L'uomo sul Titanic

Uomini e naufragi: prima le donne, o prima noi?

(dalla lista di discussione dei Maschi Selvatici )

Qualche considerazione sul film Titanic. Si vuole impedire ai passeggeri di terza classe di salire sulle scialuppe? E' una decisione immorale e classista: è nobile rivoltarsi contro questa ingiustizia. Si vuole impedire ai passeggeri maschi di salire sulle scialuppe? E' cosa buona e giusta. E' dunque vile se un maschio si ribella a questo e vuole salire insieme alle donne. Infatti è il cattivo del film, il vile ed il meschino del film, che usa uno stratagemma per imbarcarsi insieme alle donne Statistiche Titanic: donne 1a classe sopravvissute 97%, donne 2a classe sopravvissute 84%, donne 3a classe sopravvissute 55%, uomini 1a classe sopravvissuti 34%, uomini 2a classe sopravvissuti 8%, uomini 3a classe sopravvissuti 12%.

Marco (Pari diritti per gli uomini)

Certo il buonismo sui passeggeri di terza classe è davvero rivoltante, ed il fatto che si impedisca agli uomini (che lo vogliono) di mettersi in salvo al posto delle donne forse è ingiusto. Ma come si sarebbe comportato il Selvatico se avesse avuto la sfiga di trovarsi sul Titanic? La domanda è lecita perché (come racconta Junger ne Il trattato del ribelle (Adelphi), e insiste Risé ne L'Ombra del potere (Red), il bosco cresce anche sulla nave... Noi diciamo che il Selvatico è libero perché non ha paura della morte, che il dono(anche quello più prezioso...) rimanda al principio fallico. Sappiamo che molti uomini hanno dato la loro vita per ideali o per salvare altre vite, anche femminili. Nel mito l'eroe lotta contro il drago grandematerno per salvare e liberare la prigioniera-principessa, che è una donna, oltre che naturalmente l'anima del maschio. Non so se sia vile il maschio che vuole salire sulla scialuppa di salvataggio ma mi sembra poco selvatico. (Comunque al regista del film non gliene frega niente della Selva dei lupi e tutto il resto,su questo sono d'accordo).

Paolo

Paolo, é vero che "il nobile é colui che mette a repentaglio la propria vita", ma per poter esercitare questa nobiltà, é necessaria la libertà di poter fare il contrario. Altrimenti sei, come al solito, uno schiavo, costretto per copione a fare il nobile cavaliere.

Claudio

Caro Paolo, anch'io ho trovato interessanti le statistiche di Marco sul Titanic. Le varianti sono due: potere e sesso. Per quanto riguarda l' appartenenza sessuale nell'uomo esiste questo modello archetipico della protezione e salvaguardia del nucleo famigliare, dell'essere più debole fisicamente , che accudisce e protegge senza badare alla propria vita. Questo è veramente "selvatico". L'uomo è, e secondo me proprio come segno peculiare del suo appartenere al maschile, il primo artefice e la prima vittima della violenza, soprattutto fisica.

Giancarlo

Dice Giancarlo: L'uomo e', e secondo me proprio come segno peculiare del suo appartenere al maschile, il primo artefice e la prima vittima della violenza, soprattutto fisica. Rimaniamo su questo pensiero (secondo me vero, come ho sempre scritto), e cerchiamo di andare ancora dentro la nostra condizione maschile, senza cercare aggirarlo, perché troppo duro. Lasciando naturalmente liberi tutti quelli che non se la sentono di stare in una maschilità più "garantita". Il lupo rimarrà sempre, anche dentro di loro.

Claudio

Condivido l'osservazione di Marco Faraci che invita a valutare problematicamente le terribili percentuali di maschi volontariamente morti sul Titanic a favore delle donne, suggerendo una domanda che, indipendentemente dalla risposta, è comunque sacrosanta: scusate, perché? Io però penso al Titanic di oggi ed alle percentuali di maschi che si sono messi in testa di portare la salvezza alle donne, e al Mondo, rinnegando il fallo. Faccio riferimento al karakiri del maschio in Occidente. Simile a quello che con il coltello tagliapane elettrico trasformato in tagliapene, ha profeticamente compiuto il protagonista del film: "Ciao maschio" per "salvare" la sua amata e che tanti ufficiali di rotta attuali raccomandano. All'epoca quel gesto terribile nel film di Ferreri fece ridere, oggi è considerata una conquista. Un tipo di "salvataggio" che molti maschi hanno concretizzato, ottenendo in cambio del membro vero, il titolo di membro ufficialmente arruolato fra l'equipaggio di quel Titanic che è l'attuale società occidentale. Non ridono più, in compenso fanno ridere, anche se della comicità tragica dei pagliacci. Scusate, perché questo sacrificio così poco cavalleresco, così doloroso, così manifestamente inutile, anzi disastroso? È sempre più evidente infatti che se ci sarà vita e se ci sarà gioia, sarà esclusivamente grazie alla salvezza dovuta al rientro in campo della potente, generosa, amorosa e sapiente energia del sesso maschile.

