Eluana 1

Dalla lista di discussione dei Maschi Selvatici.

Abbiamo deciso di offrire ai visitatori del sito la lettura dei messaggi più significativi fra i tanti che ci siamo scambiati intorno alla vicenda di Eluana Englaro. L’interesse e la passione dei Maschi Selvatici su un fatto che ha smosso le coscenze di tutti sono sempre stati alti fin dall’estate, da quando cioè il provvedimento della magistratura che autorizzava il distacco del sondino divenne esecutivo e chiara si manifestò la volontà definitiva del padre di procedere in tal senso. In quel periodo alcune associazioni promossero l’iniziativa simbolica di portare bottiglie di acqua sul sagrato del Duomo di Milano, a significare che, al di là delle intenzioni soggettive, far morire una persona per fame e sete, rappresenta comunque una ferita nella coscienza collettiva di un intero popolo, con conseguenze potenzialmente devastanti. Per questo la rassegna dei messaggi inizia da quel periodo, con la naturale accelerazione nel mese di Febbraio 2009, quando la vicenda si è avviata a conclusione. I lettori vorranno scusarci se non sempre la consequenzialità dei messaggi è evidente, o se leggendoli si avvertono riferimenti ad antefatti non specificati. Riteniamo comunque di essere riusciti nell’insieme ad offrire uno spaccato degli umori, dei ragionamenti, delle riflessioni che muovono questo gruppo di uomini che da sempre ha trovato il suo cemento nell’attenzione alle ragioni della vita.


Luglio 2008
Mi rendo conto della complessità della situazione. Ma se questo padre che vuole staccare la spina mi suscita pietà, tuttavia mi ripugna il suo gesto di rifiutare le cure alla figlia che per questo morirà. E mi ripugnano i giudici che autorizzano questo rifiuto. E i medici che lo attueranno. E chi fa, sul caso, del raziocinare astratto e “civile” sul bene e sulla giustizia che poi si traduce in atti di ferocia barbarica. Che restano, tragico passo e tragico peso, nella memoria di un popolo. Atto feroce e barbarico contro Eluana e chi l’assiste con amore e contro tutti quelli che assistono con amore i loro congiunti nelle medesime condizioni e si aprono alla relazione con l’altro che incarna una dimensione misteriosa e insondabile. Ne parlano come di una relazione che consente una esperienza di profondissima di umanità. Eluana è una figlia amata da chi l’assiste da sempre, in nome di tutti noi, sollevando il padre da ogni peso per l’assistenza. Una nostra figlia e pertanto figlia anche mia. Una figlia che è in uno stato di non consapevolezza misterioso che nessuna TAC, nessuna scienza può sondare. Ma che sappiamo essere accolto e interrogato istante per istante dall’amore umano di chi l’assiste. E per chi ha fede dall’amore di Dio. Si può sondare l’anima con una TAC? Come destinare Eluana per le nostre ipotesi “scientifiche” ad essere distrutta, giorno dopo giorno, sulla via di un calvario di cui nulla sapremo mai? Distrutta dal nostro rifiuto di dargli da bere e da mangiare se pur tramite un sondino e non richiesti? Da selvatico e da papà, l’acqua sul sagrato del Duomo di Milano idealmente a Eluana io gliela porto. E se posso anche di persona. Intuisco che attraverso il destino che riserviamo a Eluana passa tanta parte del nostro.
Cesare


Novembre 2008
Occorre rispettare e amare la creazione tutta con tutte le forze, tutte le speranze, tutta la fede di cui siamo capaci!
Occorre amarla Eluana nel mistero di quel dolore. Rispettare quel padre così immerso nel dolore da perdersi nella disperazione.

Prendere le distanze, così almeno faccio io, dal cinismo che impera.....ieri sera alle Invasioni Barbariche Corrado Augias -che offre il suo tempo a fare la scentigrafia in maniera ideologica alla storia di Cristo-
ha fatto diventare Peppino il padre di Eluana "per la scelta che ha fatto un eroe civile".

