico e non schierato o no? Questo è stato forse il primo cimento vero e ha comportato anche tra di noi grosse lacerazioni, anche di unità e di forza. Se a questa domanda rispondiamo negativamente (come sembrerebbe), se asserviamo e pieghiamo il "Sacro" gli "archetipi" e i "miti" a
convenienze partitiche o politiche (nel senso deteriore), siamo persi, inutili, sfibrati.
Diventiamo sterili come i giornali, che titolano in prima pagina o ASSASSINIO DI UN GIOVANE, o E' STATA LEGITTIMA DIFESA, ognuno portatore di un messaggio di odio e sterilità. Ho apprezzato l' analisi di M. Tarchi, Globalizzazioni e ipocrisie, girataci da Claudio: contiene molte verità. Laddove Tarchi rileva che gli antiglobalizzatori "non capiscono che la pretesa eguaglianza è incompatibile con la difesa delle specificità dei popoli e delle loro culture, né che il "mondo senza frontiere" che reclamano è proprio quello che serve alle multinazionali per spadroneggiare ad ogni latitudine", io mi chiedo se non esiste un modo nuovo e diverso per difendere la propria identità, senza chiudersi in una difesa del proprio territorio a mio avviso perdente.
*L'identità. Anche questo concetto è oggigiorno ambiguo. Nel prossimo futuro, i flussi migratori saranno inarrestabili, come sono stati dacché l'uomo esiste. Quante identità umane sono cambiate nel frattempo e quante né cambieranno? Non intendo dire con questo che il radicamento al territorio o alle proprie tradizioni, non sia importantissimo, solo che, se tanto mi dà tanto, sarà una difesa perdente (non per pessimismo, ma se potessimo rappresentare su piano ortografico la velocità dell'abbandono delle vecchie tradizioni, ne risulterebbe probabilmente una curva in impennata). Dovremo probabilmente rivedere i parametri del concetto di "identità". Interessante anche dove Tarchi sottolinea "la necessità dei colossi economici di garantirsi pace sociale,...mantenendo invariato il divario di ricchezza e consumi nei Paesi del terzo mondo, la cui povertà è condizione necessaria per garantirsi mano d'opera a basso costo”. Drammaticamente vero.
Allora Genova, il morto, i 200 feriti, lo show di otto arroganti, l'angoscia di essere prede di avvoltoi economici e la domanda, per me finale: ma i giovani, come cazzo fanno a credere in un futuro migliore, come cazzo si possono muovere per tentare, dico tentare, di fare qualcosa, come fanno ad avere una speranza di un futuro di partecipazione? E noi, anche come MS, possiamo fare qualcosa in questo senso? Se diciamo che le manifestazioni, no, perché vengono strumentalizzate, dai vari Agnoletto and Company, come diavolo potranno dire di esistere? Me lo spieghi caro Paolo M.? Vogliamo inventare rivoluzioni incruente? In nome di che? Del bon ton?
La forza dei giovani è sempre stata un'ingenua ma genuina voglia di esserci, di combattere, di credere utopisticamente in qualcosa, anche di cadere e perdersi come è stato per tanti 68ini. Ma che gli diciamo: ascoltate noi, abbiamo 40, 50, 60 anni e conosciamo le vicende. Potremo intervenire, consigliare, ma se ci ascoltassero troppo, sarebbero già tristemente invecchiati.
