Un giovane padre scrive al Presidente della Repubblica

La lettera è stata pubblicata anche sulle prime pagine del 7 dicembre 2006 de
www.quotidiano.net , www.lanazione.it, www.ilgiorno.it

Egr. Dott. Giorgio Napolitano
Palazzo del Quirinale
Piazza del Quirinale
00187 Roma
Firenze 6 Dicembre 2006
Oggetto: l’emarginazione dei padri


Caro Presidente,

le scrivo per chiederle di salvarmi la vita.

Non gettandosi in un fiume, non trovandomi un lavoro. Però lei forse può evitare la mia morte psicologica, restituendo la speranza a me ed a tutti i padri che sono tali solo all’anagrafe ma che non lo sono nella realtà, nella vita, restituendo la dignità al padre come figura istituzionale della società, il padre come colonna portante della famiglia.

La prego solo di leggere questa lettera, e poi decidere.

Io fui figlio di uno dei molti padri assenti, orfano di padre vivo recitano le associazioni che trattano questi argomenti, ho sofferto per questo ma sono riuscito a cavarmela, a crescere, dai 20 ai 30 mi sono affermato come libero professionista nell’informatica e come musicista di fama internazionale. Fino a qualche anno fa davo la colpa solo a mio padre della sua assenza, poi mi sono sposato e dopo due anni separato (2003) ed è iniziato il calvario per me dell’emarginazione paterna, proprio come mio padre e moltissimi altri padri oggi. In questi 3 anni ho capito che mio padre era solo una vittima di un sistema che vuole l’uomo come elemento usa e getta per i soldi e per il lavoro, ma che lo tiene lontano dalla famiglia e dagli affetti, costretto a vivere così, senza scelta.

Mia moglie mi tradì quando nostra figlia aveva 18 mesi, mi tradì con un mio studente, un ragazzino appena maggiorenne di dieci anni più giovane di lei, di li a poco rimase incinta di questo ragazzo e mi chiese la separazione, io anche malconsigliato ma soprattutto stravolto accettai la richiesta di mia moglie e della sua avvocatessa, accettai la “prassi” .. che allora era l’affido esclusivo alla madre.. lo feci anche per non aggiungere problemi ad una situazione già molto delicata.

Da quel giorno non vivo più, non sono mai più stato quello che ero. I miei più cari amici che mi vogliono bene, lo sanno, e con tatto mi dicono che sono imbrutito, ed hanno ragione. Quel giorno del 2003 è iniziata una guerra, una guerra che io non ho voluto ma che mi trovo a combattere per difesa, per non soccombere e morire psicologicamente. E quando si è in guerra l’uomo diventa animale, come diceva il nonno partigiano di un mio amico “l’essere umano ci mette molti anni ad adeguarsi alle delicate armonie della società civile ma ci mette un attimo a diventare animale quando è in guerra”. Quel giorno è iniziata anche la mia regressione, la mia involuzione e depressione, inevitabile quando si subiscono umiliazioni ed emarginazioni sociali del calibro di quelle che le andrò a dire, ed è quello che oggi troppo spesso succede al padre, sia a quello che vive in famiglia ma specialmente a quello che si separa:

Emarginazione
Quando il giorno della separazione ufficiale mi sentii un alieno mentre la mia ex moglie e gli altri avvocati andavano siglando la prassi allegramente parlando di grande fratello, di minigonne alla moda come se niente fosse, mentre io mi sentivo morire vedendo una parte importante della mia vita che veniva distrutta. Forse il giorno più brutto che ho vissuto.

Umiliazione
Quando dovetti rinunciare all’attività che facevo da 10 anni ed alle mie aspirazioni che coltivavo sin da quando ero piccolo.

Umiliazione
Quando per i sei mesi successivi dovetti pulire i pavimenti, in precariato, con persone che non parlavano la mia lingua ed il capo che si faceva chiamare padrone e ti urlava contro minacce di non rinnovarti il contratto. (come poi accadde)

Umiliazione
Quando la mia busta paga non bastava neanche a pagare gli alimenti stabiliti per mia figlia, alimenti stabiliti al 50% ciascuno sebbene la mia ex moglie guadagnasse 5.000 euro ed io 500. (busta paga alla mano.. le pare giusto?)

Umiliazione
Quando non potevo invitare persone a casa d’inverno perché non potevo permettermi di pagare il riscaldamento e per questo dovetti tornare a casa di mia madre.