Prendere le distanze in maniera chiara netta per offrire ai ragazzi una passione per la vita dove offrirsi tutti!
Davide


Per quanto mi riguarda credo che il valore indisponibile della vita vada al di là (se è possibile dirlo) della fede. Si tratta di una questione antropologica che attiene all'archetipo del selvatico che per sua natura tende a salvare e custodire la vita nella sua dimensione naturale. Nel caso di Eluana, visto che non si tratta di accanimento terapeutico ma di somministrazione di alimenti, mi sembra che l'atteggiamento selvatico si quello di chi sostiene la necessità di conservare con amore la vita di Eluana.
Certo questa scelta apre una riflessione profonda sul senso e sul valore della vita a cui non sono sicuro che il pensiero laico e desacralizzato sia in grado di rispondere. Il rischio è che se non si crede davvero al valore sacro, e perciò non disponibile in quanto non dipendente da noi, della vita, è difficile comprendere perchè, anche in una situazione limite come quella di Eluana, la vita valga la pena (in questo caso apparentemente insopportabile) di essere vissuta.
Paolo F.


Febbraio 2009

Eluana respira con i suoi polmoni. Eluana non è attaccata a nessuna macchina. Eluana deglutisce autonomamente saliva. Dall'anno scorso a Eluana è tornato il ciclo mestruale.
È vero, Eluana viene nutrita grazie ad un sondino naso-gastrico in ospedale, quindi con la firma di medici, ma almeno 2500 persone in Italia vengono alimentate nello stesso modo a casa propria da parenti.

Le suore della Misericordia che l'hanno amata e assistita per 16 anni hanno dato disponibilità ad assisterla ancora prendendosi anche la responsabilità di tutti gli oneri.

Perché allora si è deciso di ammazzarla?

Secondo i medici Eluana morirà lentamente, ci vorranno due settimane. Morirà in una clinica che anche nel nome ricorda l'ambizione massima di una vita senza Dio, la quiete.
La quiete noiosa di un uomo bambino che crede di essere padrone della vita e della morte.
Detto questo: Eluana se verrà ammazzato andrà tra le braccia del Padre, in quel Luogo dove non è luogo, in quel Silenzio d'amore sarà tutta amata
Davide


Ancora non riesco a capire perché nessuno si pone il problema che, diritto di morire per diritto di morire, tanto varrebbe darle il diritto di morire mediante una iniezione di tiopentale seguita da un curarizzante.
Pochi minuti privi di dolore al posto di quindici giorni durante i quali nessuno può escludere sofferenze anche terribili, visto che quello è un organismo che morirà di fame e di sete.
Se fossi l'anestesista e fossi convinto che Eluana ha diritto a morire, chiederei di farle fare questo terribile passaggio appunto in pochi minuti e senza sofferenze.
E ripeto: se non lo fanno è proprio perché ammettono che sarebbe un darle la morte.
Con la procedura scelta ora, le tolgono la vita - il che è molto più mistificabile.
GG


Summum ius, summa iniuria. L’escamotage legale adottato dai giudici è quello della “sospensione dei trattamenti medici”, che in effetti è un diritto di ognuno, e che hanno presupposto che Eluana avrebbe voluto. L’iniezione letale è senz’altro meno atroce, ma è più difficile farla passare per qualcosa di diverso da un omicidio del (presunto) consenziente.
Max


È chiaro che la scelta di interrompere l'alimentazione invece che ucciderla con il curaro è una scelta ipocrita che passa da un sofisma dialettico mistificato e mistificante: "sospendere le terapie", laddove si sospende la nutrizione.
Però c'è qui la prova che di assassinio di essere vivente si tratta.

Con un'aggravante: le tolgono pure il diritto a morire senza dolore e in pace, con la scusa di rispettare la volontà.
Ma è proprio il silenzio su questo aspetto dell'eutanasia che andrebbe infranto.

Perché farla morire di fame e di sete impiegandoci quindici giorni, quando basterebbero due iniezioni e pochi minuti senza sofferenza?

GG


Questo è un commento apparso sul Forum del Corriere della Sera relativo al caso Englaro.
Lo trovo agghiacciante: chi parla è un individuo ora paralizzato ma in grado di esprimersi mediante pc, ma che è stato in "stato vegetativo" per mesi.
In realtà sentiva e capiva tutto.
Agghiacciante, almeno da un punto di vista: quando si parla di "stato vegetativo" i medici non possono avere la certezza (e questo racconto ne è la prova) che quello che credono di capire è quello che davvero sta accadendo.

