Il "politico" e la liquidazione del sacro
Paolo Ferliga e Paolo Marcon si confrontano sul Crocifisso all’indomani della sentenza dell’Aquila.
Paolo Marcon:
Ho letto tutta l’ordinanza (ordinanza del Tribunale di L’Aquila del 22.10.2003. NdR) e secondo me la frase chiave è la seguente:
“è in questione non solo la libertà di religione degli alunni, ma anche la neutralità di un’istituzione pubblica”.
Non mi stupisce che queste parole siano state pronunciate da un giudice "nel nome del popolo sovrano". Aveva capito tutto Carl Schmitt: non c'è nulla di più moderno della lotta contro il "politico", che viene per l'appunto neutralizzato, annichilito, fin nel suo fondamento.
E' questo ciò che spaventa: che nel caos della postmodernità il potere non sia più neutro, che possa ritrovare il suo fondamento, sacro.
Bisogna comprendere bene il significato delle Parole: “date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”.
Paolo Ferliga:
Per quanto mi riguarda concordo in linea di massima con le osservazioni del giudice perché ritengo che:
1) non si possa chiedere allo Stato, che è dentro fino in fondo al processo di secolarizzazione e quindi al processo di liquidazione del sacro, di garantire quella sacralità che pertiene ad un altro ordine, quello appunto della religione e di Dio;
2) è nella scelta libera individuale e nella vita della Comunità che il Crocifisso esprime il suo valore sacro e simbolico;
3) dire che il Crocifisso esprime i valori dello stato e della nostra identità nazionale mi sembra blasfemo, mentre è vero che il Cristianesimo sta nelle radici della nostra cultura;
4) che tutti i politici (con poche eccezioni), Presidente della Repubblica in testa si siano gettati a condannare l'operato del giudice (invece di entrare nel merito della questione) mostra la crisi disperante di identità che una cultura priva di rapporto col sacro esprime! Si attaccano al Crocifisso perché non sanno a che altro attaccarsi. Non ultimo Adornato che dice che il Crocifisso è il simbolo della laicità dello stato! Sarebbe meglio richiamarsi al valore della bandiera, per cui almeno qualcuno dei nostri nonni ha dato la vita.
5) Mi hanno colpito i discorsi sentiti al bar che chiedono di farla pagare (rendere la vita impossibile) allo Smith. Il clima era tale per cui nessuno osava dire il contrario. Nemmeno che lo Smith ha chiesto di togliere il Crocifisso dopo che era stata tolta dalla parete una Sura del Corano. Il giudice poi andrebbe immediatamente sospeso.
Certo, dietro la difesa del Crocifisso nelle aule si nasconde a livello di massa una richiesta di identità, ma mi sembra una richiesta per la quale nessuno, come accade quasi sempre nei movimenti di massa, è disposto a pagare il prezzo che difendere l'identità richiede.
Paolo Ferliga:
Per quanto mi riguarda concordo in linea di massima con le osservazioni del giudice perché ritengo che:
1) non si possa chiedere allo Stato, che è dentro fino in fondo al processo di secolarizzazione e quindi al processo di liquidazione del sacro, di garantire quella sacralità che pertiene ad un altro ordine, quello appunto della religione e di Dio;
2) è nella scelta libera individuale e nella vita della Comunità che il Crocifisso esprime il suo valore sacro e simbolico;
3) dire che il Crocifisso esprime i valori dello stato e della nostra identità nazionale mi sembra blasfemo, mentre è vero che il Cristianesimo sta nelle radici della nostra cultura;
4) che tutti i politici (con poche eccezioni), Presidente della Repubblica in testa si siano gettati a condannare l'operato del giudice (invece di entrare nel merito della questione) mostra la crisi disperante di identità che una cultura priva di rapporto col sacro esprime! Si attaccano al Crocifisso perché non sanno a che altro attaccarsi. Non ultimo Adornato che dice che il Crocifisso è il simbolo della laicità dello stato! Sarebbe meglio richiamarsi al valore della bandiera, per cui almeno qualcuno dei nostri nonni ha dato la vita.
