Iniziazione e individuazione - dalla lista di discussione dei Maschi selvatici

“Nell’individuazione non si può evitare il confronto con la sofferenza e con la morte, con i lati oscuri di Dio e della sua creazione, con ciò che ci fa soffrire e con cui tormentiamo noi stessi e gli altri. Non esiste individuazione senza il confronto con il lato distruttivo di Dio, del mondo e della nostra anima.”

Adolf Guggenbühl-Craig

DALLA LISTA DI DISCUSSIONE DEI MASCHI SELVATICI

Confesso di non aver ben chiaro il rapporto fra iniziazione e individuazione.
Ho rivisto il primo Matrix in vhs (nell'attesa di andare al cinema per il Reload.
Come è noto, si tratta, anche, del racconto di un percorso iniziatico, che ha le sue precise tappe e la sua conclusione. Alla fine la trasformazione avviene.
Nelle società premoderne le iniziazioni (in senso generale) seguivano codificati rituali e coinvolgevano i giovani di una precisa età. Identificava chiaramente, dunque, gli iniziati. Voglio dire: o si è "iniziati" o non lo si è, e se sì, lo si è per sempre.
Neo lo diventa chiaramente, alla fine del primo Matrix...immagino che ci saranno poi dei momenti difficili (la "matrice" si dà volti più affascinanti di quello dell'agente Smith); e l'iniziato non me lo immagino certo come uno che va in giro con un sorriso deficiente, ma in qualche modo si tratta di una tappa (di una forza) dalla quale non si può tornare indietro (neppure nel dolore). Si tratta, allora, di "ricordare" profondamente.
L'individuazione, dice Jung, riguarda invece soprattutto la seconda metà della vita, ma soprattutto mi sembra la ricerca continua (senza molte tappe dove riposarsi) di un ideale irraggiungibile (la sua irraggiungibilità non gli depone però contro). Cioè nessuno è mai "arrivato". Infatti è la preparazione alla morte.
A pag p1 (nota 4) de "La società degli eterni adolescenti", Robert Bly (Red) cita Michael Ventura che dice così:
«Da circa quarant'anni i giovani generano forme (musica, mode, comportamenti) che prolungano il momento iniziatico. In altre parole, abbiamo cara l'adolescenza (o "ricettività iniziatica") e cerchiamo di prolungarla, come nella speranza di incontrare per caso in qualche modo un'iniziazione. Nelle culture tribali il periodo dell'iniziazione era di gran lunga il momento più intenso della vita, e durava non più di qualche settimana, al massimo un anno. Per noi oggi dura decenni. Ed è come se la pressione che si esercita per farlo durare decenni ne accrescesse la violenza caotica. Questa estensione del momento iniziatico contribuisce a far impazzire tutti quanti...
[E ancora, in riferimento alle società (comunità) non secolarizzate] La parola chiave qui è "focalizzato". Gli adulti avevano qualcosa da insegnare: storie, arti, magia, danze, visioni, rituali. Anzi, se queste cose non venivano imparate bene, la tribù non era in grado di sopravvivere. Ma gli adulti non rovesciavano tutto questo materiale sui giovani casualmente fin dalla nascita, come facciamo noi. Erano focalizzati e quanto mai selettivi riguardo a che cosa insegnare e quando. Aspettavano che i loro figli avessero raggiunto l'intensità dell'adolescenza e poi si servivano della capacità di assorbimento che accompagna quell'intensità, della sua fame, del suo esibizionismo, del suo desiderio di cose oscure, di conoscenze oscure, di azioni oscure, di tutte le qualità che più ci spaventano nei nostri ragazzi, di queste stesse qualità gli antichi si servivano come strumenti di insegnamento».
Non troveremo mai abbastanza parole per raccontare il dolore causato dalla fine delle iniziazioni, e l'incertezza e il dubbio in cui siamo stati precipitati.

