Omosessualità e ideologia in alcune associazioni gay

A me sembra che la presa di posizione relativa alla canzone di Povia da parte di di alcuni movimenti politici legati alle comunità omosessuali, sia stata - di fatto - un momento di intolleranza demonizzatrice, teso a non consentire prospettive e percorsi differenti dai propri.

Quel che più salta agli occhi, infatti, è proprio quanto sostiene Claudio Risé in questo suo post: “mentre i movimenti omosessuali plaudono ogniqualvolta si ha notizia di un eterosessuale che si scopre gay e lo proclama al mondo, ravvisando nell’outing un percorso di liberazione di una verità individuale incarcerata da perversioni e repressioni borghesi, non accettano poi - le stesse comunità - il percorso (né l’outing) contrario, vale a dire che un individuo, si scopra, da che era gay, eterosessuale: un percorso questo che, a giudicare dalle reazioni alla canzone, può esser solo l’espressione di volontà repressive e oscurantiste.”
Emerge dunque che il vero valore non è tanto, per queste comunità e queste ideologizzazioni, la scoperta di una propria verità interiore da vivere in quanto tale, ma il diventare omosessuali e, comunque restarlo - anche se non ci si sente più aperti a questa prospettiva.
Siamo alla teorizzazione delle alternative illusorie: è normale, giusto, corretto, essere liberi, ma per essere liberi“davvero ” si deve essere sempre e solo in un unico modo.
Indubbiamente, la canzone di Povia sembra voler esprimere che - nella storia narrata - l’omosessualità è il risultato di rapporti distorti con i propri modelli genitoriali, l’esito di disagi familiari, di vicende di separazione e divorzio conflittuali, di assenze patologiche e di eccessi di presenze.
Questo però non implica assolutamente che il testo voglia essere un trattato di psicopatologia dell’omosessualità, o voglia affermare che tutte le omosessualità abbiano questa origine e questa natura.
Nella mia pratica clinica di medico psicoterapeuta, ho avuto in cura non pochi omosessuali: e, se proprio volessi ripercorrere in una piccola statistica quanto ho visto in trent’anni di lavoro, devo concludere che nel mio studio sono passate i più diversi “mondi” di omosessualità.
Ho avuto in cura l’omosessuale divenuto tale per profondi disagi legati alle figure genitoriali (in specie, a conflitti con una figura paterna denigrativa o assente accanto a una madre depressa e/o iperpossessiva), e che con il progredire della propria presa di coscienza relativa a tali disagi, si è riscoperto eterosessuale, così come ho avuto in cura omosessuali giunti in terapia per i motivi più vari e più distanti da un ritenersi “malati” perchè “gay”: chi è venuto per una grave delusione d’amore, chi per una sua profonda depressione, o per altro tipo di patologia, chi per fare i conti con la propria incapacità a costruire qualcosa nella vita, chi, ancora, per la capacità di cacciarsi in relazioni distruttive o, anche, vessatorie e violente.
In tutti questi casi, le problematiche affettive relative alla relazione con il proprio partner, non differivano in nulla dalle problematiche affettive di una qualsiasi relazione eterosessuale: gelosie, tradimenti, solitudini, violenze (perché chi diventa partecipe di relazioni omosessuali, a qualunque titolo lo faccia, ben presto si rende conto che la violenza non è assolutamente un nesso esclusivo della relazione uomo-donna, ma che può esserlo - e con molta, se non a volte spaventosa, ferocia - anche delle relazione uomo-uomo o donna-donna), gelosie, tradimenti, solitudini, violenze, dicevo, sono le stesse degli omosessuali e negli eterosessuali, con una infinita varietà di sfumature.
L’omosessualità, e la sessualità sono – a mio modo di vedere – esattamente come l’acqua: sempre uguali a sé stesse perché sempre differenti a seconda del “qui ed ora” del singolo individuo nel quale si esprimono.
L’idea che esista, in definitiva,un solo tipo di omosessualità, è altrettanto folle, perversa, bizzarra, paradossale, repressiva (se non nazista) di quanto lo è l’idea che esista una sola sessualità.
