Campo Maschile, Saviore

10/11 giugno 2017

Quest’anno, arrivati alla Casa degli Amici della Natura di Saviore dell’Adamello ci troviamo in una situazione per noi nuova. Non abbiamo potuto prenotare la casa solo per il nostro gruppo e l’abbiamo quindi condivisa con altri: una famiglia tedesca con due bambine, una coppia, un suonatore di gong, un’antropologa...Un altro elemento nuovo è dato dalla presenza di Stefano e di suo figlio Luca, che filmeranno alcune scene della nostra uscita, per un documentario che si apprestano a fare su Campo maschile.

La presenza nella stessa casa di Cecil, il medicine man che ci avrebbe guidato nel rito dell’Inipi (capanna sudatoria), ci richiama però alle ragioni del nostro stare in quel luogo, anche in compagnia di altri che da tempo avevano chiesto di incontrare lo sciamano. Cecil Francis Cross è un Wichasha wakan - uomo sacro, guida spirituale del suo clan familiare, detto dei "Poor bears" (Poveri orsi). La sua tribù è quella dei Lakota Oglala, appartenenti alla grande nazione dei Teton Sioux. È uno dei più importanti costruttori di tamburi, ne costruisce uno nuovo e gigantesco in pelle di bisonte con telaio in legno di cedro per la "Sun dance", ogni anno. Ha costruito tamburi anche per comunità buddiste in Francia e per collegi dervisci in Nord Africa. Dall’aspetto Cecil si presenta come un vecchio montanaro delle nostre valli. Con lui, ad accoglierci c’è Italo Bigioli, presidente degli Amici della natura, detto Bigio, che fa gli onori di casa salutandoci con il suono di un corno gigante costruito con le sue mani.

Per salutare Cecil, gli Amici della natura hanno organizzato un Bagno di Gong con l’antropologo e musicista Daniele Pezzoli. Lasciata la casa quindi, ci inerpichiamo lungo il Sentiero dei partigiani, che ci ricorda quanto in Val Saviore siano state terribili le rappresaglie nazi-fasciste, culminate nell’incendio di Cevo il 3 luglio 1944. Attraverso il bosco trasportiamo a piedi, nell’ultimo tratto di strada, quattro gong e quattro campane di quarzo, insieme a altri strumenti a percussione e a fiato. Dopo un’introduzione dell’antropologa Annalisa Costa sulle caratteristiche del luogo in cui ci troviamo e sui primi insediamenti preistorici in Val Camonica e il suono di due corni, sempre ad opera di Bigio, ci sdraiamo su coperte e tappetini per lasciarci inondare dalle vibrazioni sonore. Nonostante la presenza di moscerini che rendono difficile il rilassamento, il suono dei gong prende il sopravvento portando alcuni di noi a una parziale perdita di coscienza, inducendo uno stato simile al sonno. I suoni sono davvero molto belli e le vibrazioni forti e davvero penetranti. Forse al chiuso l’effetto sarebbe ancora più coinvolgente.

A proposito di questa esperienza Armando scrive:

“Rumori e suoni che mi hanno fatto pensare a tempeste cosmiche, come venissero da spazi siderali. Suoni che trasmutavano in musicalissime voci femminili che mi richiamavano in modo invitante in qualche luogo indeterminato ma pieno di promesse, come le sirene di Ulisse (l'ho pensato proprio sul momento). Oppure voci che, al contrario, mi sembravano venissero dall’ al di là. Voci di defunti, quasi fossero un richiamo e una specie di avvertimento/monito: " Ricorda che sei destinato a unirti a noi!" Questo vissuto ha chiaramente a che fare col trascorrere del tempo, che inevitabilmente si abbrevia davanti e si allunga dietro. E poi suoni leggeri, aerei, riposanti e tranquillanti, atti a sollevare l'anima da pensieri più oscuri. Una bella esperienza piena di vibrazioni interne, insomma.”

Federico, che dice di fare di solito fatica a estraniarsi per entrare in contatto più profondo con se stesso, dice di aver raggiunto uno stato di completa rilassatezza. In particolare quando Daniele camminando tra noi si avvicinava con suoni particolari, si sentiva pescare e poi lasciare. Dopo il suono della prima campana è entrato in uno stato simile al sonno. Francesco dice di aver fatto un viaggio di tipo spirituale che lo ha aiutato a prendere decisioni importanti su come agire in una determinata situazione.