5) Mi hanno colpito i discorsi sentiti al bar che chiedono di farla pagare (rendere la vita impossibile) allo Smith. Il clima era tale per cui nessuno osava dire il contrario. Nemmeno che lo Smith ha chiesto di togliere il Crocifisso dopo che era stata tolta dalla parete una Sura del Corano. Il giudice poi andrebbe immediatamente sospeso.
Certo, dietro la difesa del Crocifisso nelle aule si nasconde a livello di massa una richiesta di identità, ma mi sembra una richiesta per la quale nessuno, come accade quasi sempre nei movimenti di massa, è disposto a pagare il prezzo che difendere l'identità richiede.
Paolo Marcon:
[…] a me sembra palese che qui non siano in gioco "soltanto" le nostre radici cristiane, ma qualcosa di più universale, il nucleo dello "stare nel mondo" - ed in Comunità - dell'uomo per millenni.
Al muro senza nulla da attaccare si arriva nel nome della "tolleranza", dell'astrazione del potere, attraverso lo Stato moderno, la Grande Fabbrica (Weber), l'oggetto nichilistico (Jünger). Questo per me è un punto cruciale, proprio di tutto il lavoro sul Selvatico (per come lo sento io).
Dopodiché io sono apertissimo (e desidero com-prendere) lo "spirito del tempo", però se non si dà un fondamento autenticamente sacro (non la bandiera o la resistenza) allo spazio pubblico, al "politico", dobbiamo accontentarci dei comitati di bioetica e delle solenni dichiarazioni di astratti diritti (sempre intercambiabili), e addio Legge di Natura.
Paolo Ferliga:
Quello che penso rispetto al muro bianco è che questo è l'orizzonte dello Stato moderno. Credo che l'unica alternativa sia quella dello Stato etico.
Io preferisco che lo Stato, il grande mostro di cui parlano Hobbes e Nietzsche sia il più leggero possibile, che svolga al meglio la sua funzione "burocratica" e basta! Non gli chiedo pertanto di farsi carico di simboli religiosi che attengono ad un altro ordine, quello del sacro.
Per quanto riguarda poi l'osservazione della realtà fattuale, da noi, nel bresciano, una delle province più legate alla tradizione cattolica, dove la Chiesa mantiene ancora una sua vitalità, a me pare che i crocifissi dalle aule scolastiche siano scomparsi da anni. Qui nessuno li sta togliendo perché non ci sono più da tempo. Mi riservo però di fare una verifica più attenta. Il destino dello stato laico si è quindi pienamente compiuto da tempo...
Paolo Marcon:
Tu dici: “Quello che penso rispetto al muro bianco è che questo è l’orizzonte dello Stato moderno”. Sono d'accordo.
“Credo che l'unica alternativa sia quella dello Stato etico”.
Qui invece, nella consapevolezza che si possono avere opinioni diverse con autorevolezze diverse, non concordo. Lo Stato etico è uno Stato moderno. L'alternativa (anche solo come "ideale" verso cui tendere) va cercata altrove, con uno sforzo di immaginazione.
“Io preferisco che lo Stato, il grande mostro di cui parlano Hobbes e Nietzsche sia il più leggero possibile, che svolga al meglio la sua funzione "burocratica” e basta!”
D'accordissimo: sarebbe meglio se addirittura lo Stato non esistesse, il Selvatico secondo me è tendenzialmente libertario.
“Non gli chiedo pertanto di farsi carico di simboli religiosi che attengono ad un altro ordine, quello del sacro”.
Qui ritorno a dissentire...non è vero che i simboli religiosi, ed il "sacro", attengono ad un altro ordine rispetto al "politico". Anzi è esattamente l'opposto, e non occorre andare in cerca di esotiche teocrazie per vederlo. Che la sfera del "politico", della vita della Comunità, sia strettamente legata al sacro, è talmente vero che ad es. secondo Schmitt persino gli ordinamenti politici attuali - che sono ciò di più distante che si possa immaginare dall'ordine elementare -, si nutrono di "concetti teologici secolarizzati".
Del resto, non dice nulla che la neutralizzazione del "politico", la nascita dello Stato moderno è simultanea alla secolarizzazione della società?