Giancarlo Viganò
Anche gli antiglobal globalizzano: intendono globalizzare costumi e idee occidentali "progressisti". E' nei fatti il progetto dei radicalscic con buona pace dei proletari delle nike e dei cristiani alla "prima il pane e la salute e semmai dopo le sciocchezze della Fede". Scusatemi ma ve la sentireste di globalizzare il modello maschile o femminile di un nostro/a sindacalista? O di una nostra insegnante di religione? o di uno psicologo/a progressista da USL? O di un "rivoluzionario" dei centri sociali? O di una donna moderna che monetizza tutto figa-oppressa compresa? O di un prete vergognoso del Padre perché “Dio non ha sesso”? Fareste il regalo delle nostre sentenze di cass(tr)azione in merito al diritto di famiglia o delle prossime leggi europee sulla vostra "innocenza da dimostrare" a seimiliardi di persone? Non siamo forse tutti globalizzati e rappresentati da questi modelli occidentali di "umanità liberata"? Non siamo tutti in attesa di questo felice futuro alla 1984? E dovremmo anche farne una massiccia esportazione al seguito dei nostri aiuti, secondo la formula sperimentata del ricatto già messa in atto sul sangue altrui dal medico di emergency che ha ritirato (con buona pace di Ippocrate e del suo giuramento) il suo ospedale lasciando feriti e moribondi sulla strada perché i mujaiddin non la pensavano come lui in merito alle loro donne? Se fossi mussulmano mi terrei la fame se per liberarmene dovessi perdere la mia anima e sostituirla con le anime di costoro. E per fortuna che in numero sempre maggiore lo fanno mandandoci affanculo!
Siamo sicuri che qualcuno di questi terzomondiali desidererebbe davvero mettersi nella nostra anima? Ma se noi stessi non sappiamo più che cazzo farcene e come liberarcene? Siamo sicuri che questi "santissimi buonissimi" che si interessano del terzo modo abbiano perso il vizio di "rieducare il prossimo" in cambio di qualche pagnotta rancida, numerosi calci in culo, qualche soggiorno in campetti fuori mano e ben recintati e la certa rovina? "Che ve ne fate del mondo se avete perso l'anima?". Come possiamo aiutare il mondo noi che l'abbiamo persa? Noi con le nostre aziende farmaceutiche che fatturano decine di migliaia di miliardi in psicofarmaci, ormai il vero pane della nostra tavola. E siamo sicuri che come già fu per il ‘68, levatrice della Italia industriale avanzata e senza più anima, i "santi straccioni" anti-G8 non facciano lo stesso su scala globale?
E io che volevo organizzare un incontro con la comunità mussulmana di Brescia per mettermi in ascolto della loro anima che non ha ancora perso una concezione vivibile e dignitosa del femminile e del maschile nonché dell'umano! Come Maschioselvatico devo invece spedirli a lezione di civiltà da Franca Rame? O da Don Gallo? O da Bertinotti? Con una bella pasticca di Prozac offerta come gran finale (e sicuro inizio)?
Un abbraccio,
Cesare
Vi dico come, secondo me, andrà a finire: La società Grande Madre riuscirà ad emarginare le frange più estreme e nichiliste del movimento (o comunque le lascerà sopravvivere come fenomeno endemico) ed ingurgiterà nel suo grande ventre tutto il resto. Non c'è molto di nuovo in questo. La differenza rispetto ad anni addietro è che anche il movimento si è globalizzato e si è data una struttura atta ad essere messa in risalto dai media. In questo è molto moderno. L'altra differenza, come ricorda Paolo F. è che non c'è un'ideologia unificante. Ma questo è un'aggravante, perché aggrava equivoci e confusioni.
Il ‘68 sembrò scuotere alle fondamenta l'occidente ed i suoi assetti di potere, ma il risultato è stata una nuova spinta di ammodernamento ed aggiornamento del capitalismo finanziario, e nei sistemi di produzione, e negli usi e costumi, per adeguarli ai tempi e sfruttarli come nuova occasione di consumo. Oggi si vendono nei grandi magazzini le magliette con l'effige di Che Guevara, sulla minigonna si sono costruiti imperi economici, le multinazionali del suono hanno fatto miliardi coi dischi dei cantori della rivoluzione (ed anche i cantori stessi), e questi sono solo gli aspetti più superficiali della capacità del capitale di "ingurgitare", digerire e trasformare tutto ciò che apparentemente gli si rivolta contro. Le istanze di "libertà", per i diritti civili, etc. etc. hanno trasformato il costume, ma soprattutto allargato il mercato senza cambiare in niente la struttura fondamentale di questa società. Anche l'attuale mi sembra in realtà una lotta che vede come comparse e manovalanza i giovani che scendono in piazza, ma dove il vero scontro è fra il capitale "moderno" e lungimirante, e quello un po' vecchio e ammuffito. Durante l'autunno caldo del ‘68 l'allora ministro del lavoro Carlo Donat Cattin (sinistra DC) vedeva con chiarezza quale fosse la vera partita, e si schierava apertamente dalla parte dei sindacati contro i vecchi "padroni delle ferriere".