Paolo


 

A mio parere, Paolo, non si tratta di un'estensione del momento iniziatico, qui il momento iniziatico non c'è più. Un iniziazione non può durare quarant'anni, ne venti, ne dieci.
Come sappiamo le iniziazioni seguivano liturgie precisissime, rituali che servivano a segnare per sempre l'esperienza non solo a livello conscio.....
Qualcosa di così "necessariamente" intenso non può durare un tempo così lungo......manterremmo lo stesso atteggiamento di desiderio nei confronti dell'orgasmo se lo stesso durasse qualche mese ???
Non sarebbe come posso dire ...."segnante". Ci si abitua perfino all'estasi.
Al tipo di società in cui viviamo non interessa affatto "iniziare" nessuno. L'iniziazione, in qualunque campo tu la intenda, produce un risultato finito, un uomo con una attitudine precisa, dotato di strumenti per "compiere qualcosa" rivestire un ruolo.
Mi chiedo se noi si venga "iniziati al consumo" o meno....? Ma le esigenze di elasticità, intesa come capacità di adeguare i propri bisogni all'evoluzione dei mercati, colpisce persino il consumatore per cui il finirlo, l'iniziarlo a qualcosa forse sarebbe pericoloso (per i mercati appunto).
Penso al fatto che uno degli elementi cardine dell'iniziazione è sicuramente legato al luogo.
In tutte le antiche civiltà iniziatiche (tribali e non....anche a Sparta ed a Babilonia si veniva iniziati) l'iniziante doveva innanzitutto essere sottratto ai suoi luoghi abituali, sottratto a tutti quei condizionamenti che fino a quel momento avevano costituito l'humus protettivo necessario allo sviluppo del bambino, ma che, da quel momento in poi rappresentavano altresì le sue convinzioni, i suoi limiti, le gabbie mentali che ognuno di noi assorbe nel proprio contesto familiare. L'iniziazione deve necessariamente portare all'abbandono di quei condizionamenti per arrivare alla comprensione di quanto è "altro" da ciò che ci è stato insegnato.
Pensa alle resistenze opposte da Neo nel primo Matrix che hai rivisto...da dove venivano ?
La sua ristrutturazione mentale, la sua sottrazione a tutto quanto corrispondesse "alla sua realtà" è il primo passo iniziatico.
Io conosco uomini di 40 anni che vivono ancora in famiglia, che non l'hanno mai lasciata, ne per studiare ne per fare il militare che, nonostante tutto, resta "l'ultimo rito iniziatico sociale" che io veda nel nostro popolo.
Condivido, è esattamente quello che dice Sun Zu nel suo "L'arte della guerra". I nostri insegnanti consumano, nella maggior parte dei casi con poco frutto, molte energie per piegare i caratteri non omologati dei loro allievi. In verità le antiche figure di insegnanti, i precettori, sapevano bene che l'unico modo per insegnare davvero qualcosa a qualcuno era quello di fare in modo che i contenuti arrivassero allo studente trasformati nello stesso tipo di energie che abitavano lo stesso in quel periodo esatto della sua vita. Devi conoscere il territorio (alias l'allievo e le sue dinamiche mentali) se vuoi riportare la vittoria. Ovviamente però questa conoscenza non è richiesta dal ministero della pubblica istruzione.
Le iniziazioni, caro Paolo, non sono finite. Non erano cerimonie di massa nei tempi antichi e non lo saranno di certo ora. L'iniziazione è ancora un potere del padre (nell'accezione allargata del termine) e soprattutto dell'assemblea dei padri.
Chi è stato iniziato, a qualunque sapere, non si sottragga.
Chi non è stato iniziato, potrebbe non aver capito di esserlo stato.
L'iniziazione non ha, a mio parere, il compito di colmare dubbi ed incertezze.....anzi.
Mi chiedo se il suo significato più profondo non consista nell'accettazione degli uni e delle altre, nella loro trasformazione, nella metanoja del loro potere simbolico in armi micidiali di sviluppo dei potenziali umani.

