Senza padri, il Sole acceca (recensione di Armando Ermini)

Su Il Sole/24ore del 16 luglio 2017 Armando Massarenti si lancia in una entusiastica recensione del libro di Marco Marzano e Nadia Urbinati La società orizzontale, liberi senza padri, Feltrinelli 2017, con un articolo dal titolo Chi ha paura della morte dei padri? (inserito nella rubrica Filosofia minima).

Premesso doverosamente che non ho ancora letto il libro, mi atterrò, nelle mie considerazioni, a quanto scrive il Massarenti e ad alcuni abstract trovati su internet.

Per prima cosa, un'osservazione sulla rubrica, Filosofia minima, in cui la recensione è ospitata. Proprio di minima si tratta, nel senso che si limita a far propri i più triti luoghi comuni della modernità e il pensiero unico omologato che va per la maggiore sui media i quali, come il libro, non rispettano nemmeno numeri e fatti.

I quali ci dicono, ormai da decenni e da statistiche ufficiali, alcune cose ben precise: a) La maggioranza dei giovani che finiscono in galera per reati di diverso tipo, sono cresciuti in una famiglia senza padre o con un padre assente, cioè democratica, antiautoritaria, orizzontale, non patriarcale. b) La propensione al suicidio giovanile è molto maggiore fra chi, maschi e femmine, è cresciuto senza l'insopportabile autoritarismo paterno. c) La probabilità per una ragazza di essere soggetta a violenze sessuali, è superiore quando il padre latita.

Come si può sostenere che una siffatta società è più libera? Di farsi del male, viene da rispondere, di perdersi nell'alcol, nelle droghe, nelle esplosioni incontrollate di rabbia e di violenza; più libera di non crescere, di rimanere una società di eterni adolescenti, facilmente plasmabili secondo le mode imposte dal marketing, nel migliore dei casi. Tutto ciò non è un danno collaterale evitabile con qualche accorgimento, ma la conseguenza diretta (e voluta) della scomparsa dei padri. La domanda retorica del titolo Chi ha paura della morte dei padri? ha già la risposta: i figli, i giovani di ambo i sessi, ed anche le madri, spesso alle prese con problemi irrisolvibili se lasciate sole.

Nella recensione risalta in primo luogo, la totale omissione delle risultanze della letteratura clinica e il disinteresse per tutte le teorie psicanalitiche, le quali, sia pure nelle loro non poche differenze, riconoscono al padre la fondamentale funzione di rompere la simbiosi madre/figlio che, necessaria all'inizio della vita, diventa poi mortifera, il principale ostacolo alla crescita psichica, all'assunzione di responsabilità adulta, all'apertura al sociale, alla capacità di gestire conflitti e contraddizioni senza che diventino devastanti.

I padri della psicanalisi si mettono così in soffitta, e con loro i vari Risé, Recalcati, Ricci, Zoia. Autori di scuole diverse, ma tutti concordi nel sottolineare l'essenzialità della funzione paterna, concreta e simbolica. L'odio contro tutto ciò che è paterno e patriarcale, si spinge fino a mettere sullo stesso piano Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, e papa Francesco. I primi due rappresenterebbero la versione hard del patriarcato, il terzo un paternalismo soft ma di identica natura. Il progressismo radicale crede che distruggendo il padre, e con lui la differenza (culturale, etnica, religiosa, sessuale), si acceda a una vera democrazia egualitaria. Così non è. Lo dimostra il fatto che le differenze concrete, reali, diventano sempre più intollerabili e inaccettabili proprio nel mondo democratico orfano del padre.

L'autorità paterna viene scambiata con autoritarismo fine a se stesso, ma si dimentica: a) che quell'autorità è sempre stata bilanciata da oneri e doveri, tanto da poter dire che era stata conferita ai padri per metterli nelle condizioni di adempiere ai loro obblighi, b) che, specie per effetto del cristianesimo, doveva sempre essere unita al sentimento di amore verso i figli e la famiglia, e rivolta al bene complessivo di tutti. Il fatto che non sempre sia stato così non inficia quel principio tanto simbolico quanto concreto, che ha portato tanti padri ad immensi sacrifici non per vantaggio personale ma per amore verso gli altri. Molto più facile e comodo, come oggi, pensare solo a se stessi dietro la figlia di fico della libertà propria e altrui. Ed infatti troppi padri fuggono allegramente dalla loro responsabilità. Fanno in realtà quel che è loro richiesto a gran voce, ma si scavano la fossa con le proprie mani.

Piuttosto dovrebbe essere ricordato che la degenerazione della paternità in autoritarismo è iniziata, guarda caso, proprio con la Riforma protestante e poi, soprattutto, con la Rivoluzione Francese; rompendo il legame fra paternità terrena e paternità divina, hanno dato la stura a quegli arbitrii di cui ci si lamenta. Orbene, le parole d'ordine della Rivoluzione, libertà uguaglianza fraternità, sono anche quelle che ispirano i nostri autori.