GG

La mia storia

4.2|11:23
E.Giufà. Ho quasi 43 anni e sono stato vittima di un incidente stradale (come Eluana Englaro Glaswos Coma scale di 3-4 grado) avvenuto a Catania l'11 settembre del 2003, riportando danni assonali diffusi, interessanti anche la ragione ponto-mesencefalica, ed entrando in coma, successivamente trapassando lo stato vegetativo permanente. Ho vissuto nell'incubo per quasi due anni: nel 2005, mi risveglio e riesco a raccontare che io sentivo e capivo tutto. Durante il mio stato vegetativo io avvertivo e sentivo di avere fame e sete, non avvertivo solamente il sapore del cibo, Finalmente oggi riesco a sentire il sapore del cibo perché riesco ad essere nutrito dalla bocca (fino ad oggi sono portatore di PEG). Io sentivo ma nessuno mi capiva. Sentivo i medici parlare di stato vegetativo permanente ed irreversibile. Io riesco a comunicare tramite un computer, selezionando con gli occhi le lettere sullo schermo. Oggi dopo quasi 5 anni vivo da paralizzato, la mia patologia è quella che si chiama sindrome assimilabile alla Loked.in. Raccontai la mia storia anche a Piergiorgio Welby, supplicandolo di lottare per la vita. Il mio è il pensiero semplice di chi ha sperimentato indicibili sofferenze fisiche e psicologiche, di chi è arrivato a sfiorare il baratro oltre la vita, di chi è stato lungamente giudicato dalla scienza di mezza Europa un vegetale senza possibile ritorno tra gli uomini. Ringrazio i miei cari che, soli contro tutti, non si sono mai stancati di tenere accesa la fiammella della comunicazione con questo mio corpo martoriato. Ringrazio chi, anche durante la mia "vita vegetale", mi parlava come uomo, mi confortava come amico, mi amava come figlio, come fratello, come padre. Salvatore Crisafulli


Grazie Gaetano! Il punto è proprio quella fiammella che non è di proprietà dell'uomo, il Padre accende e spegne anche le stelle.
Davide


Oggi suI Corriere della sera una presa di posizione netta di Enzo Jannacci, medico laico e di sx, vivaddio in controtendenza.
Armando
«La vita è importante anche quando è inerme e indifesa. Fosse mio figlio mi basterebbe un battito di ciglio»

Ci vorrebbe una carezza del Nazareno» dice a un certo punto, e non è per niente una frase buttata lì, nella sua voce non c'è nemmeno un filo dell'ironia che da cinquant'anni rende inconfondibili le sue canzoni. Di fronte a Eluana e a chi è nelle sue condizioni — «persone vive solo in apparenza, ma vive » — Enzo Jannacci, «ateo laico molto imprudente», invoca il Cristo perché lui, come medico, si sente soltanto di alzare le braccia: «Non staccherei mai una spina e mai sospenderei l'alimentazione a un paziente: interrompere una vita è allucinante e bestiale».

È un discorso che vale anche nei confronti di chi ha trascorso diciassette anni in stato vegetativo? «Sono tanti, lo so, ma valgono per noi, e non sappiamo nulla di come sono vissuti da una persona in coma vigile. Nessuno può entrare nel loro sonno misterioso e dirci cosa sia davvero, perciò non è giusto misurarlo con il tempo dei nostri orologi. Ecco perché vale sempre la pena di aspettare: quando e se sarà il momento, le cellule del paziente moriranno da sole. E poi non dobbiamo dimenticarci che la medicina è una cosa meravigliosa, in grado di fare progressi straordinari e inattesi».

Ma una volta che il cervello non reagisce più, l'attesa non rischia di essere inutile? «Piano, piano... inutile? Cervello morto? Si usano queste espressioni troppo alla leggera. Se si trattasse di mio figlio basterebbe un solo battito delle ciglia a farmelo sentire vivo. Non sopporterei l'idea di non potergli più stare accanto».
Sono considerazioni di un genitore o di un medico? «Io da medico ragiono esattamente così: la vita è sempre importante, non soltanto quando è attraente ed emozionante, ma anche se si presenta inerme e indifesa. L'esistenza è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso, sempre e comunque. Decidere di interromperla in un ospedale non è come fare una tracheotomia...».
Cosa si sentirebbe di dire a Beppino Englaro? «Bisogna stare molto vicini a questo padre».
Non pensa che ci possano essere delle situazioni in cui una persona abbia il diritto di anticipare la propria morte? «Sì, quando il paziente soffre terribilmente e la medicina non riesce più ad alleviare il dolore. Ma anche in quel caso non vorrei mai essere io a dover "staccare una spina": sono un vigliacco e confido nel fatto che ci siano medici più coraggiosi di me».