Gino


“Confesso di non aver ben chiaro il rapporto fra iniziazione e individuazione”

mi sembra che tu descriva piuttosto bene ambedue, mi sentirei di aggiungere a quello hai già detto:

  • l'iniziazione (per come comincio a capirla io) è sempre la iniziazione a un "mistero", qualcosa di più della comunicazione di una sapienza, perché prevede attraverso la ferita l'innescarsi di un processo di trasformazione della personalità. Questo "mistero" è condiviso da un gruppo, quindi riguarda l'entrare a fare parte di una comunità (di iniziati) particolare, e normalmente mi sembra che comporti il farsi carico di responsabilità sociali.

  • l'individuazione non ha invece (direttamente) niente a che fare con l'appartenenza a un gruppo, ma riguarda la capacità di dialogo con la propria parte inconscia, e il riconoscimento della funzione di guida nelle scelte di vita al risultato di questo dialogo. Il risultato di questo dialogo/ascolto del sé attraverso sogni, altre tecniche o una lettura simbolica della realtà, porta a fare si che tu sia quello che devi essere, detto in altre parole rispetti e hai fiducia in quello che la tua natura ti dice, che non è più solo quello che il tuo IO cosciente pensa che debba essere la cosa migliore per tè. Si potrebbe anche dire che hai trovato la tua croce, o che sei in grado di farti guidare da una voce di natura divina (extrapersonale). In altre parole, hai trovato Dio (facile perderlo). Da qui la irraggiungibilità di cui parli e la natura di "processo" , di tensione, e non del raggiungimento di uno stato acquisito per sempre. Ovviamente quello che all'inizio sembra solo un dialogo interno a se stessi (e non riferito a una comunità) visto in questo modo ha secondo me la più alta rilevanza sociale.


”abbiamo cara l'adolescenza (o ‘ricettività iniziatica’) e cerchiamo di prolungarla, come nella speranza di incontrare per caso in qualche modo un'iniziazione”


mi sembra che si tratti appunto di un fenomeno che segnala la fame di iniziazione, si vive il vuoto che l'iniziazione (non avvenuta) non ha riempito di senso. I giovani sentono questo vuoto e vogliono essere adulti. Ma senza che il processo sia guidato (focalizzato come dici tu) dagli adulti veri, i giovani rincorrono più che altro le forme esteriori:

  • delle ferite, sotto forma di tatuaggi, cicatrici varie, prove di coraggio demenziali a volte,

  • della paura e dell'estasi o comunque dello stato alterato di coscienza che ti dovrebbe poi fare risvegliare con una nuova consapevolezza, sotto forma di droghe varie

per questo dura quarant'anni, girano a vuoto (a me è successo così), poi, se sopravvivono, è forse perché qualche figura paterna l'hanno incontrata.

Guido


 

Il fatto è che le culture tribali erano infinitamente più semplici.
Smaliziati come siamo, difficilmente ci sottoporremmo seriamente a una qualsiasi di quelle iniziazioni.
E infatti l'iniziazione di Neo è raffinatissima.
L'ignoranza assoluta è il vero presupposto per una supina accettazione.
Il problema è quel limbo di ignoranza-cultura (che Pasolini definiva piccolo-borghese), ne carne ne pesce, che non accetta i riti iniziatici, perché primitivi e banali e magari anche stupidi, e che, per contro, è scettica nei confronti dell'individuazione (perché non la capisce).
Io che a metà della vita ci sono arrivato, mi chiedo piuttosto se iniziazione e individuazione non siano in realtà parole che ci servono per spiegarci a posteriori (o per consolarci) le alterne modalità che la "fortuna" ha attuato nei nostri confronti.
La stratificazione minuta di semplici atti quotidiani: questa è la base (e lo zoccolo duro) del nostro destino e di quello dei nostri figli.
Iniziazione e individuazione mi sembrano tardivi tentativi di porre rimedio a vizi di forma cronicizzati dal tempo.
Ma sicuramente mi sbaglio