Cesare

Ma come si sarebbe comportato il Selvatico se avesse avuto la sfiga di trovarsi sul Titanic?La domanda è lecita perché il bosco cresce anche sulla nave... Marco ci ha voluti un po' provocare ed ha fatto bene, perchè il tema lo merita. Salvare noi stessi o le donne? "Prima le donne e i bambini" come ai vecchitempi quando eravamo sciovinisti o, d'ora in poi, prima noi? Insomma cosa dobbiamo essere: Cavalieri o Maramaldi? Intendo dire, Cavalieri di una cavalleria disprezzata ed irrisa o Neo-maramaldi senza sensi di colpa e senza vergogna? O forse Neo-Cavalieri che se ne fregano del disprezzo altrui e - finalmente - si danno il Senso da se stessi senza attenderlo dagli altri (=Altra)? Possiamo fermarci su questo tema?

Rino

Mi sembra che il neo-cavaliere abbia comunque bisogno del nemico (l'altra). Il Cavaliere disprezzato ed irriso si "basta", esiste per quel che è; non se ne importa dell'altra. Ed io vorrei essere tra di loro. Vedo - ma forse sbaglio - una cosa: Un certo mondo femminile - ma anche buona parte di quello maschile (tipici i "maschi pentiti") - continua e sa pensare le "questioni di genere" sono all'interno di una logica di potere (di uno sull'altro). Credo che il nostro discorso - che non può prescindere da una riflessione sul "potere" - lo identifichi però non nell'altro sesso ma altrove, ed abbia capito che comunque non può prescindere da una riflessione sulla propria identità - anche istintuale - profonda. Solo uno sbozzo, per ora. Ci risentiamo presto.

Eugenio

Rino chiede: dobbiamo essere: Cavalieri o Maramaldi? Intendo dire, Cavalieri di una cavalleria disprezzata ed irrisa o Neo-maramaldi senza sensi di colpa e senza vergogna? O forse Neo-Cavalieri che se ne fregano del disprezzo altrui e - finalmente si danno il Senso da se stessi senza attenderlo dagli altri (=Altra)? Eugenio ha risposto : "Mi sembra che il neo-cavaliere abbia comunque bisogno del nemico (l'altra). Il Cavaliere disprezzato ed irriso si "basta", esiste per quel che è; non se ne importa dell'altra. Ed io vorrei essere tra di loro." A me sembra importante essere arrivati a queste questioni. Poi, se uno vuole romanticamente essere "Il Cavaliere disprezzato ed irriso"; o, con maggior gusto per il polemos: " Neo-Cavalieri che se ne fregano del disprezzo altrui e - finalmente si danno il Senso da se stessi ,senza attenderlo dagli altri (=Altra)?"; o anche, con consapevole minimalismo, o senso del limite delle proprie forze e virtù:" Neo-maramaldi senza sensi di colpa e senza vergogna": va tutto bene. L'importante é sapere ciò che si fa, e dove si é. E tutte e tre queste scelte sono nei vari, diversi e ricchi territori del maschile, della sua cultura, e del suo istinto, e sentire.

