Aborto estremo: Bush lo vieta

a cura di Armando Ermini, per la Redazione del sito www.maschiselvatici.it , 14/04/2005

Ogni tanto una notizia positiva. La Repubblica del 23 ottobre riporta la notizia che il presidente Bush si accinge a firmare una legge che vieta l’aborto estremo, detto anche “nascita parziale”.
Questa “tecnica”, praticata anche oltre il sesto mese di gravidanza, consiste nel far uscire di piedi il bambino dal corpo materno, tranne la testa sulla quale viene praticato colle forbici un foro da cui aspirare il cervello con un catetere. Un modo agghiacciante per rendere legale un vero e proprio omicidio. A noi non interessa il motivo per cui Bush ha preso questa decisione. Dazio pagato alla destra cristiana? Motivi legati alle prossime elezioni? Un modo, come sostiene l’articolo, di ingraziarsi una consistente parte dell’elettorato senza inimicarsi troppo le donne che considerano il diritto costituzionale all’aborto come un fatto acquisito? Tutto può essere, ma quello che è importante è che sia stata presa una decisione giusta.
C’è piuttosto da riflettere sul fatto che esistano in USA i comitati “pro scelta”, gruppi che sostengono la libertà e la legittimità di tali pratiche, e sul fatto che tutti i possibili candidati democratici si sono dichiarati contrari alla legge che le vieta. Anche il taglio dell’articolo, a firma di Vittorio Zucconi, lascia sconcertati. Dato atto che l’aborto estremo è “raccapricciante”, si minimizza il fenomeno (su oltre un milione all’anno di aborti, quelli in questione sarebbero due o tremila), e si pone poi l’accento sul fatto che questa legge incrinerebbe il “diritto della donna a decidere sulla gravidanza” , ventilandola come un primo passo verso successive maggiori restrizioni. L’interrogativo, inespresso ma chiaro, che si pone Zucconi è: vale la pena per “soli” 2/3000 aborti estremi, aprire una breccia nel diritto femminile all’autodeterminazione?
Il dubbio ci pare di estrema gravità, perché parte dalla considerazione che il diritto femminile a decidere sulla gravidanza sia un diritto supremo ed assoluto, non soggetto in linea di principio a restrizione alcuna, e che in suo nome si possano legittimare anche pratiche chiaramente omicide come quella descritta. E’ giusto attribuire a qualcuno, in questo caso alle donne, la signoria di vita o di morte su un altro essere umano?
Per noi la risposta è chiara, per Zucconi ed altri/altre non è così, e questo caso lo dimostra con chiarezza. Arriviamo infatti a comprendere il dilemma di un non credente di fronte ad un feto con pochi giorni di vita, ma qui i dubbi sulla legittimità del divieto emergono in presenza di un bambino già formato, e non è possibile individuare differenze sostanziali fra omicidi come questi e la soppressione dei neonati. In quest’ultimo caso la legge dovrebbe intervenire per punire, ma il fatto che le madri assassine non finiscono mai in carcere, dice molto sul convincimento inconscio, inconfessato e inconfessabile alla luce della coscienza, che la madre non debba sostanzialmente rispondere alla legge delle sua azioni verso i “suoi” figli. Al massimo la si può considerare malata, quasi mai colpevole.
L’articolo suggerisce anche una riflessione sull’ossessione del pericolo di un ritorno allo stato “etico”, uno stato cioè che prescrive norme etiche invece di lasciarle alla libera coscienza dei cittadini. Polemica sbagliata e ipocrita, perché noi già viviamo in uno stato al tempo stesso etico ed indifferente. Etico perché pretende di regolare la vita di ognuno attraverso una miriade di leggi, leggine e regolamenti. Indifferente perché riduce a scelte individualistiche le grandi questioni intorno alle quali si cementa il patto di convivenza di una comunità. La difesa della vita prenatale è una di queste, perché attiene al modo con cui l’intera comunità concepisce e percepisce sé stessa, la trasmissione della vita ed il succedersi delle generazioni. In questo senso “libertà” non può significare assenza di vincoli e norme, né appropriazione individuale di processi transpersonali.
Meraviglia (ma poi non tanto) che l’ossessione dello stato etico venga spesso da chi invece sostiene il suo intervento in materia economica e sociale. Curiosa contraddizione e rovesciamento di prospettiva.