Massimo


 

 

Ho letto, in uno scritto di Fornari dal titolo "Il padre, signore della morte" (in AA.VV. "Il padre", non ricordo l'editore) che la funzione specifica del padre è quella di farsi carico di alcuni aspetti mortiferi del rapporto madre-neonato.
Fornari spiega che la relazione madre -feto e poi quella madre-neonato è, per motivi simbolici ma anche reali, piena di rappresentazioni di morte: c'è il rischio che il feto 'uccida' la madre durante il parto; che il neonato muoia, si dovrebbe dire: a causa della madre, del suo averlo spinto fuori; il parto, poi è una trasformazione travolgente e temibile nonostante la desacralizzazione medica dalla quale è circondato; infine, avete mai preso in braccio vostro figlio nato da pochi minuti e lo avete guardato negli occhi, senza altra persona o distrazione attorno? Quando mi è successo l'impressione è stata di contatto con un essere venuto dall'altro mondo.
Insomma, il compito del padre è quello di farsi carico dei fantasmi di morte, di tenere libera la relazione madre-bambino da elementi mortiferi la cui presenza impedirebbe la crescita sana del figlio, di'portare', quindi, ed 'esportare l'aggressività'.
Viene 'portata' nel senso che il padre è quello che in famiglia si prende la responsabilità di un atto forte, una proibizione ad esempio, e la sostiene dandole significato (permettendo il coglierne gli aspetti positivi). Viene 'esportata' quando utilizzata per difendere il nucleo familiare, o il proprio territorio, o la patria, e così via. In questo modo viene tenuta lontana dal nucleo familiare l'idea della distruzione. Questo succede 'semplicemente' perché il padre se la porta dentro: e Fornari sostiene che questo è un processo sacrificale (modellato su quello di Cristo che si è assunto i peccati del mondo). Infatti, il papà, visto dal bambino, è cattivo, temibile, la mamma, invece, buona e amorevole. E questo tiene la famiglia unita e le persone funzionanti. E il compito del maschio è di digerirsi la propria aggressività e di usarla al momento giusto.
Ora, se questo è la forma del maschio, mi chiedo come è possibile essere iniziati a esserlo senza un rapporto consapevole con la violenza, se la ferita fa solo piangere, se il lato oscuro lo si porta solo dallo psicoterapeuta perché ci impianti una illuminazione artificiale abbagliante tipo quella che circonda le carceri. Non riesco a capire come concretamente, nei tempi attuali, possa avvenire una iniziazione alla ferita, alla capacità di portare il peso dell'aggressività, se i riti iniziatici delle società antiche che conosciamo (come dice Massimo) ci possono apparire banali e stupidi.
Scusate la poca chiarezza.

Maurizio


 

Ma è così sicuro che noi moderni siamo così smaliziati? Forse è vero il contrario, nel senso che non ci sottoporremmo più ai riti iniziatici perché spaventati dal loro mistero, perché non siamo più abituati ad avere a che fare coi simboli, che rimandano a verità non percepibili razionalmente. Rifiutando con sprezzo tutto ciò che non è inscrivibile nell'ambito del visibile, dell' immediatamente afferrabile dall'intelletto, ci siamo in realtà impoveriti e "semplificati". Abbiamo tentato di tagliare fuori la nostra parte inconscia, che pure è parte integrante di noi e che rimanda ad una totalità inconoscibile coi soli strumenti della ragione. Ma, l'abbiamo detto tante volte, l'inconscio continua ad agire, tanto più potentemente quanto più non ce ne accorgiamo, pretendendo di trovare a tutto una spiegazione logica.