Basti guardare alla storia d'Occidente. Come hanno spiegato sia il "ghibellino" Evola sia il "guelfo" Guénon, lo Stato moderno origina dalla lotta fra Impero e Chiesa, lotta che di fatto li ha visti sconfitti entrambi (per la Chiesa naturalmente la "sconfitta" va messa tra virgolette, ma in termini di capacità di influenza della società...).
Non si dà Fallo (Dono) al Centro della Comunità, se il sacro rimane su un ordine meramente individuale.
Paolo Ferliga:
Tu dici:
1) Qui invece, nella consapevolezza che si possono avere opinioni diverse con autorevolezze diverse, non concordo. Lo Stato etico è uno Stato moderno. L'alternativa (anche solo come “ideale” verso cui tendere) va cercata altrove, con uno sforzo di immaginazione.
2)Qui ritorno a dissentire...non è vero che i simboli religiosi, ed il “sacro”, attengono ad un altro ordine rispetto al “politico”.
3)L'alternativa (anche solo come “ideale” verso cui tendere) va cercata altrove, con uno sforzo di immaginazione.
Caro Paolo
1) sullo stato etico forse non mi sono spiegato bene. Certo che anch'esso è un prodotto della modernità, basti pensare a come le teorie di Hegel sono filtrate nel fascismo anche attraverso riflessioni come quelle di Giovanni Gentile.
Volevo solo dire che nell'orizzonte dato, quello della modernità, allo stato etico, che si prefigge di realizzare cioè anche i valori morali, io preferisco lo stato (burocratico nel senso weberiano) leggero.
2) non ho detto che i simboli religiosi attengono ad un altro ordine rispetto al "politico", ma rispetto allo stato moderno, che quando si rapporta alla religione la subordina ai suoi fini come accade nella teoria di Hobbes. Io preferisco che lo stato moderno non si occupi di religione.
3) A me manca oggi l'immaginazione sufficiente per vedere la realizzabilità storica di una comunità in cui politico e sacro tornino a unirsi. Mi piacerebbe sapere da te, che spesso torni con intelligenza su questo tema, cosa ne pensi.
Paolo Marcon:
Innanzitutto grazie per l'attenzione e per la chiarezza con cui ti esprimi. Ho notato che spesso nei dialoghi tra selvatici nascono fraintendimenti dovuti alla confusione tra il piano delle strategie e quello delle tattiche, tra il piano delle scelte personali "nell'orizzonte dato della modernità" e quello del significato e del ruolo del movimento dei Maschi Selvatici. Credo sia importante evitare queste confusioni, perché sono disarticolanti (e ci fanno disperdere preziose energie).
Alcune considerazioni in ordine sparso e un tentativo di risposta al tragico quesito che, con delicatezza, mi poni al punto 3.
Prima di tutto registro con piacere che siamo d'accordo su molte cose, a cominciare dalla considerazione del fondamento sacro del "politico", della vita di Comunità. A dire il vero non ho ben capito se anche tu, come me, ritieni indispensabile, per uscire compiutamente dalla modernità antiselvatica, un nuovo incontro tra le forze espresse da simboli religiosi e gli organismi politici, per una nuova legittimazione del Potere e dell'Autorità (che nel suo etimo indoeuropeo indica precisamente l'atto di far sorgere qualcosa, di portarlo all'esistenza, e si riconnette pertanto ad una dimensione verticale - maschile - del fenomeno politico, che sfugge al "discorso" empirico/descrittivo). Io penso che buona parte dei contenuti del sacco che una grande fetta degli uomini e delle donne del mondo d'oggi si portano sulle spalle, sia data proprio dalla "Ombra collettiva", che difficilmente, come diceva tempo fa se non erro Maurizio Scaglia, potrà essere illuminata definitivamente per esempio con la psicoanalisi (anche se aiuta), senza modificare i canoni della vita collettiva stessa. E' come per l'educazione dei figli: tu ti sforzi continuamente, momento dopo momento, di insegnargli i valori in cui credi, poi appena mettono la testa fuori casa, si ritrovano bombardati di messaggi che vanno esattamente nella direzione contraria. Il Fallo, o sta al centro della Comunità (come principio sacro di Dono, che si esprime attraverso una simbologia religiosa), oppure è uno "svuotare il mare con il cucchiaio".