Ritornati alla casa, ci rifocilliamo con una cena a base di costine di maiale, frittata di verdura, pasta aglio olio peperoncino e abbondante vino rosso di Botticino e del Trentino.

A tavola Cecil ci parla di come vivono gli indiani Sioux nelle riserve del South Dakota. Molti giovani sono dipendenti da droghe (in particolare MDMA) e gli anziani dall’alcol e dalle slot machines. Il quadro che ne esce è di un popolo che ha perso la sua cultura, il suo rapporto con la tradizione e col sacro.

Qualcuno prende in mano un banjo e una chitarra e canta... Fuori, sulla terrazza, chiacchieriamo di fronte a una luna piena che illumina la cima delle montagne.

La mattina di domenica, dopo colazione, partiamo per raggiungere la capanna costruita da Bigio e da Cecil. Finalmente ci ritroviamo solo tra noi e possiamo ritrovare lo stile delle nostre uscite. Per un lungo tratto camminiamo rispettando un silenzio totale. Lungo il sentiero incontriamo un gruppo di capre e capretti che si lasciano accarezzare. Poco più a valle ci fermiamo davanti a una cascata per una breve meditazione. L’esperienza è particolarmente intensa. Dopo aver guardato per qualche minuto la cascata, chiudiamo gli occhi e ci lasciamo attraversare dal suono, continuo, che in un primo momento sembra sempre uguale ma, se ascolti bene, senti continue variazioni su uno stesso tema. Inevitabile, per molti di noi, la percezione dello scorrere del tempo e della vita.

Gianluca scrive:

La meditazione nei pressi della cascata è stata molto intensa: ho lasciato che la mente seguisse il suono dell'acqua, ripetitivo e allo stesso tempo mutevole, mai uguale a se stesso, per lasciare affiorare le immagini. In particolare la cascata ha richiamato alcuni ricordi d’infanzia perché spesso giocavo nei dintorni di un torrente vicino a casa insieme alle mie sorelle e ai miei cugini: un grande senso di familiarità ha occupato la mia mente.

Poi riprendiamo il nostro cammino fino al sito della capanna.

Da qui saliamo nel bosco lungo un piccolo ruscello fino a raggiungere una radura dove ci fermiamo per una meditazione attraverso il respiro. Ciascuno cerca e trova un suo posto, con sottofondo la musica del “Parsifal” di Wagner.

Una volta seduti viviamo l’esperienza dello sguardo. Guardarsi negli occhi a coppie per una decina di minuti non è impresa semplice. Lo sguardo tende a sfuggire, a distrarsi...ci vuole tempo ed esercizio per riuscire davvero a guardare l’altro. Per Campo maschile questo esercizio è ormai una consuetudine e s’innesta su un’esperienza sempre più ricca e coinvolgente che vede, nei nostri incontri, la messa in gioco del corpo. Questa volta il gioco dello sguardo porta emozioni, sentimenti e pensieri straordinari, “costellando”, come direbbe Jung, in ciascuno di noi sentimenti profondi, spesso caratterizzati da una sincronicità che nessuno di noi avrebbe potuto prevedere.

Giovanni F, che partecipa per la prima volta, parla della sua difficoltà a concentrarsi, a guardare davvero l’altro e attribuisce questa sua difficoltà all’abitudine di guardare sempre il cellulare, per lavoro e o per cercare qualcosa, anche alla presenza di altre persone. Mauro riconosce la difficoltà di Giovanni e guardandolo pensa che potrebbe essere suo figlio e che gli piacerebbe avere un figlio così. La mente va a suo figlio Giacomo che nascerà fra poco.

Anche Armando nello sguardo di Vincenzo vede un figlio e vive un’esperienza che descrive così:

È stato il momento sicuramente più intenso di tutto il week end, così come lo fu a Massimeno l’inverno scorso. Ma, mentre là incrociai lo sguardo con Michele, conosciuto da tempo, Vincenzo era per me un semisconosciuto, nel quale però ho ravvisato un figlio. E qui sono usciti in pieno i miei ‘storici’ tormenti: per il padre insufficiente che sono stato per tanto tempo, preso com’ero da questioni, diciamolo pure, troppo egoiche, per lo sforzo di rimediare, di dargli oggi ciò che non sono stato in grado di dargli al momento giusto, per l'ansia che ciò mi procura tutt’ora, per la speranza di vederlo sereno in grado di imboccare la sua strada nella vita, come anch'egli spera, ad esempio, nel riuscire a costruirsi una famiglia. Un condensato di emozioni fortissime sfociate in un pianto che Vincenzo ha avuto l'enorme merito di accogliere e di cui lo ringrazio. Mentre scrivo, mi viene in mente che il trascorrere del tempo fa sì che il figlio diventi padre a suo padre... e questo fatto è bellissimo e veramente umano, aiuta a riconoscere la nostra fragilità, un dolore a cui dare senso, l'umiltà che aiuta a non sentirsi, mai, onnipotenti e del tutto ‘autonomi’ dagli altri. Essere significa ‘essere in relazione’, come scrive Marco Iannucci, del quale abbiamo pubblicato on line su Il Covile, un libro con questo titolo.