Umiliazione
Quando la mia ex.moglie mi ha scritto di compartecipare al 50% per dei regali a mia figlia, regali troppo lussuosi che io non mi potevo permettere, si permise di sbeffeggiarmi e farmi sentire in colpa per questo.

Umiliazione
Quando la mia ex moglie mi offendeva a telefono ed io dovevo tollerare per non avere ritorsioni sulle visite di mia figlia.

Umiliazione
Quando mi è stato fatto capire in modo neanche tanto sotteso che potevo vedere di più mia figlia se avessi dato più denaro.

Emarginazione
Quando nel lavoro successivo (sempre precario) dovevo fare mansioni ed ore gratis in più perché mi avevano promesso il rinnovo (e sapevano della mia situazione) e poi 3 settimane prima della scadenza mi dissero che non mi avrebbero riassunto, mentre invece rinnovarono il contratto a due ragazze ventiseienni appena laureate che vivevano in casa con i genitori, e l’INPS non mi dette neanche 6 mesi di sussidio perché il contratto co.co.co che mi aveva fatto questo comune (si ha letto bene.. un comune, un organo dello stato) non lo prevedeva. Un padre nella mia situazione familiare legale e psicologica non valeva niente, ne per i miei datori, ne per il comune, ne per l’INPS.

Emarginazione
Quando dopo un anno la mia ex moglie con la figlia potette trasferirsi senza preavviso a quasi un’ora da casa mia e anche l’asilo cambiato, senza preavviso e senza discuterne.

Umiliazione
Quando mi resi conto che non ce la facevo il Lunedì (giorno di visita) con gli orari di lavoro ad andare a prendere mia figlia nel nuovo asilo così lontano: ricordo ancora quella telefonata dove col cuore in gola, quasi pianto, dissi alla mia ex moglie che non ce la facevo e che avevo bisogno di un cambiamento di orario, lei mi rispose che avrei dovuto rivolgermi ad avvocati per cambiarlo (quindi mesi e mesi) io le dissi che ero suo padre e che avevo il “diritto” di vedere mia figlia, lei rispose irridendomi che sul contratto c’era scritto “facoltà”. Chissà, caro Presidente, se arriverà un giorno in cui riuscirò a dimenticare quella telefonata, ed il senso di angoscia e soppressione che provai.

Emarginazione
Quando questa estate da Luglio a Settembre in tre mesi ho trascorso una sola notte con mia figlia.

Umiliazione
Quando mia figlia, ovviamente spinta a farlo, comincia a chiamare babbo il giovane ragazzo della mia ex.moglie (la bambina iniziava a fare confusione e non riusciva più a farsi capire.. “ho fatto questo col babbo” “ho mangiato quello col babbo” … ma quale babbo tutti si chiedevano???) e quando scrivendo alla mia ex.moglie di questo problema mi sono visto rispondere che “la bambina poteva chiamare babbo chi voleva”.

Emarginazione
Quando dal 2003 al 2006 per 6 volte ho trovato avvocati che non accettavano di richiedere l’affido condiviso e paritario. Un familiarista ebbe anche il coraggio di dire “be sa.. quando mi entra una madre da quella porta sono felice, quando mi entra un uomo so che saranno problemi..”

Ho letto un bel libro, si chiama “Il Padre, l’assente inaccettabile” di Claudio Risè, libro che le consiglio di leggere per capire, forse meglio delle mie parole, il problema se vorrà approfondirlo.

Ho anche frequentato in questi 3 anni molte associazioni di padri separati. Li ho potuto constatare che il mio non era un problema isolato, ma anzi diffusissimo, ho potuto osservare cosa è successo alla nostra società, una società dove la figura paterna è assente dalla famiglia oramai da un bel po’. E’ assente dalle consuetudini che vogliono la sola “mamma” a crescere i figli. E’ assente dalle decisioni più importanti per i figli, da quelle sul loro concepimento, alla nascita, a quelle durante la loro vita. Ma essere assenti dalla famiglia equivale in pratica ad essere assenti dalla società, perché la famiglia è una delle colonne della società.

L’uomo oggi è emarginato. L’uomo che non può essere liberamente padre è un uomo che non si realizza, non è felice ed è solo un peso a quel punto per se stesso e per gli altri.