Con ciò non intendo affatto sottovalutare le straordinarie conquiste personali che si possono compiere attraverso la ricerca psicologica del Selvatico (di cui fra l'altro sono testimone), né tantomeno le azioni concrete del movimento: anzi, innalzo tutto ciò in un percorso che trascende le nostre vite e deve essere di Verità, e nutrirsi della radicalità del Selvatico (che come diceva Claudio non si può prendere a pezzi). Se io mi impegno per sostenere la riforma del diritto di famiglia lo faccio in questo orizzonte di senso (non in quello dato della modernità), perché altrimenti sarebbe una vittoria di Pirro: domani l'altro, a colpi di maggioranza, possono comunque ricambiarla di nuovo, quella legge, e così all'infinito in un circolo vizioso che va spezzato.
Vengo al punto 3:
io non solo credo nella possibilità della "realizzabilità storica di una comunità in cui politico e sacro tornino a unirsi", bensì ne sono certo, credo che ciò sia assolutamente sicuro, in qualche modo inevitabile. Se ci riflettiamo bene oggi siamo portati a credere a cose palesemente false. Soltanto per dirne una: sia i pro-global sia i critici della globalizzazione sono tutti d'accordo nel dire che essa è comunque inevitabile, quasi fosse un fenomeno naturale o divino... E lo dicono ancora oggi, quando ormai persino autorevoli politologi americani confermano che la globalizzazione è già fallita... Questa è, appunto, "immaginazione gregaria". E' nostro preciso dovere, invece, esercitare il dubbio nei confronti della politica di quelle menti che hanno preso il potere con il dubbio, decretando poi che il dubbio nei loro confronti è sacrilegio. Come dice Jünger, poi, il dubbio dona la speranza, che di per se stessa è una potenza, perché incrina il nichilismo.
Figurati, poi, se non dovremmo credere nel riavvicinamento dell'umanità all'ordine elementare della realtà, che significa ritornare sul sentiero da cui abbiamo deviato, tornare alla condizione normale dell'umanità nel mondo. Ci sono anche ragioni psicologiche per essere ottimisti: quegli istinti vitali che agiscono nell'uomo malato, appartengono secondo me anche a collettività malate (vedi la legge dell'enantiodromia). Ad ogni modo, a scanso di equivoci, non penso affatto che tale realizzazione porterà il Paradiso in Terra (questa convinzione è roba da utopisti sradicati ed ideologici), né che il male verrà cancellato dal mondo, ovviamente, neppure che tutte le "conquiste della modernità" saranno rinnegate, per una riedizione del Medioevo. L'umanità sarà semplicemente più vicina alla sua condizione naturale, normale, ed anche il Diritto avrà ritrovato il suo fondamento.
Naturalmente tale realizzazione storica non la vedranno né gli aspiranti Selvatici del 2003 né i loro figli né i figli dei loro figli (anche se non escludo accelerazioni, esperimenti e, sopra tutto, miracoli). Però nostro dovere (il nostro onore) è la consapevolezza integrale del sacro; custodire questo segreto nel Bosco, e, di tanto in tanto, portarlo fuori, con la moderazione e la sapienza che ci sono possibili, nelle scorribande notturne, come veleno - che è farmaco. L'intento operativo, tra l'altro, può essere quello di "allargare la piattaforma del linguaggio" (vedi P.M. van Buren, Alle frontiere del linguaggio). Oltretutto ciò è molto divertente: significa mettersi, con umiltà, sulla strada che è stata dei mistici, dei poeti, stare ai margini dei recinti storici e culturali, e giocare lì la nostra partita. Indubbiamente, come è stato osservato, così facendo si rischia di cadere dalla piattaforma, cioè cadere nel nulla, ma la nostra battaglia è lì, e ce ne assumiamo la responsabilità ("sull'orlo di quest'abisso combatto la mia battaglia", E. Jünger). D'altro canto è già importante che questa verità si diffonda tra i credenti, e che se ne parli. Mi pare che lo insegni anche la psicoanalisi: a nominare correttamente una determinata situazione patologica, si è già un passo avanti verso la guarigione...