Armando


 

Credo che tu abbia ragione. E credo anche che, molti uomini, abbiano smarrito il senso dell'iniziazione.....fosse anche il perseguimento di un mero concetto ideologico (anche se questo non rappresenterebbe di certo un'iniziazione )e non mi riferisco agli interventi sul sito, perché invece credo che, come accade di rado, in ognuno degli interventi vi sia semplicemente un pezzo di verità osservata da mondi interiori diversi.
Necessariamente, non si sente il simbolo del dono e del nutrimento nel trasmettere a propria volta il principio iniziatico, questo comporta una perdita generalizzata del simbolo iniziatico e della sua influenza conscia ed inconscia sulla formazione della personalità maschile.
Mi chiedo......e vi chiedo...
E' possibile iniziare senza volerlo, senza averne consapevolezza ?
Voglio dire, è possibile che l'iniziazione, essendo soprattutto dipendente dal territorio emotivo dell'iniziato, venga percepita come tale da questi anche in assenza di una volontà da parte dell'iniziante in tal senso ?
Sento di non essere stato chiaro ma, al momento, non riesco a dirlo in modo diverso......

Gino


Mi sembra che Maurizio, nella sua mail del abbia colto un aspetto fondamentale dell'iniziazione maschile. Quello del rapporto consapevole con la violenza, che altro non è se non il rapporto con l’ombra maschile. Non sono antropologo ma, da quel poco che conosco, mi sembra che tutti i riti iniziatici abbiano un contenuto di violenza, esplicitata o simbolica. Ed in effetti il destino maschile è un continuo confronto con la violenza, la separazione, il taglio. L'iniziazione aveva lo scopo di mettere in grado il giovane di farne un uso cosciente, senza illudersi di eliminarla attraverso l'educazione politicamente corretta, come avviene oggi, salvo, l'abbiamo detto tante volte, farla deflagrare in modo incontrollato. Nel destino dell'uomo esiste la ferita. Per prima quella, simbolica ma atroce, che il padre imprime al figlio per separarlo dalla madre. E' una violenza necessaria, che diventa salvifica nel momento in cui apre la strada ad un progetto di vita adulta e consapevole. E' la violenza del dolore che fa crescere. E perché non appaia come puro arbitrio occorre che il padre , che l'abbia a sua volta subita e cicatrizzata, la imprima al figlio come supremo atto d'amore.
Non occorre, per tentare di rispondere alla domanda che Gino si poneva, che il padre abbia intellettualizzato l'atto, e lo pratichi secondo una tecnica manualistica.
Sarebbe questa una falsa consapevolezza, tutta esteriore, fredda appunto come un manuale. E' una consapevolezza , invece, che viene da dentro, da quel sapere maschile che in un uomo "semplice" è (o forse era) spesso più alta che in un intellettuale. E', mi sembra, un sapere maschile transpersonale che passava da generazione a generazione. E la miglior controprova sta nei "risultati". Il giovane "iniziando" intuisce il sapere e intenzioni profonde dell'iniziatore, e lo assorbe trasformandosi. Se questo sapere profondo non c'è, nessuna tecnica, nessun sapere intellettualizzato lo può sostituire.

Armando


CORRETTO

Caro Armando,
Assolutamente d'accordo, per quanto non riesca a trovare, nella "ferita" l'elemento fondante dell'iniziazione.
Sicuramente l'accettazione della separazione, del distacco, del taglio, fa parte delle possibili iniziazioni della tarda modernità, eppure io ho, appunto, l'impressione che oggi, considerando le differenze culturali rispetto ai contesti delle antiche civiltà iniziatiche, l'accento vada posto sul segno.
L'iniziazione è tale perché la tua memoria (conscia ed inconscia) non la dimenticherà mai più, non ti permetterà mai più di ignorarla. Poi potrai anche fingere che niente sia accaduto ma sarà, per l'appunto, un inganno...una finzione. Io credo che IL SEGNO, l'imprimatur sia l'elemento caratterizzante l'iniziazione. Se partiamo da questo presupposto, traslandolo nel nostro "tempus vivendi" un padre ha la possibilità di iniziare il figlio ad aspetti fondamentali dell'esistenza...creando un segno, una direzione verso la quale la crescita del ragazzo può evolvere senza perdersi, con delle coordinate che gli consentano una giusta lettura ed un giusto posizionamento di tutte le esperienze successive che potrà maturare in quel determinato aspetto della vita.
Si può iniziare un ragazzo al rapporto con Dio (più generalmente con il sacro), con i propri aspetti istintuali, al rapporto con gli altri uomini etc......