Come affronterebbe un paziente infermo che non ritiene più dignitosa la sua esistenza? «Cercherei di convincerlo che la dignità non dipende dal proprio stato di salute ma sta nel coraggio con cui si affronta il destino. E poi direi alla sua famiglia e ai suoi amici che chi percepisce solitudine intorno a sé si arrende prima. Parlo per esperienza: conosco decide di ragazzi meravigliosi che riescono a vivere, ad amare e a farsi amare anche se devono invecchiare su un letto o una carrozzina».
Quarant'anni fa la pensava allo stesso modo? «Alla fine degli anni Sessanta andai a specializzarmi in cardiochirurgia negli Stati Uniti. In reparto mi rimproveravano: "Lei si innamora dei pazienti, li va a trovare troppo di frequente e si interessa di cose che non c'entrano con la terapia: i dottori sono tecnici, per tutto il resto ci sono gli psicologi e i preti". Decisero di mandarmi a lavorare in rianimazione, "così può attaccarsi a loro finché vuole"... ecco, stare dove la vita è ridotta a un filo sottile è traumatico ma può insegnare parecchie cose a un dottore. C'è anche dell'altro, però».

Che cosa? «In questi ultimi anni la figura del Cristo è diventata per me fondamentale: è il pensiero della sua fine in croce a rendermi impossibile anche solo l'idea di aiutare qualcuno a morire. Se il Nazareno tornasse ci prenderebbe a sberle tutti quanti. Ce lo meritiamo, eccome, però avremmo così tanto bisogno di una sua carezza».

È una posizione splendida, quella di Jannacci.
Mi ci ritrovo pienamente. E, per quanto riguarda l'aspetto etico-professionale, sono sempre più stupito che ci siano medici che non la pensino come lui.
Da un punto di vista di chi cura, mi sembra l'unica possibile.
Per non parlare del punto di vista del padre: tra l'altro, lui implicitamente fa coincidere il ruolo del medico con quello del padre.
Da leggere e studiare.
GG


Cari amici,
sono totalmente in disaccordo con il pensiero predominante del gruppo.
Se un padre chiede di lasciare morire una figlia, impiega 17 anni per avere una sentenza definitiva, sopporta quanto stanno facendo in Italia coloro che la pensano in modo diverso (ma non vivono in prima persona la sofferenza come la vive il sig. Peppino Englaro), subisce le angherie del governo, vuol dire che la figlia è di fatto già morta e che è terribile vederla in quello stato. Non posso dire che sia una sofferenza anche per Eluana perché credo che lei non si renda conto di nulla.
Quello che chiede il padre è quanto chiedono a noi medici i parenti delle persone novantenni che dopo un ictus devastante non hanno alcuna possibilità di ricominciare a vivere (dico ricominciare a vivere perché di fatto sono già morte), se continuassimo ad idratarle ed ad alimentarle continuerebbero a respirare per svariati altri giorni ed in cliniche specializzate probabilmente anche mesi o anni.
Non spetta a noi decidere quando spegnere l'ultima fiammella, ma per chi non crede in Dio, in casi come questo, diventa etico iniettarle un farmaco per spegnere l'ultimo barlume di vita in modo rapido e, senza dubbio, indolore.

Anche se sono un sostenitore di Berlusconi, trovo vergognoso ed altamente pericoloso quanto sta facendo sul caso Englaro, l'invio dei commissari nella clinica dove si trova Eluana mi fa pensare ai governi dittatoriali.
Per fortuna in Italia c'è Fini e Napolitano.
Antonio
p.s.
Se un comunista è il garante della costituzione e della giustizia vuol dire che la situazione in Italia è molto triste


Caro Antonio, non capisco il tuo ragionamento:

Se un padre chiede di lasciare morire una figlia, impiega 17 anni per avere una sentenza definitiva, sopporta quanto stanno facendo in Italia coloro che la pensano in modo diverso (ma non vivono in prima persona la sofferenza come la vive il sig. Peppino Englaro), subisce le angherie del governo, vuol dire che la figlia è di fatto già morta e che è terribile vederla in quello stato. Non posso dire che sia una sofferenza anche per Eluana perché credo che lei non si renda conto di nulla.