Claudio

Già, come comportarsi? In dipendenza da quale scala dei valori? Prima io o prima Lei? 1- Marco Faraci ha buttato là l'ipotesi che forse sarebbe ora di pensarci *alla pari* e cioè dipensare che la ns. vita vale quanto quella dell'Altra, e molti concordano. Anch'io concordo, soprattutto perchè quella che era cavalleria, ora è, come sappiamo, "sciovinismo maschilista". Non è più un valore insomma. Al contrario. Questo pensarci alla pari, e non come vittime prioritarie, è una conquista. Ma c'è un conto che non torna, ed è quel che dice Paolo: il dono rimanda al principio fallico. 2- Se togliamo finalmente dal nostro sistema di valori l'idea che valga la pena morire per Lei, mentre riconosciamo il pari valore, al tempo stesso rinunciamo anche a quella parte di noi che di fatto stiamo valorizzando, quella parte che ci onora, il dono libero e gratuito di colui che si dà senza calcoli. Questa nostra pulsione al libero dare non è un fatto solo culturale, essa trae origine dalle profondità del nostro essere, perchè siamo come l'evoluzione ha voluto che fossimo. Parliamo infatti di istinti (Dio benedica il Claudio che osa nominarli in pubblico!) e cioè di un' invenzione della natura di cui siamo portatori. Se è così, allora siamo fallici (ossia, "stupidamente generosi") volenti o nolenti. 3- Dire: "Io non valgo meno di Lei" è una gran cosa, ma confligge con quell'onore che stiamo restituendo a noi stessi e con la pulsione originaria che viene dalla natura (Cosmo). In realtà, quando celebriamo la generosità fallica, celebriamo noi stessi ed il Cosmo che parla attraverso di noi. Allora, prima di domardami se sia giusto o ingiusto morire, e morire quasi disprezzato (come ricorda Giuseppe nel caso della guerra), mi chiedo: "Se io rinuncio a questa. Mia pulsione, cosa resta di me? E poi, ne sarò veramente capace, o, dato il necessario frangente, finirò con il fare ciò che il Cosmo mi ordina e che io stesso ho onorato nel simbolo che mi rappresenta?" La mia ipotesi è che le cose andrebbero come sul Titanic. Anzi, proprio io che abito le terre dell'Om Selvarek, mi tirerei indietro? 4- Ecco una squadra di vigili del fuoco, con donne e uomini. Gli uomini stanno dietro e mandano avanti le donne tra le fiamme. Ecco un gruppo di poliziotti/e affrontare dei rapinatori. Le donne vanno avanti e gli uomini (se possono) restano indietro facendo a finta di nulla. No, non riesco a vederla. Misogini o filogini... non ci tireremo indietro. Sembra che siamo in una morsa: nè Paleo-cavalieri tontoloni e disprezzati, ne Neo-maramaldi, di fatto solo nelle intenzioni, perchè alla fin fine incapaci di agire contro quella nostra qualità, gloriosa nonostante tutte le irrisioni ed i dileggi. 5- Io la vedo così: il valore di un nostro gesto dipende anche dal valore attribuitogli dagli altri, specie dall'Altra (un filosofo antico suggeriva di far comparire le donne sul campo si battaglia, perchè così i loro uomini si sarebbero battuti come leoni). Che fare allora in questotempo di disonore della Fallicità, in questo tempo dominato dall'Amor-Contabile dove ogni gesto deve essere segnato e ricordato al beneficiario? Una sola è la prospettiva che mi salva: sganciarmi dalla valutazione dell'Altra, su questo punto come su altri, costruire da me il senso delle mie azioni, onorare sino in fondo ciò che sono. Così mi libero dalla dipendenza e contrappongo all'Auto-amore (di F) il mio Auto-senso. Certo, nonposso farlo da solo, perchè ho bisogno di sapere che altri uomini danno valore a ciò cui io dovalore. Non siamo ancora superuomini. E' dura, ma cosa direbbero i nostri figli se scoprisseroche, pur con fondatissime ragioni, abbiamo smesso di spenderci, di donare senza calcolare? Proprio noi che abbiamo osato alzare la Stele della Creazione nell'era della G.M.? Eugenio wrote : il Cavaliere disprezzato ed irriso si "basta", esiste per quel che è; non se ne importa dell'altra. Ed io vorrei essere tra di loro. Anch'io. Voglio esserci e quindi ci sarò.

Rino

Sulla questione Titanic e alla domanda come si comporterebbe il maschio selvatico, il mio pensiero e' che farebbe proprio ciò che ha fatto sul Titanic. Io penso che non sia una questione di parità, ma di istinto. Non e' un calcolo, non è un pensiero, e' istinto.

Marcello

Uomini belli

 Addio a Marzio

 La casa nel cielo: Nube Bianca

 