Non è affatto vero che Dio, Patria, Famiglia, siano stati la quintessenza dell'oppressione, come si afferma nel libro. Nonostante le degenerazioni in cui sono, spesso, sfociate (clericalismo, nazionalismo aggressivo, familismo chiuso all'integrazione comunitaria), quella famigerata triade è stata anche e soprattutto lo spazio simbolico e concreto in cui si sono formate le identità personali, sociali e culturali, che il progressismo orizzontale vuole distruggere; ed anche un limite invalicabile al dilagare della mercificazione degli individui e della vita nel suo complesso.

Nel libro si insiste poi molto sul concetto di democrazia. Si tratta di capirsi, a partire dal fatto che, ad esempio, la rivoluzione per eccellenza, quella francese, fu pensata ed attuata dall'alto, da un' elite culturale ed economica estranea agli (allora) sentimenti popolari. La Vandea, espressione popolare dei contadini, fu repressa nel sangue. Alla Comune di Parigi del 1870, espressione del proletariato urbano, accadde la stessa cosa. E la responsabilità delle repressioni sanguinose ricade in entrambi i casi proprio su quella borghesia democratica repubblicana tanto amata dagli autori del libro.

Per stare ai nostri giorni, siamo sicuri di vivere davvero in democrazia?

Forse l'Europa è stata costruita col consenso popolare? Le sue decisioni sono prese democraticamente? O piuttosto decise da elite a cui servono solo ratifiche a posteriori e ben indirizzate, nonostante qualche moto di ribellione come la Brexit e la stessa elezione di Trump (al di là, sia chiaro, di valutazioni specifiche degli eventi e dei personaggi)?

Si pensa davvero che possa essere definita compiutamente democratica una società in cui siano ammessi, come auspicano Marzano e Urbinati, solo liberali di destra e liberali di sinistra, cioè forze politiche che condividono la stessa cultura e la stessa antropologia di fondo? La disaffezione degli elettori mi sembra molto indicativa!

Ma soprattutto, davvero si crede che in democrazia non debba esistere una gerarchia, e che l'autorità derivi veramente dal popolo? Autorità e gerarchie esistono eccome, solo che quelle che davvero contano sono diventate opache, sfuggenti ad essere individuate formalmente perché nascoste dietro i così detti mercati, dietro le esigenze economiche; come se l'economia fosse qualcosa di oggettivo, di naturale a cui inchinarsi obbedienti senza discutere, e non invece un fatto umano e storico. Si pensa forse che i poteri finanziari che mai si mostrano allo scoperto siano forse più democratici degli odiati padri i quali, almeno, avevano il pregio di mostrarsi per quel che erano, quindi possibili bersagli di ogni critica e contestazione?

C'è un passaggio chiave nel libro, là dove si dice che <<Non siamo protestanti e non siamo anglo-americani, eppure gran parte della di quella che era la loro società è diventata poco a poco la nostra. Essa è fatta di mercato, di affermazione individuale, di contratti, di famiglie formatesi sul diritto e sull'uguaglianza dei ruoli, di libera scelta>>. L'arcano è svelato. L'utopia democratica è rappresentata dal capitalismo americano, quello in cui il mercato e la sua legge sono gli unici valori ammissibili, coi relativi corollari in termini di mercificazione generalizzata, anche del corpo, anche della vita; in cui conta solo l'affermazione individuale, il considerare se stessi alla stregua di un capitale da valorizzare. Ovvio che per questo neocapitalismo finanziario, i padri siano diventati ostacoli da cui liberarsi al più presto per accedere finalmente alla società desacralizzata, interamente laicizzata, totalmente e gioiosamente dimentica di ogni tensione verticale, di ogni spinta verso la ricerca di senso alla vita, insomma <<la società orizzontale, ovvero senza gerarchia di valori e senza devozione per l'autorità, è a nostro parere la celebrazione dell'uguaglianza, di quella “passione folle” che fa giustizia dei “maestri” e dei “pastori” - dei padri appunto- e che dichiara, con orgogliosa autosufficienza, di non aver bisogno di vertici infallibili né di autorità depositarie di una verità che non necessita del nostro giudizio per diventare autorevole>>.

Non è dunque per caso che la recensione del libro appaia sul quotidiano della confindustria (ammesso e non concesso che ci siano ancora veri industriali), di quel potere ormai interamente finanziarizzato per il quale ogni cosa, ogni fenomeno, ogni spazio, ogni corpo, può, anzi deve, essere occasione di profitto.

Si ricordino, i progressisti detrattori del padre, che nella loro democrazia orizzontale non troveranno la felicità e l'uguaglianza, ma solo una “terra desolata” , un deserto dove impera il nulla. Quello in cui tutti i difetti, tutte le sciagure sociali e individuali, derivate dalla scomparsa del padre sono moltiplicati e si mostrano senza veli. Temo che i molti saranno molto delusi, fino alla sconforto impotente, che si tramuterà in rabbia e violenza altrettanto impotenti. Noi, almeno, sappiamo vedere a cosa si va incontro.

Armando Ermini