In questi tre anni ho conosciuto tanti padri e li ho visti morire dentro, psicologicamente, quelli che uccidono sono solo la punta dell’iceberg, sono l’uno per mille. La maggior parte resta in silenzio e accetta l’oblio, oppure combatte nei sotterranei e nei tribunali una battaglia persa contro l’indifferenza e l’egoismo dei giorni nostri.

Eppure io li ricordo questi padri com’erano, forti, robusti e fieri, quelli che davano la propria vita, che vivevano con generosità, che portavano avanti la società, che erano dei grandi e davano la direzione, l’esempio. Oggi non ci sono più o sono in via di estinzione. Basta leggere sopra per capire chi e cosa li ha uccisi, subire umiliazioni, soprusi, soppressioni e violenze psicologiche tutte quelle cose una dietro l’altra, ogni giorno, sono tanti macigni che ti schiacciano l’anima, ti soffocano la speranza e la voglia di vivere con gli altri, il senso di giustizia, soprattutto la fiducia nelle istituzioni indifferenti.

Eppure questi padri avevano resistito alle catastrofi della storia, le guerre mondiali del ‘900 li avevano decimati eppure loro avevano resistito, ma questa volta hanno perso perché il nemico non è arrivato da fuori, il nemico è venuto da dentro, in casa, tra le donne che non si impegnano più a tenere insieme la famiglia mentre l’uomo le protegge, tra le madri che allevavano figli irriconoscenti verso la figura paterna, dallo stato che da questi padri era stato difeso e reso libero col proprio sangue.

Questo male ha iniziato a mangiare da dentro, e noi giovani uomini oggi ci ritroviamo senza energia, senza passato recente, senza sorriso, senza la gioia di vivere e di morire per gli ideali di amore e libertà. Io sono felice per mia figlia che è femmina e che almeno vivrà bene. A volte penso che se fosse nato maschio non avrei saputo cosa dirgli. Cosa dire ad un figlio maschio che deve diventare uomo oggi? “Figlio mio lavora e vivi per la tua famiglia, la tua donna, per lo stato e per gli altri ma ricordati che se un giorno avrai un problema e sarai tu ad aver bisogno d’aiuto o giustizia nessuno te li darà verrai emarginato e resterai solo.”

La storia si ripete. Mio padre che ha lavorato tanto per comprare una casa ad ognuno dei 3 figli ed una anche a mia madre si separò 15 anni fa e fu lasciato solo dai figli. Lui ora ha 70 anni è stato un grande ma morirà solo e non compreso. Un tempo i grandi uomini che avevano dato tanto avevano riconoscimenti e visibilità. Oggi la visibilità viene data troppo spesso alla mediocrità, al falso, alla pura estetica, a mio avviso non è tanto il PIL, il DEFICIT o qualche altro NUMERO il problema del nostro stato, ma la progressiva perdita di affetto e senso di giustizia, individuale e collettivo.

Io non mi riconosco più, ho deciso di scendere in guerra per difesa e per non soccombere, ma per quanto ancora? Tre anni sono sufficienti? Tornerò mai come prima? Col sorriso, la voglia di vivere, di fare e di donare?
Da più giovane lessi “Il Sergente nella Neve” e la mia domanda mi sembra quella stessa domanda che faceva sempre il soldato in trincea dopo anni di sfibrante guerra ed eterne attese al buio ed al freddo.. diceva ai suoi compagni: quando torneremo alla baita?

In questi 3 anni ho capito una cosa:
che la libertà vale più di tutto. Che “vivere” e “sopravvivere” sono due cose completamente diverse. Che spesso nel solo sopravvivere la dignità non c’è. Che è forse meglio morire che sopravvivere senza un senso ed una direzione perché l’essere umano dovrebbe vivere e non solo sopravvivere. E la mia direzione si chiamava famiglia, si chiamava mia figlia, e le redini di tutto questo sono state date evidentemente alla persona sbagliata, alla persona che la famiglia l’ha distrutta, alla persona che alla famiglia ed ai suoi membri ha mancato clamorosamente di rispetto, mentre a chi con anni di affetto, fedeltà ed impegno avrebbe meritato non è stato dato niente. Dell’art.29 della costituzione che dice “Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare” non ho visto traccia nella mia storia ed in quella di tanti padri che ho conosciuto.