Addio a Marzio

Marzio Tremaglia non c'é più. Molti di voi lo ricorderanno, in quella strana e bella serata, il 6 febbraio 98, quando grazie al suo aiuto, e coraggio nel darcelo, i Maschi Selvatici fecero la loro prima apparizione pubblica, a Milano, col Convegno su "La Questione Maschile". Due momenti: a serata "Maschio e Padre, identità politicamente scorrette", e poi, il giorno dopo, la marcia nel Parco del Ticino, a meditare sulla terra, l'acqua, il fuoco, l'aria. Ricordo Marzio, appena sceso dallo scalone nella sala della Provincia, in giacca e cravatta da assessore, imbattersi nel nostro megafallo alto tre metri, circondato dalla vostra eccitazione, inquietante. Lui, proveniente da una tradizione di "ordine moralità e famiglia", fotografato sotto quel monumento all'invenzione, e, fatalmente, anche alla trasgressione. Un attimo di panico ce l'ha avuto. Ma é stato un attimo. Perché era un guerriero. E ha subito sentito che lo eravamo anche noi. Quella serata é stata bellissima anche per questo. Perché é stato un incontro - abbraccio tra due sorprese. La vostra, quasi tutti provenienti dalla sinistra, nello scoprire che l'Assessore alla cultura alla Regione Lombardia, di Alleanza Nazionale, era un ragazzo solare,intelligente e inattaccabile, la cui unica motivazione nel fare politica era, con ogni evidenza, l'interesse della Comunità, per come lui la percepiva. La sua, nell'ascoltare attentamente le relazioni, nell'entrare davvero nei nostri temi, nel seguire affascinato e sorpreso i vostri interventi, e rispondervi. E' stato, quello tra Marzio e il Maschio Selvatico, un amore a prima vista, continuato fino alla fine. E' a lui, oltre che a Stefano Zecchi, che dobbiamo lo spazio importante che ci é stato riservato nel Festival di Bergamo. Se l'é portato via un tumore al cervello, esploso pochi mesi dopo quell'incontro. Anche in questa prova, l'ultima, Marzio é stato uno straordinario guerriero, ha davvero onorato il suo nome proprio. Ha continuato infatti, per questi due anni di strazio, a lavorare, a partecipare agli incontri, senza lamentarsi né dire una parola di sé. Intanto, il suo viso da ragazzo, e la sua bella figura, si sformavano per il cortisone, il cranio rapato a chiazze per gli interventi e le irradiazioni, la faccia si gonfiava, il tumore si rendeva visibile, usciva minaccioso, la voce diventava sottile, impastata… Ma lui continuava a parlare. Vi elenco questi particolari impietosi perché il coraggio di Marzio nel farvi fronte, e attraversare i luoghi d'incontro e di lavoro, pubblici, con la dignità di un soldato sfregiato solo esteriormente, ma assolutamente integro dentro, mi ha profondamente commosso. E probabilmente é stata anche - per me almeno - una straordinaria lezione. Adesso se ne é andato. "Evening came, like a benediction", "Venne la sera, come una benedizione": é Conrad, e un mio amico che si fece uccidere in Viet Nam, tanti anni fa, lo volle scritto sulla tomba. Forse é stata una benedizione anche per Marzio, dopo queste tremende sofferenze, anche se mai degnate di uno sguardo, rispetto al molto, ed alto, che impegnava la sua vita. Ma la sua giornata é stata bellissima, feconda, esemplare. Addio Marzio. Grazie.

Claudio

La casa nel cielo: Nube Bianca

Lo chiamavano "Nube bianca" perché il cielo era la sua casa. Ed ora è lassù per sempre, tradito dalle sue ali. Nel pomeriggio di Pasqua Marcello Mainetti ha spiccato il volo con l'immancabile entusiasmo che nemmeno gli 80 anni erano riusciti ad affievolire. Il motore di un esile ultraleggero lo staccava dalla terra. Ma dopo un centinaio di metri è precipitato. "Nube bianca" è morto. Un malessere improvviso, un guasto tecnico? Nessuno per il momento può rispondere. Mainetti aveva messo le ali all'Accademia Aeronautica di Pozzuoli. Aveva poi abbandonato le stellette per entrare negli anni Cinquanta nella LAI (Linee Aeree Italiane), la compagnia di bandiera nazionale, poco dopo trasformata in Alitalia. Volava sui celebri Convair adottando uno stile inconfondibile: alto e slanciato, indossava sempre i guanti bianchi. Era diventato uno dei primi comandanti di DC-8, i mitici jet che avvicinarono gli Stati Uniti alla Penisola rendendo più facile la cavalcata atlantica. Mainetti seguì tra l'altro l'addestramento dei suoi colleghi più giovani, cambiò il volto dell'Alitalia trasformandola da sconosciuta compagnia nazionale a vettore di taglio europeo. Fu anche tra i creatori dell'Anpac, la maggiore organizzazione sindacale degli uomini con le ali. Ora "Nube bianca" è nel "suo" cielo.

