I funerali di Giovanni Paolo II

A cura di Armando Ermini

I funerali di Giovanni Paolo II sono stati un evento mondiale non tanto perché hanno catalizzato l’attenzione dei media di ogni parte del mondo, quanto per la partecipazione di milioni di uomini e donne, giovani e anziani, a Roma e negli altri luoghi dove erano stati allestiti i maxischermi.
Tutti i quotidiani si sono lanciati in analisi del fenomeno, molti affidando il commento a prestigiosi intellettuali, quasi nessuno mandando i cronisti nelle piazze a registrare i sentimenti e le parole delle persone. Eppure c’era materiale su cui lavorare, se si pensa che tanta gente di fede “tiepida”, che non frequenta Chiese o Parrocchie, si è fatta prima centinaia o migliaia di chilometri , poi code fino a 15 ore, anche in piena notte, solo per sfilare per qualche secondo di fronte alla salma del Pontefice.
I commentatori più snob non hanno celato il fastidio, parlando di evento mediatico, di suggestione di massa, di happening, di “esagerazione” e così via. Spiegazioni frutto della sorpresa fatta loro da un popolo che pensavano ormai conquistato allo scetticismo della modernità.
Credo anch’io che l’atteggiamento scettico, il relativismo culturale, e più ancora uno stile di vita improntato ad un materialismo spicciolo, alla giornata, siano penetrati più o meno consapevolmente nella quotidianità di ciascuno di noi, ed è anche probabile che quei commenti colgano un aspetto di verità, peraltro sempre sfaccettata. Ma, per il riduzionismo di cui sono pervasi, non provano neanche a chiedersi perché è accaduto quel che è accaduto,…. nonostante che tutto sembrasse indicare il contrario.
Io penso che il nostro modo di vivere, che fa diventare il “diritto alla felicità” un principio accolto addirittura nella Costituzione di alcuni stati, produca invece un sottofondo di disagio e infelicità, una perdita di “senso”, che si manifesta come “richiesta e speranza” di qualcosa d’altro, quando un avvenimento o un personaggio sono capaci di fare da catalizzatore.
Giovanni Paolo II, in quanto Pontefice Romano e per il disegno unitario e coerente della sua predicazione in cui tutto si legava e si teneva (dalla pace alla vita, dalla lotta al comunismo e ai totalitarismi alla critica serrata agli squilibri prodotti dal liberismo elevato a dogma, di cui aveva compreso la comune radice culturale), ha incarnato “richieste” e “speranze” che vivono nel profondo delle persone, su più livelli interconnessi fra di loro.
In senso identitario.
Anche per tanti atei dichiarati o credenti sui generis, la morte (e la vita) del Papa, di questo Papa, hanno fatto sentire che le radici identitarie che andiamo perdendo, e che producono spaesamento, sono proprio nel Cristianesimo. Le sue tradizioni, i suoi simboli, i suoi riti, le sue Chiese, la sua cultura, ci accompagnano ormai da due millenni, sono parte di noi, un riferimento imprescindibile anche nell’eventuale disaccordo su questo o quel punto, sembravano dire i pellegrini in fila. E’ questa la nostra spiritualità, ed è lì che, perduta, la dobbiamo ricercare, non in altri riti o religioni. Non perché queste non abbiano dignità o valore, ma perché fuori dal loro contesto sono destinate a diventare “moda”, o nel migliore dei casi rimanere allo stato di istanza.
Tanto maggiore risulta, allora, l’assurdità di un’Europa che rifiuta di citare la sua storia nella sua Costituzione.
In senso di ricerca del Padre.
Tanti pellegrini lo hanno detto esplicitamente, e scritto negli striscioni. Giovanni Paolo è stato vissuto come un padre, capace di indicare con fermezza e intransigenza una direzione precisa, e nel contempo partecipare, quasi incarnandolo nel proprio corpo, al dolore che esiste nel mondo. Una richiesta di padre, anch’essa connessa alla questione identitaria (è il padre che la fornisce), stupefacente in un’era che sembrava averlo relegato definitivamente al margine della vita psichica e sociale.
In senso Comunitario.
E’ emerso con chiarezza, più che in altre occasioni, il bisogno di esprimere pubblicamente la propria fede o il proprio dolore, insieme agli altri. Se la religione è elemento fondante dell’identità di un popolo, non può che essere così, proporsi in senso comunitario e non solo come rapporto diretto e intimistico fra l’individuo e Dio. La critica dei commentatori che vorrebbero la religiosità confinata nell’ambito esclusivamente personale, esprime il timore che lo Stato, che si vorrebbe unica fonte di legittimità del potere ed unico spazio in cui si eserciti, stia fallendo. Ed in effetti, dopo il tramonto delle grandi ideologie terrene, e dei partiti che le esprimevano, dello Stato non rimangono che un insieme di procedure, di regole e norme burocratiche senza anima e fascino.
Infine altri osservatori , in parziale contraddizione con quelli di cui sopra, hanno invece lamentato l’aspetto di happening “festoso” (canti, balli, telefonini, foto), assunto dalle code di folla in attesa, denunciandolo come sintomo di superficialità. Il che, in parte potrà anche essere vero, ma il senso complessivo mi sembra un altro. Giovanni Paolo ha incarnato in sé la ricerca di Identità, di Comunità, di Paternità, ma è come se la folla sapesse che queste istanze non morivano insieme all’uomo che aveva ridato loro slancio. Il dolore per la scomparsa dell’uomo si è così potuto trasformare in speranza, e quindi anche in letizia e festa, a differenza di altre occasioni in cui, assente l’elemento di trascendenza, una morte è stata percepita come la fine, insieme all’uomo, delle speranze che impersonava, e il dolore è rimasto scolpito in modo indelebile, sui volti dei partecipanti.

[05 maggio 2005]