Sembra che l'essere viva o morta di Eluana dipenda dal sentire del padre. Vorrei che tu riflettessi sulle implicazioni di questa tua visione delle cose. La sofferenza del padre va capita e rispettata, ma non da essa può dipendere la decisione. Se la vita di una persona si fa dipendere dal sentimento di un'altra, si apre un'autostrada a qualsiasi arbitrio. Fra parentesi faccio notare che è lo stesso argomento usato alle volte per giustificare l'aborto: se la madre non "sente" il figlio, allora lo può sopprimere.
Della vicenda io ho capito questo:
Lo stato di coma persistente non è equiparabile alla morte cerebrale.
In Eluana sono compromesse le funzioni cerebrali ma non quelle corporee.
Di certo Eluana non da segnali sicuri di risposta agli stimoli, ma la scienza non è in grado di dire con certezza se una risposta non manifestabile esiste o no. Tanto che il "protocollo" (e vorrei far riflettere sul significato simbolico del linguaggio) di fine vita, prevede la sedazione onde evitare eventuali sofferenze alla donna durante la mancata idratazione e alimentazione. Ti stesso affermi che non credi, non che sei certo, che Eluana senta qualcosa. E nel dubbio è buona norma assolvere.
In ogni modo Eluana non soffre fisicamente.

Io non capisco come, stanti così le cose, si possa pensare di far morire una persona togliendole acqua e cibo. Mi sembra davvero crudele sotto ogni punto di vista.
Non giudico il padre e il suo dolore. Quel dolore va compreso e quel padre supportato, come hanno fatto per tanti anni le suore di Lecco. Di più, non credo stia agli uomini giudicare la coscienza di quei familiari che arrivano a sopprimere un figlio o un genitore sofferente, e penso che la giustizia, accertata nelle umane possibilità la buona fede e l'autenticità della sofferenza di costoro, debba essere clemente.
Quello che però non si può e non si deve chiedere alla Comunità, e che la Comunità mai dovrebbe fare, è che lo Stato sancisca il principio che la morte si può dare, e che si certifichi per legge quando la vita sia o non sia degna di essere vissuta. Lo Stato deve sancire un limite simbolico non valicabile senza il quale tutto sarà possibile in un futuro più vicino di quanto si pensi: Non uccidere. E lasciare il resto alle coscienze individuali, tenendo conto, come dicevo, delle situazioni di dolore e di strazio in cui certe vicende si consumano.
Tutto il resto, dalle ispezioni alla Costituzione, credimi, è contorno ininfluente. Robe di forma, non di sostanza, e guai quando in omaggio alla forma si intacca la sostanza. Prova ne sia che la diatriba sulla costituzionalità o meno del decreto legge e le polemiche sull'invio degli ispettori, questioni come sempre opinabili, nonostante sia mascherata da pareri giuridici riflette di fatto la divisione fra i favorevoli allo stacco della spina e i contrari. Chiaro segno che non quello è il punto ma altro, e di ben diversa portata.
Al contrario di te, io non sono un sostenitore di Berlusconi, ma per qualsiasi motivo lo abbia detto, quando oggi ha sostenuto che si stanno confrontando due diverse e visioni del mondo, una che concepisce uno stato che si prefigga perfino di regolamentare la morte (e dunque si sostituisca alla coscienza ed alla responsabilità dell'individuo) ed una che rifiuta questa invadenza dello Stato limitando il suo campo d'azione al rispetto dei diritti naturali di ciascuno, ha perfettamente ragione.
Credo anche che queste questioni, la bioetica, la vita e la morte, nel momento in cui la tecnica rende ormai possibili cose fino a qualche anno orsono impensabili, costituiscano la vera frontiera e il vero discrimine della politica. Insomma, non si può stare uniti nello stesso schieramento sulla rottamazione delle auto e dividersi sulla "rottamazione della vita umana". C'è davvero qualcosa che non torna.
Armando

PS: Il Manifesto di oggi titolava: IN NOME DEL PADRE con una foto del padre di Eluana. Il manifesto, lo ricordo per chi ancora non era fra noi, è il giornale che si è rifiutato di pubblicare una nostra lettera molto seria e circostanziata che poneva la questione paterna. È il giornale che quando parla del padre lo fa sempre in tono denigratorio come oppressore (patriarcato etc. etc....), sempre! Oggi fa quel titolo, proprio quando un padre, e ripeto che non lo giudico, si batte per la morte della figlia. Ogni commento è superfluo, credo.


Caro collega,
non sono d'accordo con le premesse da cui ti muovi nella disamina clinica del caso, che è quella che poi ti porta alla conclusione che Eluana ha diritto a vedersi finita per sottrazione di nutrienti e liquidi.