Vincenzo dice:

Il contatto con gli occhi è stato molto intenso e coinvolgente. Nonostante abbia fatto questa esperienza in altre occasioni, ogni volta suscita in me sensazioni nuove, chiamandomi in causa a livello personale. Lo sguardo di Armando mi è sembrato fosse anche il mio - come afferma Jung, a volte succede di renderci conto che: “Gli altri siamo noi”- ed ho provato una sensazione di forza alle braccia e alle gambe, che mi ha dato coraggio. Prima che Armando si emozionasse, fino a piangere, mi è giunta questa frase, che ho ripetuto dentro di me più volte: “Va bene così com’è andata. Anche se ci sono stati degli errori, questa vita è andata bene, sono orgoglioso di te”. Al pianto di Armando ho reagito con un sorriso di compassione e di accoglienza, c’è stata una stretta calorosa delle mani che ci ha accompagnato fino al termine dell’esperienza.

Giovanni G è invaso da una gioia fortissima, mai provata nelle precedenti esperienze con lo sguardo e dice:

Ho provato gioia! Lo sguardo di Federico mi ha trasmesso subito serenità. I suoi occhi li ho visti profondi e generosi, mi hanno dato una sensazione di benessere interiore. Ho provato accoglienza e amicizia! Gli ho sorriso due o tre volte cercando di comunicargli la mia contentezza e gratitudine per quell’energia positiva che ricevevo in quel momento. Il sorriso finale è stato bello perché ha potuto rendere più esplicita quella sensazione e la sua pacca sulla spalla mi ha fatto sentire che anch'io gli ero vicino. Mi sono sentito quasi un suo fratello, in un’intimità che mai mi sarei immaginato.

Federico all’inizio vede negli occhi di Giovanni la disperazione e cerca di aiutarlo. Dice:

Mi sono perso oltre i suoi occhi e mi è venuta voglia di sorridere prima che Paolo ci invitasse tutti a farlo.

 

Alessandro F si ritrova a vivere l’esperienza dello sguardo con Francesco, con cui ha condiviso in passato questa esperienza. Sente però, questa volta, di aver raggiunto una profondità e un’intimità particolarmente forte, frutto anche del lavoro che nel gruppo abbiamo fatto sul e con il corpo. Dice:

Traspare che stiamo lavorando a un livello di profondità e che quello che riusciamo a percepire, non con le parole, ma con i sensi e a livello emotivo e che proviamo in un momento particolare, è anche risultato di ciò che siamo riusciti a costruire in un percorso iniziato quattro anni fa.

Francesco ricambia i sentimenti di Alessandro. In lui vede passare tutta una vita fatta di gioia e dolore, di forza e paternità, aiutato in questo suo vedere dal silenzio e dalla natura che ci circonda.

Alessandro R che incrocia gli occhi con Gianluca scrive:

La vicinanza di un altro uomo ha facilitato la mia concentrazione, che faticavo a trovare per una specie di sovraesposizione ai suoni, della musica e della natura.

Uno dei primi pensieri è stato "il tempo". Forse per la giovane età del mio compagno ho pensato allo scorrere del tempo.

Poi il pensiero è andato sul riconoscere l'altro. Tra tutti i membri del gruppo forse Gianluca è quello con i caratteri fisiognomici più simili ai miei. Tuttavia il mio pensiero non si è soffermato sulle uguaglianze ma sulla diversità. Mi è piaciuto riconoscermi nell'altro e rispecchiarmi, non tanto per le somiglianze, ma per le differenze. In lui ho visto un fratello più giovane.