E dunque 1) Il reddito verrà in qualche modo redistribuito, quando i padroni del mondo si renderanno conto (ma già lo stanno facendo) che così rischiano un po' troppo. 2) Un sempre maggior numero di paesi sarà incluso nel processo di globalizzazione 3) La "democrazia" occidentale si estenderà a tutto il mondo, insieme coi diritti umani etc etc e finalmente il mondo sarà universalizzato. 4) Si farà alla fine anche il governo mondiale, prima dell'economia, naturalmente, poi anche della politica.
Basta attendere. Quanto? Quanto basta perché sia chiaro che tutto questo è funzionale ai supremi interessi del capitale finanziario. I morti ammazzati e le rivolte nichiliste servono a dare una spinta a questa consapevolezza. Allora, finalmente, avremo un mondo tutto occidentalizzato al modo moderno della G.M. dei bisogni e dei consumi, ove tutto, ma proprio tutto, sarà merce, e i "diritti umani" finalmente rispettati.
La grande contraddizione del movimento antiglobalizzazione (e non parlo di coloro ai quali basterebbe un qualche palliativo, ma che in sostanza la accettano coscientemente) sta proprio nel fatto che non vogliono accettare che "democrazia", "universalizzazione dei diritti umani", "libertà di ricerca scientifica" etc, declinate al modo occidentale, sono un portato del "mercato", come coerentemente sostengono i radicali. Strano per chi, seppure ormai confusamente, si richiama a Marx che queste cose le aveva viste con chiarezza. Ci si illude forse, con eccesso di politicismo, di riuscire a rovesciare a proprio vantaggio il processo. Strano anche che, dopo tanto tempo, neanche l'universalismo cattolico abbia preso atto della realtà. Ci si illude forse che in un mondo omologato ed uguale la dottrina cristiana possa essere diffusa più facilmente.
E allora? Intanto è necessario sgombrare il campo da un equivoco. Io non conosco i Black Block, ma da quello che leggo somigliano per certi aspetti a coloro che trent'anni fa facevano gli espropri proletari ed uscivano dai negozi saccheggiati pieni di Lacoste o bottiglie di wiskey, in nome del rifiuto dei sacrifici e del diritto a godere tutti dei beni che la società opulenta produceva. Costoro in realtà ponevano una disperata richiesta di "inclusione", mascherata da parole d'ordine apparentemente rivoluzionarie.
E dunque per queste strade non arriveremo a niente. Antiglobal è davvero chi è intimamente, profondamente, estraneo a questa modernità. E' la verticalità maschile, disossata rispetto al bisogno ed al consumo che lo soddisfa, non asceticamente contraria al benessere, che sa anzi apprezzare, ma di cui può fare a meno. La verticalità maschile che centra se stessa sul dovere (come dice Paolo M.) prima che sul diritto, che cerca in se stessa e non nelle merci la propria identità. Allora l'errante sarà imprendibile dal potere. E' una rivoluzione interiore ciò che serve per prima cosa, come sostiene Cesare, che ha come corollario anche la ricerca di un modello sociale adeguato. Compito difficilissimo, forse non per tutti, ma i maschi, dice Claudio, combattono battaglie disperate.