Secondo me una prospettiva di questo tipo ci consente inoltre di percepire meglio la realtà, e quindi anche ciò che di molto buono c'è nelle nostre vite, e di cogliere e valorizzare con il loro giusto senso le esperienze positive che comunque ci sono (e sono tante) che si possono vivere qui ed ora.
Stato e Crocifisso.
Caro Paolo, capisco la tua posizione su questo tema che secondo me è molto logica (come logiche e a suo modo più che corrette - da un punto di vista giuridico non so, ma ideologico-politico senz'altro) sono le argomentazioni del giudice che ha emanato la sentenza. Tuttavia io sono favorevole che il crocifisso rimanga negli edifici pubblici. Per varie ragioni. La prima è di fede, la seconda (che comunque è legata alla prima) è che credo nella forza numinosa dei simboli religiosi, che sono centri di energie, portatori del sacro, la cui potenza è, in fondo, insondabile... E poi perché, proprio in quanto Ribelli, selvatici postmoderni, è nostro compito, secondo me, combattere dietro le linee del nemico, fare emergere le contraddizioni degli attuali ordinamenti politici, operando azioni di sabotaggio. Ben venga, dunque, il Crocifisso nei locali di uno Stato secolarizzato. Benvenuta la proposta di cui si discute in Veneto di inserire nello Statuto Regionale l'obbligo di esposizione del Crocifisso nei locali pubblici. Anche così si spezzano le "logiche" di un potere senza cuore. Che finirà.
Paolo Ferliga:
quello che scrivi è molto bello, indica la presenza di un pensiero vitale che mi invita a sperare, anche se il mio sguardo continua ad essere più pessimista del tuo.
Il mio atteggiamento è ancora quello gramsciano: “Pessimismo della ragione e ottimismo della volontà” con tutte le difficoltà che da ciò derivano. A me sembra cioè molto difficile uscire dal nichilismo dell'epoca contemporanea!
Per quanto riguarda la tua domanda:
“A dire il vero non ho ben capito se anche tu, come me, ritieni indispensabile, per uscire compiutamente dalla modernità antiselvatica, un nuovo incontro tra le forze espresse da simboli religiosi e gli organismi politici, per una nuova legittimazione del Potere e dell'Autorità” ritengo che ciò sia auspicabile, ma non ne vedo la possibile realizzabilità storica nella attuale società moderna secolarizzata e con le attuali forme giuridiche. La tua indicazione però, di guardare l'intera questione in termini di lunga durata (come F. Braudel ci ha insegnato a leggere la storia) e di legge enantiodromica (la legge per cui secondo Jung, da un fenomeno psichico può scaturire improvvisamente il suo opposto) apre un varco verso la possibilità di vivere già oggi in questa prospettiva. A questo proposito mi piacerebbe riuscire a divertirmi come tu dici: "Oltretutto ciò è molto divertente: significa mettersi, con umiltà, sulla strada che è stata dei mistici, dei poeti, stare ai margini dei recinti storici e culturali, e giocare lì la nostra partita”.
Per quanto riguarda la questione del Crocifisso la mia posizione, che tu d’altronde hai ben compreso, è strettamente legata alla mia concezione del rapporto Stato Chiesa ed alla mia esperienza di insegnante. Mi è capitato ancora di avere studenti ebrei o di altre fedi, oltre a coloro che si professano atei, che avrebbero sentito come stonata la presenza del Crocifisso che, ripeto, in molte aule delle nostre scuole non c'è. A partire da questo esempio, la questione quindi rispetto al rapporto tra il politico e il suo fondamento sacro, diventa come declinarlo in una società che, al di là del possibile fallimento della globalizzazione, pone sempre più in stretto contatto uomini di fedi diverse? A meno che questa possibilità la si veda nella fine dello stato moderno, sostituito da comunità più o meno piccole che si autogovernano nel rispetto delle reciproche differenze?