Il paziente novantenne in ictus cerebrale, si sta avviando a una morte cerebrale, se già non è cerebralmente morto.
Ma questo è uno stato clinico - e anatomo-patologico - che non coincide affatto con lo stato vegetativo in cui si trova Eluana, che ha 39 anni. La vicenda Crisafulli, da questo punto di vista, dovrebbe quantomeno far porre il dubbio clinico che lo stato vegetativo (capisco l'obiezione: dopo i dieci anni non si risveglia nessuno. Ma è una obiezione che non mi basta, perché rispondo: sino ad ora) non è definitivo e comunque è "vita".
Solo ed esclusivamente per chiarirlo a quanti fra noi non sono medici - e non certo per ricordarlo a te che do per certo mi puoi insegnare moltissimo sull'argomento - riporto qui quanto - cito il Corriere della Sera - il responsabile del centro nazionale trapianti del ministero del Welfare, Alessandro Nanni Costa, giovedì precisava, a proposito di alcune affermazioni riportate da organi di stampa e televisione, circa la differenza profonda tra il coma, lo stato vegetativo e la morte cerebrale. dopo che lo scorso novembre la commissione sugli stati vegetativi, nominata da Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare, aveva divulgato anch'essa un documento in proposito (soprattutto constatando che persino tra i medici vie erano imprecisioni e inesattezze al riguardo). Ecco quanto:

COMA – È una condizione clinica che deriva da un’alterazione del regolare funzionamento del cervello. Lo stato di coscienza è compromesso. Anche nei casi più gravi di coma le cellule cerebrali sono vive ed emettono un segnale elettrico che viene rilevato dall’elettroencefalogramma e altre metodiche. Esistono diversi stadi di coma, un processo dinamico che può regredire o progredire, e che dalla fase acuta può prolungarsi fino allo stato vegetativo. Siamo in presenza di pazienti vivi che devono ricevere ogni cura.
STATO VEGETATIVO – Le cellule cerebrali sono vive e mandano segnali elettrici evidenziati dall’elettroencefalogramma. Il paziente può respirare in modo autonomo, mantiene vivacità circolatoria, respiratoria e metabolica. Lo stato vegetativo non è mai irreversibile.
MORTE CEREBRALE – Le cellule cerebrali sono morte, non mandano segnale elettrico e l’elettroencefalogramma risulta piatto. Nella morte cerebrale il paziente perde in modo irreversibile la capacità di respirare e tutte le funzioni cerebrali, quindi non ha controllo delle funzioni vegetative (temperatura corporea, pressione arteriosa, diuresi).. Questa condizione coincide con la morte della persona.
LO STATO DI ELUANA – Lo chiarisce Alessandro Nanni Costa: «Il suo cervello pur avendo perso gran parte delle funzioni mantiene vitalità tale da rendere possibili la respirazione autonoma, l’attività circolatoria, quella metabolica e un controllo delle cosiddette funzioni vegetative (temperatura corporea, pressione arteriosa, diuresi)».
Margherita De Bac
06 febbraio 2009

D'altra parte, per porre fine alla vita del novantenne bastano poche omissioni terapeutiche: quando morì mia madre - 89 anni, parkinsoniana immobile, ormai priva di coscienza, broncopolmonite, entrata con 78 di saturazione di O2, poi rapidamente sceso a 74 e quindi a 71 - chiesi se avesse un senso attaccarla a un respiratore.
Al Gemelli di Roma, Università Cattolica, mi risposero di no. E mia madre morì nel giro di poche ore, mentre io le tenevo la mano, unico presente fra i parenti avvertiti dell'imminenza del decesso.
Quella desistenza terapeutica aveva un senso.

Il punto è - soprattutto se leggiamo le differenze tra i vari stati patologici di cui sopra - definire cosa intendiamo con il termine "vita": solo la capacità dell'Io di auto-determinarsi in relazione a una percezione completa del mondo?
Il fatto è che per noi, ormai, "Io" e "vita", coincidono. E secondo me non può essere - non drasticamente almeno - così.
Quanto al volere del padre, lo dico da medico ma anche da psicoterapeuta, a mio parere non può far testo, tanto più in una situazione così drammatica.
Personalmente ho visto, in venticinque anni di professione, non pochi genitori percorsi da volontà distruttive terribili, sia pure inconsce e non comprese nemmeno da loro stessi.
Non credo affatto, di conseguenza, che accettare con tutta tranquillità e, soprattutto, in piena scienza e coscienza, che a Eluana vengano sospesi idratazione e somministrazione di nutrienti, sia una idea assolutamente morale, ovvia e - soprattutto - coerente ad un dettato medico, almeno per quanto riguarda, come medico per di più totalmente agnostico, la mia coscienza.
GG