Armando Ermini
Caro Giancarlo,
qui nessuno intende seminare zizzania. Esprimere dei giudizi sì, però: la libertà è fatta di scelte e abbiamo sempre detto che compito del maschile è "separare, discriminare". Non è vero che il mondo è una marmellata (come canta Manu Chao), che tutto è uguale a tutto. E se devo formarmi un giudizio su un movimento che è anche un movimento mediatico non posso prescindere dalle figure dei suoi leader televisivi. Per quanto riguarda i don Gallo già in passato ho espresso la mia opinione sui preti che fanno gli "assistenti sociali" anziché i sacerdoti (coloro che danno il sacro). Su questo punto mi sento molto vicino a quanto ha scritto Cesare nella sua ultima mail.
Giancarlo, invece, protesta: “Ma non voglio pensare solo, come dice Guido V. "meglio non parlarne, era uno già morto", mi piacerebbe inoltre che il giovane Paolo M. fosse meno sicuro dei suoi giudizi su i Don Gallo e C. e che sia lui che noi, potessimo sentirci "orgogliosi" per qualcosa che abbiamo fatto, piuttosto che per qualcosa che abbiamo scelto di non fare. L'orgoglio, per me, è nella "creazione".
Caro Giancarlo, "orgoglio" forse non è la parola giusta, ma io ne ho pieni i coglioni di sentirmi dire che chi va a Genova è la coscienza critica del nostro tempo, e gli altri sono menefreghisti! Non è vero! Inoltre l'orgoglio deriva dal fatto che me ne sono stato a casa proprio perché sono convinto che a Genova non si potesse "creare" veramente nulla di nuovo.
Ancora Giancarlo: “Se diciamo che le manifestazioni, no, perché vengono strumentalizzate, dai vari Agnoletto and Company, come diavolo potranno dire di esistere? Me lo spieghi caro Paolo M.?“
Caro Giancarlo, non credo che "esistere" sia infilarsi dentro nella massa informe. Il Selvatico non ci dice questo, mi pare. Comunque io non giudico negativamente la "partecipazione" in sé. Né tantomeno l'idealismo o la "spinta utopistica" dei giovani. Col cavolo! Anch'io ce le ho queste cose e non occorre essere andati a Genova per affermarle. Anche il libro di Di Marino recensito sul sito, racconta l'importanza dell'Utopia. Quello che non mi piace è un movimento vecchio e stravecchio, con ideali e simboli vecchi e stravecchi. Un movimento che mi sembra profondamente nichilistico, come nichilista è la modernità, che questi qui vogliono accelerare ed estendere al mondo intero.
Altro che rallentare la globalizzazione di un anno, caro Renato, questi la accelerano.
Ciao, Paolo Marcon
Contravvengo alla proposta di Giancarlo di lasciar fuori i nomi e le valutazioni sulle persone, in questo dibattito sollecitato. I nomi e le persone sono parte integrante della questione. Se un corteo di duecentomila persone, che si proponeva, tra l'altro (Casarini) di "portare la guerra a Genova", non viene dotato dagli organizzatori di un servizio d'ordine di almeno due/tremila persone, armato di spranghe, e addestrato ad usarle contro i "suoi", i suoi promotori sono dei poveri irresponsabili, o in perfetta malafede, o, come in questo caso, entrambe le cose. Non é che non si abbia esperienza di cortei, in Italia. Quando si fa politica bisogna, innanzitutto sapere chi si mette a rischio, e fino a quando.
Essere uomini é difficile: però é il nostro obiettivo. Per questo non si può essere indulgenti, o complici, verso chi gioca vanitosamente, irresponsabilmente questa identità maschile, ancora potente, di cui siamo portatori, e manda a morire dei ragazzi, distrugge città, lavoro duramente accumulato da altri uomini, che nessuno difende. Non certo il potere ricattato, impegnato fin dal primo giorno a a contrattare con i vanesi, che, come ha osservato Sergio Romano sul Corriere della Sera, hanno di sicuro dato un potente colpo in avanti alla globalizzazione, spingendo gli
"8 nani", come li chiama Feltri, altro nome che faccio volentieri, a fare un altro, grosso passo verso quel "governo mondiale", che spero Dio non voglia, e che sarebbe la fine di ogni libertà, ed autenticità di vita.