Paolo Marcon:
personalmente non ignoro la complessità dell'epoca attuale, e neppure quella della tua particolare frontiera, la scuola.
Mi sembra però di intuire, a volte confusamente altre volte più lucidamente, nell'ottica di una nuova amicizia con il mondo selvatico, l'improrogabile necessità di ribaltare completamente il tavolo della problematica dei diritti. Tutta la civilizzazione ha preteso di fondarsi sui diritti, con l'arroganza di ritenere che questi siano un'invenzione moderna - mentre ne parlavano per esempio anche i teologi medievali, collegandoli però alla Legge di Natura. Io credo che la difesa/promozione dei diritti (astratti), non solo dei propri ma addirittura di quelli altrui, sia strumentale all'inconscia rimozione di ogni assunzione di responsabilità. Che invece andrebbe favorita, nella direzione di assumersi anche la responsabilità del male (il mondo selvatico non è un eden), che oggi si moltiplica all'infinito proprio perché non lo si vuole riconoscere come qualcosa che fa in qualche modo parte di noi.
Quanto alle domande che poni, ritengo fuori discussione che si debba uscire dallo Stato moderno, così come è configurato oggi. Qualche ipotesi su come ciò potrà avvenire la potremmo fare subito, ma sarebbe forse prematuro. Teniamo presente che non stiamo parlando di ingegneria costituzionale, ma di rimettere in gioco, nell'organizzazione politica della Comunità, forze che ci trascendono, e da cui siamo noi ad essere guidati. Le risposte verranno strada facendo, mentre nostro dovere è quello di buttarsi con fiducia nella vita.
Giusto stamani mi è arrivata una nuova traduzione di testi jüngeriani. Noto che lo scrittore tedesco si era appuntato i seguenti versi del poeta Theodor Storm (1858):
Il primo chiede: e poi che succede?
L'altro: che cosa è giusto?
E così il libero si distingue dal servo.
Paolo Ferliga:
come sempre la tua risposta è molto ricca e stimolante è la passione che ti guida. Condivido molto di quello che dici e sottolineo solo le differenze del mio punto di vista nella convinzione che anche all'interno della nostra lista di discussione, le differenze siano sempre una ricchezza.
Tu dici:Tutta la civilizzazione ha preteso di fondarsi sui diritti, con l'arroganza di ritenere che questi siano un'invenzione moderna - mentre ne parlavano per esempio anche i teologi medievali, collegandoli però alla Legge di Natura.
Non solo i teologi medievali. Il dibattito sul rapporto tra diritto positivo e legge di natura attraversa anche la modernità. Da Grozio a Hobbes, ai dibattiti di Putney dove nella New model army che farà la Rivoluzione inglese si discute del rapporto tra diritto di voto e legge di natura. Non c'è solo arroganza nel pensiero della civilizzazione!
Tu dici: Io credo che la difesa/promozione dei diritti (astratti), non solo dei propri ma addirittura di quelli altrui, sia strumentale all'inconscia rimozione di ogni assunzione di responsabilità.
Secondo me nell'affermazione del diritto (astratto) non agisce solo la rimozione inconscia dell'assunzione di responsabilità, che pure spesso si trova in alcuni dei suoi paladini. Vedo nello sviluppo del diritto moderno anche un processo di sviluppo di garanzie e di libertà (franchigie si diceva all'epoca dei comuni) sia delle comunità che degli individui. Per tornare al mio esempio, quando davanti ad un alunno ebreo mi pongo il problema dell'esposizione del Crocifisso, come insegnante mi pongo il problema di tutelare uno spazio di confronto, e quindi di libertà, tra punti di vista diversi rispetto al sacro. Secondo me questa scelta non impoverisce necessariamente la ricchezza del mondo simbolico se nella società civile e nella comunità, i simboli delle diverse culture di appartenenza vengono valorizzati e celebrati e se nella scuola si dedica spazio ai temi profondi delle nostra cultura che impongono scelte ed assunzione di responsabilità di fronte alle diverse storie di appartenenza.
