Beslan è qui

Su autorizzazione dell’autore, il prof. Viganò, preside del Liceo Don Gnocchi di Carate Brianza, pubblichiamo il discorso d’apertura dell’anno scolastico 2004/2005, rivolto agli alunni della sua scuola.

Troviamo che sia esemplare, per la cristallina chiarezza e per il pathos che lo ispira, che arriva direttamente all’anima. Lo pubblichiamo in UOMINI DEL DONO, insieme a tanti episodi in cui uomini comuni si sono sacrificati per l’Altro, perché anche questo è un modo di donare sé stessi alla comunità in cui si opera. Tante volte abbiamo sottolineato la carenza di maestri, di uomini che sappiano indicare ai giovani, con l’esempio e con la parola, la strada su cui incamminarsi per divenire adulti e liberi, nella consapevolezza che la libertà non può essere mai disgiunta dall’appassionata e umile ricerca della verità e del bene, senza la quale è destinata a scadere in arbitrio. Speriamo che tanti altri uomini capiscano l’importanza di essere Maestri e Padri. I giovani ne hanno immenso bisogno.

I Maschiselvatici

Beslan è qui.

Pochi giorni fa, in Ossezia, primo giorno di scuola come per noi oggi, è successa la tragedia che ben conosciamo; bambini, genitori, insegnanti, gente come noi che portava in cuore i nostri stessi sentimenti: la gioia di rivedere volti amici, la scocciatura delle vacanze che finiscono, l’attesa un po’ trepidante dei primini e l’ostentata sicurezza di quelli dell’ultimo anno. Questa mattina, mentre venivo a scuola, pensavo ai miei colleghi osseti che sicuramente sono andati al loro primo giorno vibrando della mia stessa attesa, del mio stesso desiderio, delle mie stesse preoccupazioni; sono arrivati, hanno rivisto tanti volti amici e sono caduti in una pozza di sangue. Erano uguali a noi. Hanno subìto l’esperienza del male, quell’esperienza che ogni persona fa e subisce ogni giorno, perché il male è sempre fra noi ed in noi, è parte costitutiva della nostra persona. “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Si chiama peccato originale. Ma a Beslan, il primo giorno di scuola, è avvenuto un male di un genere particolare, un male con una caratteristica propria che ne fa un genere speciale di male: i terroristi hanno sequestrato tante persone, hanno sparato sui bambini, certi di fare il bene, certi di agire per una causa buona. Quando il male prende il nome di bene, quando si può usare una persona come strumento per realizzare un’idea di bene che sta nella nostra testa, allora succedono i disastri. Si chiama ideologia, un’idea di bene che pretende di piegare a sé tutta la realtà e la vita di chiunque. Il male è sempre male e genera sempre dolore, ma fin quando chi lo commette sa riconoscere che il male è male, permane un freno, un giudizio che combatte la negatività che è in noi. Ma quando il male viene chiamato bene, non c’è più freno. Il terrorismo dei nostri giorni nasce da qui, è una delle tante varianti di un’unica radice: l’ideologia. Quanto sta succedendo nel mondo non può trovare risposta in un’idea nuova, in una ricetta che risolve tutto. C’è un lungo lavoro da fare, c’è da imparare a riconoscere la realtà per quello che è, c’è da imparare a distinguere il bene dal male. E’ un lavoro lungo e impegnativo. Si chiama educazione. Molti maestri oggi sono impegnatissimi a insegnare a voi giovani che non c’è modo di distinguere il bene dal male, anzi che è sbagliato cercare di distinguere. Sono maestri che vi entrano in casa e nel cervello ogni giorno, attraverso tv e Internet: “Tutto è soggettivo, questo per me è bene e per te è male, quello per me è male e per te è bene, ognuno è libero di pensare quello che vuole. Questo per me è vero e per te è falso (questo per te è bello e per me è brutto, perché la questione del bene, del vero e del bello sono molto legate fra di loro). Per me è giusto passare col semaforo verde e per te è giusto passare col rosso”. Così ognuno è libero, libero di schiantarsi a ogni incrocio. Questi maestri vi spappolano il cervello, vi rendono incapaci di un giudizio critico. Ma la questione non è semplice, perché non è che ogni cosa ha il suo bigliettino attaccato con su “bene” o “male”, “vero” o “falso” e nemmeno le azioni umane hanno su il bigliettino. Guardatevi allo stesso modo da chi pretende di insegnarci a tirare le linee di confine, di qui il bene e di là il male, di qui i buoni e di là i cattivi. Sono cattivi maestri non meno pericolosi dei precedenti, spappolano i cervelli allo stesso modo. L’impossibilità di un giudizio critico Quando ero giovane io, prevaleva decisamente questo secondo tipo di irragionevolezza, la pretesa di risolvere una volta per sempre la questione del bene e del male. Oggi invece domina incontrastata la prima posizione, la pretesa di non risolvere mai la questione, meglio la pretesa che nessuno si permetta di affrontarla. In realtà si tratta di un’unica pretesa, quella di negare un senso alla realtà, di negare la possibilità di un giudizio realmente critico. Per questo si viene a scuola, per questo vale la pena di iniziare oggi l’anno scolastico, per imparare con pazienza a distinguere il bene dal male, il vero dal falso, il bello dal brutto. E’ un lavoro lungo, che richiede metodo e umiltà, che richiede di guardare la realtà e di interrogarsi sul senso, che si accompagna sempre alla possibilità dell’errore; è un lavoro che non finisce mai, c’è un lungo cammino da fare, anche per me che sono vecchio. Per questo si viene a scuola, per meno di questo non vale la pena di fare gli studenti. Non è un lavoro accanto allo studio della matematica e del greco, è lo scopo per cui si studia matematica e greco; per meno di questo non vale la pena di studiare matematica e greco. Ai colleghi insegnanti ricordo che qui sta la dignità del nostro lavoro, nell’accompagnare dei giovani a saper distinguere il bene dal male, il vero dal falso, il bello dal brutto; fuori da questa responsabilità il nostro diviene un ben misero lavoro. Se questo è il lavoro che ci attende nella scuola, allora si capisce perché siamo qui radunati in tanti: è un lavoro che si fa con molta più efficacia insieme. Il lavoro di riconoscere il bene dal male parte sempre da un abbraccio, dall’esperienza di essere amati; chi non è amato si trova in grave difficoltà in quest’opera di riconoscimento. Non si può fare scuola fuori dall’esperienza dell’amore, e ciò è parte della nostra professionalità docente. Vedrete, ragazzi, che ci troveremo riuniti a fare silenzio per altre vittime del terrorismo, non è questo un male che si estirpa con un colpo di genio, con l’idea magica di un grande intellettuale. Fin da oggi, per rispondere alle tragedie provocate dal terrorismo, c’è da lavorare per crescere – con fatica e pazienza – come uomini veri e non deformi, come uomini che conoscono ed apprezzano l’esperienza del ragionare. E’ un lavoro che investe la responsabilità di ognuno perché nessuno può permettersi di demandare ad altri la responsabilità di ragionare per lui, di distinguere per lui il bene dal male.