"Sarebbe questa una falsa consapevolezza, tutta esteriore, fredda appunto come un manuale. E' una consapevolezza , invece, che viene da dentro, da quel sapere maschile che in un uomo "semplice" è (o forse era) spesso più alta che in un intellettuale. E', mi sembra, un sapere maschile transpersonale che passava da generazione a generazione. E la miglior controprova sta nei ‘risultati’. Il giovane ‘iniziando’ intuisce il sapere e intenzioni profonde dell'iniziatore, e lo assorbe trasformandosi. Se questo sapere profondo non c'è, nessuna tecnica, nessun sapere intellettualizzato lo può sostituire".

In verità io, Armando, non pensavo a nessuna tecnica. Oggi sarebbe ridicolo. Credo però sia fondamentale TRASLARE tutti gli elementi importanti che possiamo prendere a prestito dagli antichi riti iniziatici. Le liturgie iniziatiche, che tu chiami tecniche, avevano, secondo me (e quindi potrebbe anche essere un'autentica cazzata) lo scopo preciso di amplificare il segno che avrebbero lasciato nell'iniziato. Il marcare in modo assolutamente incontrovertibile una profonda linea di demarcazione da tutto quello che era stato prima del rito e tutto quello che avrebbe seguito il rito stesso. Per cui oggi non possiamo portare ragazzi nei boschi, lasciarceli nudi e soli per alcuni giorni, poi iniziarli alle armi, alla natura selvaggia, alla sopravvivenza. Al ritorno da questa iniziazione tuo figlio ucciderebbe qualcuno, sempre che durante il rito una guardia forestale non sia intervenuta denunciando te e rassicurando lui sul tuo essere fuori di senno. ;-))) già immagino la scena :-)))