Non si può ambire ad una giustizia nella società se questa non c’è nel nucleo societario base che è la famiglia. Forse non è sbagliato credere che lo sfaldamento dei valori e dell’affezione verso il prossimo e verso lo stato nasce dallo sfaldamento degli affetti base che sono quelli dei genitori e dei figli uniti nella famiglia.

La pressione sociale e le consuetudini ancora oggi chiedono agli uomini grandi oneri ma non danno loro gli onori di un tempo. Un trentenne a cui è stata impartita la cavalleria e l’obiettivo di provvedere alla propria donna e alla famiglia e che la comunicazione mediatica (tv, film, spot, ecc) in gran parte vuole ancora in questo ruolo si deprime di fronte alla realtà che oramai è cambiata e spesso vede uomo e donna guadagnare più o meno uguale e sempre più spesso anche di più la donna (ho molti amici in questa situazione), da parte sua spesso però la donna continua ad esigere per se e per la famiglia le prestazioni del passato, e questo è ingiusto oltre che impossibile, dovrebbe essere lei ora a facilitare il passaggio dell’uomo allo stadio di maggior parità sociale e di opportunità senza che ne venga ferito l’animo e l’orgoglio delle sue origini e abitudini di recente passato. Invece l’uomo e padre si trova spesso da solo e senza aiuto a doversi adeguare alla parità e quando per intelligenza e senso di progresso magari lo fa allora viene accusato e umiliato di non essere più uomo. Non è una bella situazione, ma è così in moltissimi casi.

Questo non è giusto, la parità deve essere vera. E’ giusto che le donne si avvicinino al lavoro, ma è anche giusto che l’uomo si avvicini alla famiglia, con incentivi, investimenti, comunicazione e cultura costruttiva, come viene fatto per la donna. La legge sul condiviso da poco approvata è un primo piccolo passo, ma è una goccia nel mare. Dobbiamo impegnarci ancora molto se vogliamo una società giusta e serena, dove uomo e donna si possano amare e rispettare, scegliere liberamente i ruoli più affini alle loro attitudini ed affettività, mi pare invece che ci siano ancora troppi pregiudizi e vincoli sul ruolo dell’uomo, si tratta spesso di concetti e modi di pensare retrogradi e a volte anche di furberia ed opportunismo personale o di un gruppo.

Sento anche spesso stra-parlare dei figli! Vedo spesso che vengono messi al centro dei nostri problemi personali e materiali, vengono portati in tribunale dai 12 anni in poi, usati per accaparrarsi sostegno, soldi, voti, per stimolare buonismo e senso di colpa. In realtà l’unico vero guaio per i nostri figli c’è solo quando noi adulti non si riesce a tirar fuori la nostra capacità, la nostra passione genitoriale. Questa assenza è l’unica vera cosa di cui dobbiamo preoccuparci verso i nostri figli.

Dobbiamo lottare per la paternità quanto per la maternità, per una famiglia sana ed equilibrata dove nessun genitore viene escluso, dove i figli ricevono i diversi ed altrettanto validi insegnamenti che il padre e la madre sanno dare. Io dico sempre due è meglio di uno, ma non di due volte, molto di più.

Io Signor Presidente le do tutta la mia disponibilità a tornare sull’argomento, con la mia penna e col mio tempo, quando vorrà io ci sarò.

Ma si deve fare qualcosa.
Io non posso accettare di vedermi morire dentro e di veder morire dentro tanti bravi ragazzi che non diventeranno bravi uomini a causa di questo sistema e consuetudini ingiuste e retrograde che hanno fatto il loro tempo. Se lei salverà la dignità e la vita del padre, salverà anche la mia di vita e quella di molti altri.

Spero da oggi si possa prendere tutti più consapevolezza di questo.

Le faccio un sincero apprezzamento per il suo lavoro che sebbene sia iniziato da pochi mesi mi ha comunque emozionato a partire dalle sue battaglie sulla sicurezza del lavoro (dove anche li di padri ne muoiono a centinaia l’anno) e tutti gli altri temi importanti che ha iniziato a toccare. Sono fiducioso e pieno di speranza perché possa continuare così per il suo mandato, lei è il nostro primo cittadino e spero che in questi anni potrò essere fiero di lei e di tante altre brave e coraggiose persone.
Un caro e affettuoso saluto.

Giovane padre di 32 anni
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[11 dicembre 2006]