Da: Cade Nube Bianca, 80 anni passati nel cielo, di Giovanni Caprara, Corriere della Sera, 25/4/00

La storia di Vasco e Tone

Selvatici si nasce? Loro, Antonio (Tone), e Vasco, lo sono diventati. Tutti e due muratori per necessità, senza conoscersi sono arrivati sulla stessa strada, o meglio sullo stesso sentiero, quello della Val Saviore, a cominciare l'avventura, "la vita", del selvatico. Antonio riccioli lunghi e biondi, barba incolta, mi racconta di essere figlio di contadini della bassa bresciana. E' nato con gli animali in casa e aiutava il padre ad allevare il bestiame, frequentava già da qualche anno la casa degli Amici della Natura. Ultimamente sempre più di frequente. Vasco, trent'anni, barba nera, fisico atletico arriva a Saviore alla ricerca di una sua dimensione. Da un po' di tempo stava cercando una casa in questa zona che per lui, anche se cittadino, non ha segreti. La passione per la montagna l'ha ereditata dalla madre che già da bambino lo portava in giro per i boschi a raccogliere funghi. Uno con la passione per la natura, l'altro per gli animali, hanno passato il primo inverno in una casa in mezzo al bosco, senza luce, e con solo la stufa per riscaldare l'unica stanza che fa da cucina e da camera. Una notte la temperatura è scesa a meno sette, ma adesso arrivata la primavera le cose vanno un po' meglio. Allevano capre bionde, tipiche di questa zona, e con il latte fanno il formaggio. L'intenzione è quella di dedicarsi anche al recupero di quei metodi di lavorazione tradizionali quasi totalmente scomparsi. Ad esempio è rimasto un solo contadino nella valle capace di costruire cestini per la ricotta. Ma vogliono anche cominciare a tenere le api per produrre miele. Insomma tanti progetti. Quello per il futuro il più immediato è di arrivare ad avere duecentocinquanta capre. Ci chiedono come facciamo ad accorgerci che è domenica: "Perché per noi - dice - è sempre domenica...".

Marcello.

La gola in freezer

Un ghiottone nel covo della Multimadre.

Un mio amico fa il fornaio in una multinazionale di quelle che fanno e vendono tutto, ma è anche delegato sindacale CGIL. L'ho incontrato stasera e mi ha raccontato questa storia. Un suo collega è stato chiamato da Siracusa (Siracusa!) a Brescia per il reparto pasticceria, in quanto esperto pasticcere. Il giovanotto è molto grasso, testimone di Geova e con tre figli. Ha il vizio di mangiarsi pasticcini e brioches mano a mano che li sforna. Gli tendono l'agguato e lo colgono - letteralmente - con la Brioche in bocca. Lo denunciano e presto sarà davanti al pretore unitamente al mio amico (che pensa di abbandonare l'impegno sindacale...). La cosa ovviamente è un po' triste. La multimamma poi ha trasferito il siracusano dal reparto pasticceria al reparto... SURGELATI! E' dura la vita! Ora al massimo potrà succhiarsi dei bastoncini Findus! (ma due banconi dietro ci sono i gelati...).

A letto con la mamma (o con la nonna)

Nell'assenza del padre, sempre più bambini vengono tirati nel letto di madri, e nonne. Senza che nessuno ci trovi niente da ridire.

Maschietti assorbenti

A letto con la nonna

A letto con la mamma

 