Claudio Risé
Paolo M. ha detto cose sacrosante. Aggiungo qualche particolare, che non ho trovato su nessun giornale. Luca Casarini, che oggi se la tira da "paladino dei deboli e degli oppressi", era in prima fila, durante il processo ai Serenissimi, tra coloro che "contestavano i contestatori": egli apparteneva dunque alla schiera di quanti auspicavano pene durissime, il massimo della pena, per gli Otto di S. Marco. Il punto, qui, non è se questi ultimi abbiano interpretato sentimenti buoni o cattivi: sono stati protagonisti di una guasconata, e - ammesso e non concesso che meritassero una condanna - non dovevano subire più che una tiratina di orecchi. Casarini chiedeva la forca.
Spesso si tende a dimenticare questi fatti, ma io credo che, al di là di tutto, non si possa non osservare che il GSF è in mano a cinici opportunisti, privi di riferimenti morali e molto più responsabili di quanto si creda dei fatti di Genova.
Ciao, Carlo Stagnaro
Il dibattito su Genova mi sembra stia aprendo un confronto tra noi importante. Molto bello l'intervento di Marco Tarchi che ci costringe a misurarci con un livello di analisi molto alto e profondo. La mia preoccupazione più immediata rispetto ai giovani ed al tema dell'iniziazione è individuare all'interno di un mondo che spinge verso la globalizzazione e l'azzeramento delle identità, degli spazi di lavoro e di speranza. Da questo punto di vista una prospettiva che cerca di considerare la storia umana, non più dal punto di vista del progresso (contro cui non finiremo mai di combattere), ma dal punto di vista della natura e di un tempo scandito in ere geologiche (Jünger) mi sembra un terreno da battere.
Sarà perché, per mia fortuna, tutte le mattine posso guardare il ghiacciaio della Presanella: sento che lì c'è una forza ed un'energia stabile, solida, ferma. Anche se il ghiacciaio si è ritirato in modo impressionante negli ultimi anni, le montagne restano e continuano ad emanare un'energia che per me ha un effetto magnetico.
Ciao a tutti, Paolo Ferliga
P. S.: Condivido l'idea che il movimento anti G8 non ha saputo assolutamente confrontarsi col tema della violenza. Il punto centrale è che non si può far finta che non ci sia! A Roma tanti anni fa, in una manifestazione contro Francisco Franco, il movimento si salvò dalle provocazioni degli autonomi che cercavamo di attirare la polizia su tutti noi, con un servizio d'ordine che a suon di spranghe ridusse a più miti consigli i succitati autonomi. Il tutto dopo un accordo con la polizia.
Paolo Ferliga
Caro Paolo F.,
hai messo come soggetto "globalizzazione", ma non hai forse notato che il ritiro del tuo ghiacciaio è frutto di un effetto globale, il riscaldamento dell'atmosfera da effetto serra, certificato da scienziati Onu, il cui rapporto è arrivato sulla scrivania di George Bush, e nonostante il quale il governo degli Stati uniti, maggiori emettitori di gas serra, sempre secondo gli studi di tutti gli esperti del pianeta, non intende ridurre il proprio consumo di idrocarburi. Questo perché, parole di Bush, il sistema di vita americano, ovvero il modo di produzione occidentale, che richiede molta energia, è quello che i G7 (+ 1, la Russia, che non conta ancora molto, = G8) vogliono, appunto globalizzare, non può essere disturbato. Anche a costo di radicalizzare lo scontro di piazza e fare i morti.
Statevi allegri, Paolo d.Z.
Alle domande di Giancarlo (che in parte echeggiano anche quelle di Paolo), provo a dare tentativi di risposte.
Chiede Giancarlo: “Allora la domanda potrebbe diventare questa : esiste un terreno comune del Selvatico apartitico e non schierato o no?”
