Padri indifferenti? Calma, per favore!

Su Il Foglio del 20 Settembre, Giulia Galeotti, con un articolo dal titolo “Baby opportunità”, critica l’iniziativa dell’assessorato di Roma per le “pari opportunità”,

che prevede l’erogazione di un microcredito di 5000 euro da restituire in cinque anni a tassi agevolati, in favore del coniuge separato con figli a carico che possa dimostrare l’insolvenza dell’ex nel corrispondere quanto pattuito per il mantenimento dei figli.
La Galeotti ha ben chiaro che nella stragrande maggioranza dei casi il coniuge insolvente è il padre, dal momento che i figli vengono assegnati quasi sempre alla madre, e la sua obiezione principale, assolte le buone intenzioni dell’iniziativa, è che costituirebbe una sorta di condono per i padri insolventi e menefreghisti.
“…assumendo come dato di fatto l’inadempimento, si legge, finisce all’atto pratico per condonare l’indifferenza maschile, con una soluzione che non trova precedenti nemmeno nella legislazione ottocentesca”, mentre “ Che l’autore del concepimento debba rispondere almeno per il mantenimento economico del nato è infatti una recente conquista di civiltà dopo secoli di indifferenza maschile”.
Insomma anziché battere la via maestra di sentenze che costringano il padre al suo dovere etico, questa iniziativa segnerebbe la resa di fronte ai numerosi maschi menefreghisti.
Nessun dubbio che il padre ha il dovere di contribuire secondo le sue possibilità al mantenimento economico dei figli, ma per risolvere il problema alla radice occorrerebbe avere la volontà di capire veramente il fenomeno. Bisognerebbe insomma, fare una seria inchiesta sulle sue cause, anche interrogando i diretti interessati. In mancanza è inaccettabile che la pur giusta denuncia di uno stato di fatto si trasformi immediatamente, e come al solito, nella criminalizzazione del genere maschile, dipinto come costituzionalmente disinteressato alla sorte dei figli che ha concepito.

Indagando si scoprirebbe, forse, che esiste una relazione fra l’inadempienza economica del dovere paterno e l’inadempienza di quello materno a far si che i padri possano stare coi bambini, insomma che possano esercitare il diritto/dovere di continuare ad essere padri nel senso pieno del termine.
Di ciò esistono forti indizi ed anche qualcosa di più che, non per caso, ci provengono dagli Stati Uniti, dove il problema, essendo ancora più acuto che da noi, è anche più studiato.
Lasciando da parte quella che con felice espressione è stata definita “La fabbrica dei divorzi e la sua lotta contro il padre”, per la quale rimandiamo al libro di Claudio Risè “Il padre l’assente inaccettabile” (Ed. San Paolo 2003) alle pag. 71 e seguenti, esiste un rapporto ufficiale dell’Ufficio Americano del Censimento, dell’ottobre 2000, secondo il quale quando il genitore non affidatario “ha però eque possibilità di visitare i figli e di stare con loro, l’assolvimento degli ordini di mantenimento aumenta del 73%” (Risè, op. cit. pag. 89).
Il dato è molto eloquente, e porta a pensare che la soluzione del problema , nell’interesse primario dei bambini, non consista né in elargizioni statali né, fermi i casi individuali, in sentenze che tengono conto di un solo lato della questione, ma in una legislazione che accompagni e si faccia promotrice di una vera “rivoluzione culturale”, ossia che torni a riconoscere importanza , ruolo e funzione complessiva della figura paterna, oggi mortificata. Ne beneficerebbero i figli, i padri, ed anche le madri, insomma la famiglia ed in definitiva tutta la società.

Armando Ermini

[27 settembre 2005]