Maschietti assorbenti

Oggigiorno un numero indeterminato di bambini e di ragazzini finisce a fare il marito al posto del padre, nelle case e talvolta nei letti matrimoniali delle madri, legalmente separate, o separate in casa, divorziate, vedove o altro. La società di oggi li vuole tutelare dalla insensibilità e incuria paterna e li affida nel 93% dei casi alle madri. La realtà spesso (quanto spesso?) è ben diversa ed il ruolo che svolgono, anche se cosi piccoli, è davvero socialmente utile, di alta professionalità. Svolgono infatti funzioni importantissime. Una delle principali è consolare la solitudine delle madri, esorcizzare le loro angosce, diventarne il confidente, sostenerne il disprezzo verso il padre, condividere, nel letto o altrove, intimità affettive che comprendono "santamente (= maternamente) tutto" tranne il sesso in senso stretto. La medesima funzione è proposta anche in una versione ideologicamente più aggiornata che li vede compagni di letto e/o di lotta femminista accanto alle madri militanti che li dichiarano unico amore maschile possibile e campo sperimentale per la costruzione del "maschio dell'avvenire". Per i padri invece, che li hanno traditi fino in fondo, svolgono il ruolo di assorbente delle pretese affettive e dei desideri sessuali inconsci della moglie ormai disamata, tradita e scocciante. Sono la condizione della loro libertà. Infatti, vengono buttati fra le cosce della moglie per una sorta di atroce scambio: non ci sono io ma al mio posto ti lascio il figlio. Così, i maschietti in questione, se pur indirettamente, fanno felici anche un'altra categoria di persone: le amanti. Le persone intorno, normalmente, trovano motivo di consolazione ed edificazione dallo spettacolo: da una parte sono ammirate del loro comportamento adulto, della loro fortunata ed esclusiva relazione di amore con la madre, della capacità di consolare il padre nei suoi momenti di sconforto, dall'altra si commuovono della dedizione della madre, "sacrificatasi in tutto per dedicarsi esclusivamente al figlio". Loro, i maschietti, con la testa, la psiche, il cuore, il sesso, l'identità e la vita fottuti per sempre, si colpevolizzano delle loro angosce, tacciono, e fanno buon viso a cattivo gioco. Ma se è così, visto che nessuno è disposto a riconoscergli la loro condizione effettiva, di stuprati, a questi maschietti socialmente così utili vogliamo almeno riconoscergli un bello stipendio?

Cesare

A letto con la nonna

(Una testimonianza dalla Lista di discussione dei Maschi Selvatici).

Avevo quattro anni quando - relazione tra i miei genitori in crisi, nonna in menopausa e temporaneamente stanca di ricevere assalti copulatori da parte del nonno - finii in montagna con i nonni . O meglio con la nonna visto che il nonno, come tutti i maschi, è capace solo di fare disastri. Sono stato messo in buone mani, mani capaci di fare e disfare. Ah! Forse deve essere passato qualche cosa d'altro nei pensieri della nonna a tale proposito, che, per non farmi sentire troppo la nostalgia della mamma (del papà, del fratello e della sorella il copione non ne parla) decise che era meglio tenermi vicino per la notte, nel letto nel momento in cui la nostalgia si fa più forte. Dunque: fuori il nonno dal letto, che ha l'abitudine di fumare il toscano in camera e di pisciare rumorosamente nel pitale di notte, e poi è ora che il nonno se la veda da solo ed altrove con i suoi bollori! E dentro il letto il nipotino, cioè io. Proprio vero le donne quando hanno un cucciolo tra le mani lo devono straziare d'affetto. E nei loro confronti tra l'altro egli dovrà essere eternamente grato, se solo ha un po' di cuore, altrimenti non si sentono "mamme" e per loro è la fine. Tu certamente non vuoi la loro fine, vero!? Soprattutto se non ti rendi subito conto che questa può essere la tua fine.

(Lettera firmata)

A letto con la mamma

(lettera firmata, abbreviata. Da : Da uomo a uomo, di Claudio Risé, ed. Sperling & Kupfer).

Ho 18 anni e sono nei guai. Mio padre lavora in un'azienda di impiantistica, era spesso assente, e quattro anni fa ha voluto separarsi. Già prima mia madre aveva l'abitudine di chiamare me a dormire con lei nel letto: si sentiva sola, e ha volte aveva attacchi d'angoscia. Preoccupato per lei, non riuscivo a dirle di no. Quest'estate mio padre mi ha invitato lontano, dove lavora, per le vacanze: dieci giorni a piedi, noi due e una guida, in un grande parco naturale. Ho scoperto mio padre, e una vita che non conoscevo: la natura selvaggia, il silenzio, il rischio, e il non lamentarsi. Ora sono tornato alle lacrime di mia madre. E non ce la faccio più a raggiungerla a letto. Cosa devo fare?

Caro amico, mi sembra che l'incontro faccia a faccia col padre, ed insieme con la natura selvaggia (dove risiede una parte decisiva dell'istinto maschile), l'abbia profondamente cambiato. Ed é comprensibile: si tratta di due ingredienti (la comunione col padre e l'immersione nella "naturalità") di cui il bambino - ragazzo ha un bisogno vitale, per diventare grande. Ciò ha portato alla superficie un cambiamento, che prima rimaneva sommerso sotto la "gentilezza" del figlio preoccupato per la mamma, e le impediva ad andare al di là di quel "fastidio" che dalla pubertà in poi lei mi dice di aver provato, di fronte alle richieste materne. Ora però ha ritrovato il padre, e la natura primordiale, con la sua forza. Può dunque, finalmente, affermare la sua "separazione" e diversità, dal corpo della madre, e interrompere quest'intimità da bebè.