*Il Selvatico, in quanto dimensione Archetipica, non ha di certo - credo - in tasca tessere di partito. Poi ognuno, se lo desidera, prende la sua, non in quanto selvatico, ma in quanto liberista, socialista, o quant'altro. Alcuni Selvatici di grande spessore, Gesù per esempio, hanno insistito tra
la separazione degli investimenti temporali e mondani (Date a Cesare…), e il sacro, ambito in cui si gioca il suo messaggio e la salvezza da lui proposta (date a Dio...).
Tutti i Selvatici, in genere, sembrano considerare le ricchezze e i denari una tremenda prova e una fregatura per chi ce li ha: abbiamo visto insieme il film della Cavani su Francesco dove liberarsi dai beni non é fatto per darli ai poveri, ma proprio per disfarsene. Credo proprio che il tema della redistribuzione delle ricchezze, istanza forse giusta, non riguardi il selvatico, se non, come diceva Massimo, per i limiti che la povertà pone all'esercizio delle funzioni di padre/marito. Ma lì la soluzione sta piuttosto - come ha osservato Guido - nel dribblare l'industria e lasciarla alla sua maledizione, piuttosto che pretendere, un po' infantilmente, che sia altro da ciò che é.
Sempre Giancarlo osserva: “L' identità. Anche questo concetto è oggigiorno ambiguo. Nel prossimo futuro, i flussi migratori saranno inarrestabili, come sono stati dacché l'uomo esiste”.
*Ma se lo sono sempre stati, allora che si migri non é una gran novità, né una sfida nuova per l’ identità, che ha sempre avuto a che farci.
Insiste Giancarlo: “ Quante identità umane sono cambiate nel frattempo e quante ne cambieranno?”.
*Infinite. Ma intanto il Selvatico ti fa amare la tua, e rispettare quella degli altri, con la sua precisa relazione col suo territorio, senza spazzarla via, perché in realtà ti fa comodo che vengano qui a basso prezzo.
Infine Giancarlo si chiede: “ma i giovani, come cazzo fanno a credere in un futuro migliore, come cazzo si possono muovere per tentare, dico tentare, di fare qualcosa, come fanno ad avere una speranza di un futuro di partecipazione? E noi, anche come MS, possiamo fare qualcosa in questo senso?”
*Cari amici, il futuro comincia nel presente. Ma il presente, per il Selvatico, comincia soltanto quando la smetti di cercare di strappare il timone del Titanic dalle mani del manovratore. Quando la smetti di voler essere un vincitore ufficiale, e accetti di essere, ufficialmente, un proscritto. E passi non a Genova, ma al bosco, come il ribelle di Jünger. Questo, ai giovani che stanno dalle parti del nostro movimento, sembra essere molto più chiaro che ai vecchi. I quali non sempre - però - apprezzano.
Claudio Risé
Claudio ha indicato un Territorio a noi tutti. Aver visto questo Territorio e appartenervi contraddistingue i maschi selvatici, non le viste personali da cui si guarda al Territorio. La politica è una di queste, ma non è il Territorio. Il Territorio è prepolitico e prerazionale: è la passione istintuale e vitale maschile, il Sacro, che fonda razionalità e politica. Per questo non ha senso dividersi su questi due piani. Al contrario si tratta di unirsi sull'unico che conta: il primo. Fatto di emozioni, di passione, di istinto, di rispetto, di solidarietà ed amore: la potente energia maschile che il mondo chiede per salvarsi e che solo insieme possiamo tornare a donare. Sarebbe il colmo che per un piatto di lenticchie (le quattro balle di una sinistra o di una destra che non sono ancora arrivate al doveroso momento di vergognarsi di sé) perdessimo la primogenitura di un Territorio senza confini e coincidente con la libertà e la gioia.
Un abbraccio, Cesare
Tre cose molto diverse ma con un filo rosso che le accomuna.