Detto in altri termini, l’errore - il grave errore - che le comunità omosessuali fanno a proposito, mi appare del tutto identico all’errore che esse stesse attribuiscono alla mentalità che condannerebbe l’omosessuale alla gogna: quello di identificare una sola sessualità come quella “giusta”, “corretta”, in cui omologarsi: e rifiutando la quale chi non si accoda non ha diritto di cittadinanza sessualità.
Le comunità omosessuali si dolgono che una mentalità repressiva, “borghese”, “reazionaria”, “clericale” ed ecclesiale, pretende di definire l’eterosessualità come l’unica forma di sessualità ad avere diritto di cittadinanza al mondo. Combattono, in altri termini, una mentalità perversa secondo la quale chi è eterosessuale non può scoprirsi omosessuale, non può – in poche parole – dire “io ero etero”.
Però insorgono quando qualcuno canta l’outing opposto: outing che, senza affermare alcun valore di regola generale, raccontano percorsi e scoperte di segno opposto.
Ma se non si può far l’outing opposto – se è abominevole e indegno rappresentare percorsi al contrario - ciò implica che le comunità omosessuali schierate politicamente e ideologicamente fanno esattamente lo stesso errore che – per caso? O per necessità? - attribuiscono alla mentalità intollerante e repressiva che combattono, e che nega all’omosessuale diritto di cittadinanza.
Perché creano un assioma secondo il quale chi è eterosessuale può diventare omosessuale, ma chi è omosessuale non può scoprirsi, invece, eterosessuale.
E’ questa è pura e semplice intolleranza.
Ed è – incredibile a dirsi ma semplicemente logico – pura e semplice intolleranza contro il “diverso”: contro colui che non è omologato al “collettivo” che crea i valori di riferimento.
Il che implica che il vero valore in gioco è proprio la negazione dell’individuo come valore.
Così come non esiste una “sessualità” tout court, così non esiste – ed è incredibile come la gente (che non vota a Sanremo?) ci caschi – una sola omosessualità.
Esistono infinite “omosessualità”, quante sono le persone che hanno comportamenti omosessuali.
Esistono i singoli individui, e sarebbe ora che anche i paladini di tante liberazioni se ne ricordassero: esistono i singoli individui, ognuno con una sua storia, con un suo passato da elaborare o da accettare, o semplicemente da ricordare, e ognuno con un suo differente futuro, che sia legato o no alla scelta o alla patologia sessuale.
Esistono comportamenti, soprattutto: non categorie aprioristiche di classificazione delle persone.
E, come mi disse proprio una mia paziente lesbica: si amano le persone, non le scelte sessuali. Amare le proprie scelte è un atto di narcisismo che serra in sé stesso il singolo, e il gruppo che lo omologa a sé.
La mia opinione, è che con questo “sfortunato” incidente legato alla canzone “Luca era gay”, le comunità omosessuali ideologicamente schierate (e sembrerebbe di dire: schierate “a difesa” della propria scelta omosessuale – e tanto a “difesa” perché forse in gran parte vittime delle proprie istanze superegoiche e genitoriali), abbiano perso una importantissima, e forse definitiva, occasione per dimostrare di essere i primi a praticare la scala di valori di cui si dicono portatrici, e cioè quella scala di valori secondo cui non esistono modelli di riferimento in tema di scelte sessuali o di psicopatologia, ma solo singoli individui: e che dunque quel che è normalità per uno, è patologia per l’altro, e viceversa: e che ogni essere umano – conseguentemente - ha diritto di essere identico solo a se stesso e non ad un modello culturale dominante e integralista.
E che nessuno si deve dunque omologare a stereotipi dogmatici.
E’ qui straordinario osservare come l’intolleranza e l’oscurantismo assumono le forme apparentemente più distanti tra loro proprio per potersi continuare a riproporre a scapito del valore più profondo che abbiamo: la tolleranza per il “diverso”. Che – in uscite come quella delle comunità omosessuali contro “Luca era gay” - viene paradossalmente riaffermata proprio in nome dell’ostentare una lotta di liberazione che si proclama a favore delle scelte dei singoli ma rappresenta di fatto solo il riaffermarsi del dogma intollerante e annichilente il singolo individuo come valore.

G. GIORDANO
Medico-chirurgo

[03 marzo 2009]