Oggettività del bene

Di Cesare Brivio

Sulla base di quanto ho letto sulle scelte di chi si è trovato a decidere di questioni di vita o di morte altrui, ho capito che la differenza non è tanto nel vissuto soggettivo, ma solo se uno poi ha privato della vita l’altro o no. Un esempio? Un operaio della Beretta mi raccontò un giorno di quando, diciottenne, ad El Alamein faceva controguerriglia agli Inglesi. Una notte gli capitò di intercettare e sorprendere una pattuglia di incursori inglesi che i suoi commilitoni, e lui stesso, ferirono a baionettate (tutto doveva avvenire in assoluto silenzio, all’arma bianca). Il suo inglese, il suo nemico, era stato da lui ferito ad un rene, era a terra e regola di ingaggio voleva che lui lo finisse al fine di proteggere il rientro della pattuglia da ogni eventuale allarme da parte del ferito. Stava per finirlo come riteneva giusto, almeno fino a quel momento, quando lo guardò negli occhi e non lo uccise, anzi lo trascinò nelle retrovie. Mi fece vedere con orgoglio la fotografia di quell’inglese salvato con famiglia, fotografia che l’inglese gli spedì a fine guerra. Mi disse che era felice di non averlo ucciso, e che non l’aveva ucciso solo per uno sguardo negli occhi sostanzialmente casuale. Una buona scelta dunque, ma istintiva, in sostanza fortuita. Per tanti, proprio per questo, forse “immeritevole”. Eppure assolutamente virtuosa, nei fatti. Penso che questa scelta virtuosa, quand’anche fosse ritenuta “immeritevole”, è a maggior ragione comunque virtuosa quando è di un governante in nome del suo popolo. Non mi interessa conoscere le motivazioni del Presidente del Consiglio nella decisione di salvare la vita di Eluana. Il valore del gesto non dipende da queste. E ritengo pertanto che non siano in nulla rilevanti le diverse interpretazioni che se ne dà dalle più varie parti politiche. Mi basta che non abbia ascoltato il generale consiglio a tacere, non abbia acconsentito alla decisione di morte, al silenzio e all’inerzia e abbia cercato invece di salvare la vita a Eluana: nei fatti non ha trascinato tutti gli italiani, me compreso, nella corresponsabilità collettiva di una scelta terribile e dal valore simbolico assimilabile alle tragedie di cui la Storia fa citazione, per sempre, a vergogna o a merito di un popolo. Non è un caso che il leitmotiv di tutti i favorevoli ad “accompagnare Eluana alla fine”, a cui importano più le buone intenzioni che le azioni, sia, anche dopo la sua morte, e ossessivamente, la richiesta del silenzio: i fatti, a differenza delle intenzioni, restano.

[17 febbraio 2009]