Se quindi partiamo da questo elemento, secondo me possiamo, lasciando un segno congruo, dare un imprimatur sulla possibilità di rapportarsi agli elementi della vita che un bambino (o comunque un ragazzo) assimilerebbe comunque ed in modo disordinato, sciatto, aimé spesso, di bassissimo livello qualitativo.
Ed è a questo che mi riferivo chiedendomi e chiedendovi se sia possibile un' iniziazione inconsapevole.
Ed in effetti oggi credo che sia possibile.
Voglio dire......in fondo un bambino non viene inizato al rapporto con gli altri da quello che vede fare ai propri genitori in quell'ambito ?
Si certo questo potrebbe anche significare una pessima iniziazione ma d'altronde non è così ?
Io ho imparato la fondamentalità, l'importanza della comunicazione continua nel rapporto di coppia dai miei genitori.
Loro non ne erano affatto consapevoli, assolutamente, eppure noi figli siamo stati iniziati a questo perché la nostra infanzia ha segni profondissimi di questo dato. Sia io che i miei fratelli, nei nostri rapporti di coppia manteniamo questa alta considerazione per il comunicare continuamente con l'altra. Il nostro confronto è continuo; in alcuni dei miei amici o comunque in altri uomini che osservo può addirittura non esservene traccia. Si tratta di iniziazioni diverse. Noi ci addormentavamo con il sottofondo della voce dei miei genitori che parlavano. Parlavano di tutto, per ore, quando andavano a letto. Ci svegliavamo con la stessa musica di sottofondo. Capisci, è un segno tanto profondo quanto incosapevolmente impresso. Ho indagato caro Armando, ed ho scoperto che la prima capacità citata dalle nostre compagne è quella di avere accanto uomini che parlano, ascoltano. Io lo credevo scontato, l'ho sempre creduto scontato, invece fuori dal mio contesto familiare ho scoperto quanto fosse un'attitudine insolita. Mia sorella invece, lamenta il fatto di parlare poco con suo marito. Sente l'esigenza derivante dal "segno" dall' imprimatur, dalla sua iniziazione e sente la frustrazione derivante dalla sua assenza. Se lei leggesse questa mail resterebbe pietrificata......perché in lei tutto questo è inconsapevole, eppure è così.
Quando tra qualche week-end voi tornerete nella Val Grande, (e vi sentirete incredibilmente in colpa per aver fissato il viaggio in giorni in cui io non riesco ad essere con voi) se qualcuno di voi porterà con se un figlio che non ha mai vissuto un'esperienza simile e che vive, nell'ambito della sua crescita individuale, un periodo di rilevante disponibilità a raccogliere, ebbene io credo che chi di voi sarà in quella condizione avrà la possibilità di far compiere al proprio figlio un viaggio iniziatico. Avrà la possibilità di iniziarlo ad alcuni aspetti della natura, e soprattutto, ad alcuni aspetti dell'amicizia e delle possibilità presenti nel rapporto tra uomini. E' solo una possibilità, non accadrebbe per il solo fatto di essere li, devono, a mio parere verificarsi un insieme di condizioni. Certo il padre può esserne consapevole e quindi lavorare perché tutte quelle condizioni si realizzino, oppure non comprendere quella dinamica. In quest'ultimo caso sarebbe tutto assolutamente casuale.......ma può accadere anche così...credo......
Io credo che il padre, Armando, conservi integra la possibilità di iniziare i propri figli agli aspetti fondanti dell'avventura umana. Ne conserva un diritto-dovere-potere preliminare per il modo in cui i figli guardano a lui. Ad iniziare però può anche essere un nonno, un parente, un amico, o.....semplicemente un'altra persona. Chiunque consapevolmente o inconsapevolmente riesca a produrre il segno........nel luogo e nei tempi opportuni.

Un saluto a tutti

Gino


Una precisazione. Non mi sognerei mai di definire tecniche i rituali iniziatici, ci mancherebbe. Erano il risultato di un sapere profondo, che solo il nostro povero razionalismo può definire con sufficienza come frutto di superstizioni e concezioni magiche. Volevo soltanto precisare che, ove mai ci fosse, la tentazione (che sarebbe tipica del nostro modo di concepire il mondo) di sostituire saperi millenari con un manuale, sarebbe destinata al fallimento. Per il resto concordo con te.

Armando


Un po' in ritardo ma aggiungo anche le mie riflessioni in merito, sto giusto pensando in questo periodo all’iniziazione, ovvero quali sono quelle azioni, quei riti che segnano per un maschio il passaggio all'età adulta e mi sembra vero il ragionamento sul conoscere la propria ombra la propria parte "cattiva" mi chiedevo anche che importanza assume in questo contesto il vino, molte donne non ne bevevano e comunque storicamente appartiene come comportamento all'uomo. Oggi purtroppo sembra, e gli insegnanti possono confermare o meno, l'assunzione di alcool e' molto diffusa anche tra le ragazze oltre che tra i maschi in età adolescenziale.
Certo l'uso corretto del vino, quindi non come alcolista, aiuta forse proprio a incontrare l'ombra più facilmente...MAH!!

Marcello


 

Tutti gli stati di coscienza alterati, col vino, l'orgia, la droga, o la trance,possono aiutare a vedere l'Ombra. Per vederla però ci vuole una parte della coscienza che faccia da testimone, che non si faccia travolgere. Più l'esperienza é ritualizzata, se possibile in una Tradizione "forte", e non rabberciata in qualche modo, più la cosa é possibile (anche se rischiosa).

Claudio