1) Oggi ho voluto vedere e risalire il corteo GSF a Firenze. Mi è presa una grande tristezza. Sembrava di essere 30 anni orsono. Stessi slogan: Assassini, assassini; pagherete caro, pagherete tutto. Striscioni dal contenuto simile. La differenza più grande era nel gran numero di ragazze presenti. Nessuna riflessione sul fatto che l'assassinato poteva tranquillamente essere l'assassino e viceversa. Il ragazzo morto non era un black eppure partecipava all'assalto della camionetta. E se avesse sfondato il vetro? E se i carabinieri fossero stati sprangati e linciati? Eppure gli assassini sono sempre gli altri. Non c'entrano nulla qui le motivazioni giuste o sbagliate dei manifestanti. C'entra il modo di vivere la politica ed anche lo scontro fisico. Provo dolore per la morte del giovane (come l'avrei provata se il morto fosse stato il carabiniere coetaneo), ma quando si sceglie lo scontro fisico si deve mettere in conto la reazione dell'avversario, ed anche il rischio di morire o di uccidere. Uomini consapevoli piangono la loro vittima in silenzio, senza bisogno di demonizzare l'avversario, e soprattutto senza pretendere che questi se ne stia buono buono senza reagire, oppure scelgono di non andare. Chi è stato in un corteo con scontri non può non sapere che lo sparo del giovane carabiniere era, in quelle condizioni, inevitabile. E mente se sostiene che lui non avrebbe sparato. Allora o si è in malafede (i capi forse lo sono), o è un comportamento da "bambini capricciosi" che pretendono di barare al giuoco, e non accettano le conseguenze delle proprie azioni. Un modo di "ragionare" e di "sentire" per niente maschile, tipico invece dell' ombra femminile. Da figli di un mondo matrizzato, senza padre.
2) Notizia fresca del TG2; "Stanno arrivando dall'estero le MAMME dei manifestanti stranieri ancora presenti a Genova, preoccupate per i loro figli". Capito? Una MAMMA non si nega a nessuno, neanche agli indomiti guerrieri, che mettono una città a ferro e fuoco ma poi sono presi per un orecchio da mammina, quei discoli, e riportati a casa dopo lo sfogo. Sembra una notizia da nulla, ma secondo me è illuminante più di tante disquisizioni sociologiche Il maschio matrizzato sfoga l' aggressività repressa e torna sotto le accoglienti gonne materne. Fino alla prossima volta. Intanto dei padri, non per caso, nulla si sa.
3) Agnoletto è stato sollevato dall'incarico di consulente sulle droghe che espletava per conto del ministero diretto da Maroni ed il fatto ha suscitato scandalo e riprovazione. Questa fa il paio con la 1). Si dice di essere "ferocemente contro", ma si pretende di essere foraggiati dal nemico. In realtà si vuole essere inclusi. Il selvatico, l'uomo maschio, passa al bosco ed accetta la solitudine che ciò comporta, accetta di pagare il prezzo dell'essere contro, se è veramente contro. Così non si va da nessuna parte, anzi si va dalla parte del potere.
Armando Ermini
Caro Cesare,
condivido pienamente quanto dici. I problemi credo però nascano nel momento in cui cerchiamo di tradurre appunto ciò che il Sacro fonda in razionalità e politica. E' ancora la vecchia discussione che ci ha appassionato da giovani sul rapporto fede politica? E' lì che poi ci si divide. Il problema è forse quello dei confini del Territorio: il Sacro non ne ha e forse per questo possiamo dividerci in politica pur appartenendo allo stesso territorio, quello del Selvatico. Un abbraccio, Paolo Ferliga
Forse possiamo continuare sul nostro discorso del Selvatico, che appunto essendo per noi Sacro, è anche molto diverso per ciascuno, ma soltanto ad una condizione: che impariamo a rispettare il Sacro altrui, senza voler imporre il nostro. Cosa assolutamente molto ardua e da eletti. Proprio così, da eletti. Almeno così io la vedo.