E Gianluca:
Anche sull'onda delle sensazioni provate nella meditazione della cascata, ho ritrovato un senso

di "famiglia" nell'attività dello sguardo in cui ho interagito con Alessandro. In lui ho intravisto un senso di autorevolezza, quasi di austerità che però non sconfinava nell'ostilità, ma anzi in un senso di accoglienza tipicamente familiare. La sensazione di "casa" è stata ancora più intensa quando abbiamo iniziato a sorridere, scoprendo una complicità "fraterna". Vista la differenza di età non troppo ampia e anche la considerazione di alcuni tratti fisici simili, mi è venuto naturale proiettare su di lui la figura di un fratello maggiore, un punto di riferimento che non ho avuto. Ho immaginato che fosse, calato nella natura e nel suono della cascata che mi ha ricordato l'infanzia, un modello maschile forte e autorevole, ma anche compagno di nuove scoperte e momenti di svago.

Non è mancato in questo gioco di sguardi, l’irrompere del comico, quando Paolo che sta fissando Gianmaria con sguardo serio si scusa per aver distratto gli occhi per osservare gli altri e Gianmaria scoppia in una sonora e divertita risata!

Ho voluto descrivere in modo dettagliato l’esperienza dello sguardo perché da tutti è stata vissuta come il momento più forte e intenso della nostra uscita. Il bosco con il torrente, il fruscio del vento, il canto degli uccelli, ma anche l’esperienza vissuta insieme in questi anni, hanno favorito la comparsa di un’energia particolare di tipo maschile che attivato due sentimenti molto forti di paternità e di fratellanza.

Carichi di questa energia scendiamo lungo il sentiero e torniamo sul prato, dove ci aspetta il rito dell’Inipi.

La preparazione è molto lunga. Bigio e Cecil hanno già costruito la capanna che si presenta come una semisfera con meridiani e paralleli fatti da tronchi sottili. In verità, come intuisce Alessandro in una specie di visione che ha durante il rito, la capanna ha anche una parte sotto terra che completa quella visibile. Cecil raccomanda infatti a Bigio, mentre la costruiscono, di pensarla come una sfera, di intravedere le linee sotterranee del disegno. Il cielo e la terra, nella visione degli indiani si completano e richiamano l’un l’altro, come il maschile e il femminile.

Le donne ricoprono la capanna di coperte e di pelli. Noi portiamo la legna raccogliendo nel bosco alberi secchi, con tronchi dal diametro di 8/10 centimetri che tagliamo con una sega a motore. Cecil poi inizia a disporre la catasta da accendere, su cui posiziona delle pietre abbastanza grandi che vengono ricoperte da altra legna disposta a capanna. Dal momento in cui viene acceso il fuoco non è più possibile scattare fotografie. Ci vuole parecchio tempo perché le pietre raggiungano una temperatura molto alta. Finalmente entriamo nella capanna: prima le donne e poi gli uomini formando all’interno due cerchi concentrici.

Cecil parla del suo popolo, dell’acqua che manca, dei fiumi inquinati dall’uranio e della bellezza della Val Saviore, con i suoi ruscelli e torrenti ricchi d’acqua. Ringrazia Bigio chiamandolo fratello, ringrazia Marinella e chiede loro di parlare. Ci spiegano che il rito è dedicato all’acqua, simbolo potente di rigenerazione, abbondanza e felicità. Bigio ricorda l’acqua fossile, che depositata da millenni nelle profondità della terra, costituisce una preziosa risorsa non rinnovabile. Nel corso del rito verrà chiesto a tutti di esprimere, se vogliono, un pensiero. L’acqua per me, dirò, è simbolo dell’inconscio e anche, nel battesimo, di rinascita.

Alcune pietre sono poste al centro della capanna e su di esse ogni tanto, secondo un rituale che non conosciamo, viene versata dell’acqua, con un mestolo che la prende da un paiolo di rame. Il calore è molto forte e qualcuno uscirà prima della fine. Ci è stato infatti raccomandato di uscire nel caso non ci sentissimo pienamente in forma. Su questa esperienza riporto le testimonianze di Armando e Vincenzo:

Armando:

Questa esperienza, lo confesso, non mi ha convinto appieno. Non per l'esperienza in sé, sia chiaro. Anzi, tutti i preparativi, la sua costruzione, i canti e i suoni di tamburo che l'hanno accompagnata sono stati un motivo di curiosità e di interesse. Ma proprio questo è il punto. Curiosità e interesse non bastano. Per le tribù dei Sioux Lakota si tratta di un'esperienza di contatto col Sacro, un rito di preghiera per immergersi nello Spirito, esperienza non facile, per chi a quella cultura è estraneo. Per avvicinarcisi almeno un poco, sarebbe occorso più tempo di meditazione, maggiore possibilità di immersione in quel tipo di spiritualità, evidentemente diversa dalla nostra. Avrei da fare anche un'osservazione sulla cerimonia in sé, o meglio sulle parole con cui, già all'interno della capanna, è stata introdotta. Cecil ha detto una cosa bellissima quando, parlando dell'acqua come elemento essenziale della vita (siamo fatti in gran parte d'acqua, ha soggiunto), ha anche ricordato che l'acqua viene dal suolo, ma che per diffondere i suoi benefici all'umanità tutta ,deve risalire in cielo per poi ricadere sulla terra. Io l'ho inteso come se per dispensare quei benefici, l'elemento materiale femminile (l'acqua) abbisognasse di salire in cielo, sede dello spirito maschile, per essere metaforicamente fecondato prima di riprecipitare su noi tutti. Però Cecil ha anche detto che con quella cerimonia intendeva mettersi in comunicazione/connessione col popolo Maori che, ha ricordato, ha una struttura matriarcale. Ora, io propendo a leggere il richiamo al matriarcale dal punto di vista non tanto sociologico quanto psicologico, ma non cambia poi molto. Qui probabilmente, entrano in gioco le concezioni trascendenti del Sacro (le nostre) e quelle immanenti (le loro) che facilmente possono, a mio parere, sfociare in una sacralizzazione di Gea, la madre terra, vista come organismo vivente e come in sé bastante a esprimere il concetto di Sacro, che quindi sarebbe di natura essenzialmente femminile, il che ci riporta a un discorso più generale su Campo maschile e sull’importanza del suo costituirsi come luogo separato dal femminile per una ricerca autentica sul ruolo dell’identità maschile, fondamentale anche in rapporto al tema del Sacro.

Vincenzo:

Il tema del coraggio, che avevo già sperimentato nello sguardo, è ritornato anche durante l’INIPI. All’inizio temevo di non farcela, la temperatura nella capanna era molto alta e non mi aiutava a respirare bene. Poi sono riuscito ad adattarmi alla situazione, mi hanno aiutato i canti e la forte connessione con gli altri. È stata inoltre di incoraggiamento la preghiera per l’acqua e il suo significato simbolico.

Le immagini evocate sono nate proprio dal superamento delle difficoltà fisiche: ho visto i miei bambini correre liberamente, il più grande avanti e quello più piccolo dietro, circondati da una luce intensa e calda. Poi, meravigliosamente è apparsa l’immagine di Gesù; un Gesù semi nudo, sporco di terra e grondante di sudore. Un po’ come lo eravamo noi in quel momento. Un Gesù umano, terreno, vicino a noi; che ci purifica con l’acqua e che condivide il pane e il vino. Un Gesù che intraprende un percorso scomodo, difficoltoso, controcorrente. Un Gesù che ci invita a essere “noi stessi”, anche se questo a volte può esporci alla distanza dagli altri. Mi sono sentito accolto da Cecil, il quale sulla scia della rivelazione delle mie immagini, ha raccontato della sua relazione con il Cristo.

Ho colto il messaggio di avere il coraggio di credere nelle proprie idee – che poi sono le nostre immagini che ci connettono con il mondo - e di cercare di essere il più possibile coerenti con esse. Oggi sono ancora più consapevole del fatto che è anche per un motivo ideale che mi sono avvicinato all’esperienza di Campo Maschile.

Per Federico la presenza delle donne nella Capanna, ha contribuito a mostrare il carattere complementare dei due generi, maschile e femminile che, nella loro diversa identità si completano a vicenda.

Terminato il rito, piuttosto stremati siamo usciti dalla capanna e scesi al torrente ci siamo rinfrescati, meglio raggelati, nell’acqua corrente. L’acqua ha mostrato così il suo valore fondamentale!

La nostra esperienza è terminata in questo incontro tra fuoco e acqua. Ci avviamo verso la casa che ci ha ospitato e sul far della sera iniziamo la strada del ritorno.
A sera Alessandro F accompagna gli amici che sono venuti da fuori Brescia a

visitare il centro della città, partendo dal Foro romano. La serata si conclude in pizzeria dove si avverte l’amicizia e l’intimità che l’esperienza vissuta insieme ha lasciato nei presenti.

Brescia 26 giugno 2017 Paolo Ferliga