Solo un esempio: più attenzione alla storia locale, alle fonti, anche spirituali della nostra cultura. Quindi, da noi, più attenzione al cristianesimo che all'ebraismo o all'islam, che ovviamente non vanno esclusi dalla nostra riflessione. Per questa ragione (e non per ragioni di brevità) io faccio leggere agli studenti un Vangelo integrale e solo alcuni passi del Corano o dell'Antico testamento.
Questo è il mio modo di rispondere alla domanda: "Che cosa è giusto?" di cui parli alla fine della tua mail.
Paolo Marcon:
Caro Paolo, ti leggo sempre con attenzione e grandissima stima per il tuo "impegno civile". Convergiamo sul pensiero delle differenze: ci tocca l'impresa eroica di affermarne il valore, mirando ad una ricomposizione simbolica delle stesse.
Hai scritto:
Non solo i teologi medievali.Il dibattito sul rapporto tra diritto positivo e legge di natura attraversa anche la modernità. Da Grozio a Hobbes, ai dibattiti di Putney dove nella New model army che farà la Rivoluzione inglese si discute del rapporto tra diritto di voto e legge di natura. Non c'è solo arroganza nel pensiero della civilizzazione!
Sicuramente non c'è solo arroganza, ci sono molte altre cose; per esempio: volontà di potenza, filantropia, etc.
Mi sembra però viziato sin dall'origine il dibattito interno alla modernità tra diritto positivo e legge di natura. E' vero che Grozio citava le Sacre Scritture, ma il giusnaturalismo moderno è dentro fino in fondo alla rivoluzione della modernità. Siamo sostanzialmente già in un orizzonte mercantilistico ed utilitaristico, il diritto è separato dalla "religiosità", secondo un processo di razionalizzazione e socializzazione (lo stesso Grozio parlava di natura ragionevole e sociale). Per questo la "finzione ideologica" (G.M.Chiodi) del contrattualismo viene fatta derivare proprio dai giusnaturalisti moderni, i primi ideologi della società borghese. Oltretutto, con il procedere delle modernizzazioni e neutralizzazioni, mi pare che proprio l'astrazione del diritto naturale abbia favorito lo sviluppo dell'ideologia dei diritti individuali(sti), con un'accelerazione a partire dai processi dell'immediato secondo dopoguerra, e con buona pace non solo degli Stati oggetto delle guerre mondialiste degli anni scorsi, ma altresì di ogni prospettiva comunitarista.
Hai scritto:
Per tornare al mio esempio, quando davanti ad un alunno ebreo mi pongo il problema dell'esposizione del Crocifisso, come insegnante mi pongo il problema di tutelare uno spazio di confronto, e quindi di libertà, tra punti di vista diversi rispetto al sacro. Secondo me questa scelta non impoverisce necessariamente la ricchezza del mondo simbolico se nella società civile e nella comunità, i simboli delle diverse culture di appartenenza vengono valorizzati e celebrati e se nella scuola si dedica spazio ai temi profondi delle nostra cultura che impongono scelte ed assunzione di responsabilità di fronte alle diverse storie di appartenenza.
Il problema è che la Comunità non c'è più (siamo qui per questo), e la Società civile è espressione che mi dice nulla e temo sia poco più. Credo che nascondendo il più importante simbolo religioso della nostra tradizione da un luogo, bene o male, formativo, si impoverisca la ricchezza del mondo simbolico - e non solo del nostro. Il confronto non può avvenire tra identità incerte, e la nostra di "europei civilizzati" non mi sembra molto sicura.
Hai scritto:
Solo un esempio: più attenzione alla storia locale, alle fonti, anche spirituali della nostra cultura. Quindi, da noi, più attenzione al cristianesimo che all'ebraismo o all'islam, che ovviamente non vanno esclusi dalla nostra riflessione. Per questa ragione (e non per ragioni di brevità) io faccio leggere agli studenti un Vangelo integrale e solo alcuni passi del Corano o dell'Antico testamento.
Questo è il mio modo/ di rispondere alla domanda: “Che cosa è giusto?” di cui parli alla fine della tua mail.
Caro Paolo, per quel che vale, la tua, in quanto "decisione morale", mi sembra una "scelta politica". Un'ottima risposta, dunque. Grazie.