Giancarlo Viganò
Cari amici,
ho letto tutte le vostre argomentazioni. Sono tutte in gran parte condivisibili e molto interessanti, tuttavia ancora mi preme di dire qualche parola sull'argomento che tanto mi ha travolto sul piano personale.
Capisco anche che il passaggio al bosco possa portare a ritenere trascurabile chi governa un paese, ma io continuo inesorabilmente a credere che, comunque, è meglio un governo dove il capo non detiene tutti i mezzi di informazione. E comunque, bosco o non bosco, a me la democrazia interessa ancora. Ancorche' imperfetta...a meno che qualcuno conosca una alternativa intelligente e praticabile.
Ciò detto vengo volentieri nel bosco con voi, con la segreta speranza (anzi convinzione! anche perché in caso contrario vi saluterò caramente!) che non finiamo per trovarci in un giardino della villa di Berlusconi, o di D’Alema, o di Bertinotti o di Fini, ecc.
Guido Moretti
Sapete che mi ritrovo nella dimensione selvatica del deserto, dove la Natura si presenta nella sua essenzialità. Del resto nel deserto il maschile è fiorito in modo possente e straordinario: da Abramo a S. Giovanni il Battista a Cristo a S. Francesco a S. Giovanni della Croce.
Davvero il territorio delle profondità, delle estensioni e delle altezze interiori e della natura dove nel silenzio si fa esperienza della sacralità propria e altrui è il nostro luogo, è il nostro territorio. E in questo luogo, è verissimo: ricchezza e potere non hanno senso, non hanno valore. E nemmeno la Storia.
E' da questo luogo che si percepisce il fluire della vita come acqua di sorgente, sorgente dal cuore, inesauribile. E questo fluire coincide con contentezza e gioia e gratitudine: di questo hanno disperatamente bisogno tutti. Vivere è ed è stato per molte civiltà, popoli ed individui, senza alcuna ricchezza e potenza tecnologica una cosa bella: sapevano e sanno far fluire nel proprio cuore la vita. Era ed è l'unica cosa che sanno ed hanno. E' questa conoscenza semplicissima e alla portata di tutti, questa sì davvero democratica e ugualitaria, che vorrei donare a mio figlio e a tutti i giovani se fosse possibile. E se vogliono andare in piazza ci vadano, ma io quello che conta e dove si trova e come, non posso tacerglielo.
E' questo che abbiamo perso da ricchi e da potenti. E abbiamo perso tutto. Credo che nelle piazze ci si scontra, ci si pesta e ci si ammazza, senza nemmeno aver più conoscenza di questo e nemmeno essere capaci di desiderarlo! E pensiamo di correre in aiuto ai poveri del mondo fra i quali magari diciamo che i migliori, a cui appoggiare i nostri miliardi di aiuti, sono quelli che ambiscono ad essere come noi! Affinché i tutti diventino come noi. Follia delle follie, paradosso dei paradossi. L'Occidente ha costruito il parametro della felicità nel possesso delle cose, e nel far diventare cosa l'uomo e il suo spirito. L' Occidente è il mondo della reificazione, il mondo dell'Esso e non del Tu, dice Martin Buber nel bellissimo libro "L'IO e il Tu". L'inferno dell'Occidente, il grande corruttore dell'anima dei popoli e delle persone, dove le cose sono dei e la tua anima una cosa. E che nessuno nel profondo ha a cuore e vuol difendere. Grazie a Dio, Padre onnipotente!
A Paolo: laghi e fiumi a valle della sorgente se sanno di appartenere ad essa si possono sentire diversi ma mai estranei e conoscono l'unità profonda che li costituisce e "la strada del ritorno";
A Guido, l'energia vitale profonda è a mio avviso all'origine di tutte le attività e attitudini umane così anche della politica e della attività razionale;quando queste se ne distanziano diventano idoli che distruggono la sorgente che li ha creati; il 900 insegna;
A Giancarlo: hai ragione a sostenere l'ampiezza e la varietà del Territorio perché importa la sorgente e non la roccia da dove sgorga.
Un abbraccio, in amicizia. Cesare